Le zucchine alla Scapece

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Illustrazione di Agrin Amedì
Donna Olimpia Scapece la conoscevano tutti al Rione Sanità. E quando passava gli uomini si alzavano il cappello, le donne le facevano un mezzo sorriso e i bambini si nascondevano perché tenevano  paura.

Donna Olimpia Scapece la conoscevano tutti al Rione Sanità. E quando passava gli uomini si alzavano il cappello, le donne le facevano un mezzo sorriso e i bambini si nascondevano perché tenevano  paura. Era una cuoca, una grande cuoca, una cuoca così grande che quando il re durante la guerra era passato per Napoli avevano chiamato lei che gli aveva fatto “o’coniglio all’ischitana”.
L’unica ragazzina che non abbassava mai lo sguardo quando la incontrava era Ida, la figlia di Maria Russo, che abitava a via Arena della Sanità 52. Era una ragazzina con le ginocchia sempre sbucciate e con due occhi neri troppi grandi per quel viso sottile sottile che si trovava. Ida inseguiva sempre con lo sguardo Donna Olimpia perché quella donna non era come loro; era vestita sempre bene, si metteva  il rossetto e poi aveva addosso l’odore delle sfogliatelle di Poppella, l’unico posto del rione che non puzzava di umidità e di carne cruda andata a male.

«Da domani cominci ad andare dalla Signora Scapece, tutti i lunedì dalle due alle sei.»
«E che ci vado a fare?»
«Ci vai a imparare a cucinare, così ti troverai un lavoro come cuoca quando sarai più grande; non voglio che fai la fine di quelle del rione che cercano solo marito…»
«E non puoi insegnarmi tu, mamma? A me non mi va, posso sempre andare a servizio come fai tu.»
«Vuoi spezzarti le reni come me? No, farai la cuoca e andrai da lei perché è la più brava e già ci sta facendo una cortesia, quindi vedi di non farmi fare brutte figure.»

La madre di Ida era l’unica che nel rione aveva confidenza con Donna Olimpia e andava  da lei a prendere il caffè. Ogni volta che veniva invitata, Ida le diceva di non andare, che giravano storie su quella donna che aveva avvelenato tutti e tre i mariti; uno con un sartù, un altro con una parmigiana di “mulignane” e l’ultimo con  delle “cucuzielle a la scapece”,  ma la madre non l’ascoltava mai.
Arrivò il lunedì e non avendo scuse Ida si presentò alla lezione. Salendo le scale saltellò prima col piede sinistro sul gradino, poi con quello destro e infine a piedi uniti fino a quando si trovò davanti alla porta della signora Scarapece e suonò il campanello. La donna le aprì la porta e la fece entrare, poi Ida rimase immobile nella penombra dell’ingresso dove  era stata fatta accomodare. Da una finestra aperta, forse del salone, si sentiva il radiodramma Santa Rosalia e le voci delle donne riunite a casa di Rachele per ascoltarlo che incitavano Piero. «Nu la lassa, combatti, se sei un uomo combatti!» E dappertutto, odore di sfogliatelle calde. Rimase ferma lì, ma visto che la donna la fissava e basta, si decise lei a parlare.

«Buongiorno signora Scapece, sono Ida, la figlia di Maria Russo. Sono venuta per le lezioni, queste sono le 5 lire che mamma mi ha detto di darvi.»
«Seguimi» le disse, senza aggiungere altro.

Attraversarono un salone buio con le tende tirate ed entrarono in una stanza piena di luce e di voci che venivano dal cortile. Al centro della stanza un tavolo rettangolare di marmo e tutt’intorno un lavello in pietra con due vasche.

«Lavati la mani qui nel lavandino e usa quell’asciugamano appeso alla credenza, poi metti il grembiule e vai a lavare quelle pentole.» Poi aggiunse continuandola a fissare: «Con cura si lavano le mani, insapona! Ecco, va meglio. E quando hai finito metti tutto ad asciugare sul tavolo dietro di te.»
«Scusate ma non dobbiamo cucinare?»
«Sì, appunto. Per cucinare le pentole e i cucchiai devono essere come persone di famiglia. Toccali, prendi confidenza. Senti la ruvidezza dei cucchiai di legno, metti le dita nelle  ammaccature delle pentole di alluminio e di rame, guarda il tegame di coccio per fare il ragù.»

Ida passò tutto il pomeriggio a lavare e asciugare in silenzio. Finita la spiegazione, Donna Olimpia se ne era andata in salone, si era seduta al tavolino e si era messa a scrivere. Ogni tanto la ragazzina si girava e buttava l’occhio verso l’altra stanza; se ne sarebbe andata volentieri, ma  la donna era sempre lì, immobile. Entravano ogni tanto in cucina le voci di Annetta e Clara, le sue amiche che giocavano a palla in cortile. Quando non sentì più loro voci, guardò il cielo e si rese conto che era diventato buio. Ora se ne poteva tornare a casa.

«In cucina ho finito, posso andare?»
«Sì. Abbiamo fatto tardi, è quasi ora di cena. Salutami tua madre, ci vediamo lunedì prossimo.»
«Sì signora, arrivederci e grazie.»

Al suo ritorno la madre non chiese nulla, come se sapesse già tutto e così lei continuò ad andare ogni lunedì a “scuola di cucina”, come la chiamavano le sue amiche per sfotterla.

*

«Oggi cuciniamo», le disse finalmente un giorno, dopo settimane passate a pulire e riordinare la cucina. Ida sentiva il profumo dolciastro della cannella e quello del caffè appena macinato ogni volta che la donna si avvicinava a lei.

«E cosa cuciniamo?»
«Le penne con la salsa di pomodoro fresco.»
«Ma quelle le sanno fare tutti.»
«No, quelle non le sanno fare tutti. Tutti pensano di saperle fare, ma le fanno male perché pensano che tanto è facile e non si può sbagliare. E invece sbagliano. Più un piatto è facile e più è difficile, ricordatelo. Prendi una padella di alluminio e fai imbiondire con l’olio questi due spicchi d’aglio, poi scegli dei pomodori sammarzano, li svuoti e li sgoccioli. Devi  togliere i semi prima di metterli in padella perché se non li svuoti il sugo viene una schifezza. E ora odorali.»
«Ma i pomodori  mica hanno odore.»
«Tutto ha un odore oltre che un sapore, ma se vai di fretta l’odore non lo senti. Ora fai come ti ho detto. Io esco e vado a prendere il pecorino  da Carmine al borgo delle Vergini.»

Appena sentì sbattere la porta Ida si asciugò le mani e si guardò in giro, voleva dare un’occhiata a quel quaderno per vedere cosa avesse sempre da scrivere Donna Olimpia. Sul tavolino del salone, accanto alla finestra che dava sul vicolo non c’era, così andò dritta nella sua camera da letto. Quanta luce e quante foto. Un ragazzo con gli occhi azzurri le sorrideva da una vecchia cornice d’argento. Accanto a lui c’era un uomo  vestito col gilet e le bretelle dallo sguardo furbo e poi un altro anziano, seduto a uno scrittoio. E dappertutto, odore di lavanda e varichina. Sul comodino c’era il quaderno. Ida lo aprì subito. «Amore mio caro…», ma non fece in tempo a leggere altro perché sentì dei rumori provenire dall’ingresso. Posò in fretta il quaderno e si precipitò fuori dalla stanza, chiudendo in fretta la porta, ma si trovò davanti  Donna Olimpia tutta rossa in viso.

«Ti sei divertita? E ora fuori da casa mia perché a me le ragazzine scostumate non mi piacciono proprio. Di’ a tua madre che le lezioni di cucina sono finite, che non diventerai mai una cuoca perché non hai pazienza e non hai amore per quello che fai; e che si vede che lo fai tanto per fare.»
«Allora cosa faccio, scrivo pure io le lettere d’amore così divento più brava? Oppure faccio come voi che non rido mai e sto sempre seria?»
«Fuori da casa mia e non ti azzardare nemmeno a salutarmi se mi incontri per strada, hai capito?»

I giorni passarono e Ida era preoccupata di quello che avrebbe detto sua madre, ma non accadde nulla. Forse la signora Scapece non le aveva detto nulla. Poi un pomeriggio, mentre stava spazzando il pavimento del cucinino, arrivò sua madre che si sedette sullo sgabello e le disse quello che temeva da settimane.

«Donna Olimpia mi ha detto tutto. Dice che non sei portata per la cucina e che se vuoi andare a servizio devi imparare a tenere la lingua a posto. Da domani vieni con me dalla signora e vedi di non farmi perdere il posto.»

Andare con la madre era pesante, ma non era il lavoro che spaventava Ida; è che continuava a pensare alla cucina profumata di Donna Olimpia. Ormai erano tre settimane che non andava lezione. Un pomeriggio si era messa a preparare la salsa al pomodoro e mentre cucinava aveva pensato che le dispiaceva non andare più da Donna Scapece, perché le mancava  l’odore soffice di quella casa. Così decise di tornare da lei, tanto al massimo le avrebbe tirato dietro una pentola. Mentre contava i passi che mancavano al palazzo, pensava che si era comportata male, perché se qualcuno a casa sua e avesse preso la sua bambola senza dire niente pure lei si sarebbe arrabbiata. Il portone era aperto, così salì le scale e suonò il campanello.

«Chi è?» disse la donna aprendo la porta e fermandola con la catenella.
«Buonasera Donna Olimpia, sono Ida.»
«Entra.»
«Io mi volevo scusare perché sono stata maleducata e la volevo anche ringraziare perché non ha detto nulla a mia mamma.»
«Tua madre è una brava donna, non volevo darle un dispiacere, per quello è bastato tuo padre. Tu sei una gatta selvatica, proprio come mi aveva detto lei e se continui così non vai da nessuna parte. Vuoi restare tutta la vita al Rione?»
«Ma voi ci state e mi pare pure bene o mi sbaglio?»
«Io ci sono tornata perché era l’unica casa che avessi mai avuto. Tu mi assomigli e non ridere perché non ti sto facendo un complimento. Con quell’aria di sfida… Ti piace cucinare? Rispondi sinceramente.»
«Sì.»
«E allora devi ascoltarmi e fare quello che ti dico.»
«Sì, vi prometto che da oggi lo farò. Però posso chiedervela una cosa senza che vi offendete?»
«Vuoi sapere delle cornici in camera mia?»
La ragazzina annuì con la testa.
«Il ragazzo con gli occhi azzurri era il mio fidanzato, partì per la guerra e morì in trincea a Montefalcone; quello con lo sguardo da  figlio di una buona donna era il mio primo marito, che morì in una bisca per un infarto, dopo una nottata passata a bere e ad amoreggiare; il terzo è quello che mi ha dato il cognome onorato che porto ancora “Scapece”, era più grande di me di vent’anni ed è morto di vecchiaia nel suo letto a Ischia. Quindi, come vedi, non ho avvelenato proprio nessuno.
«E voi a chi scrivete?»
«Questo non te lo dico, perché è un segreto tutto mio e già mi sembra di averti raccontato abbastanza.»
«Donna Olimpia, se voi lo permettete, io da voi ci torno volentieri e vi prometto che diventerò la cuoca più grande di Napoli e tutti mi avranno sulla bocca. E quando il presidente Einaudi verrà qui sarò chiamata io a cucinare, allora verrò da voi e vi dirò “Avete visto? Sono stata brava? Siete orgogliosa di me? E ora me lo dite a chi scrivete ogni giorno?»

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