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Eccoci qui, io e lui, come sempre a fare questa arrampicata. Lui per tenersi in forma – la forma fisica è molto importante per il suo lavoro –, io lo faccio perché lo fa lui. Io faccio sempre quello che fa lui… di Fabrizio Piselli

Eccoci qui, io e lui, come sempre a fare questa arrampicata. Lui per tenersi in forma – la forma fisica è molto importante per il suo lavoro –, io lo faccio perché lo fa lui.
Io faccio sempre quello che fa lui.
Saremo circa a metà parete, ci stiamo riposando un attimo dopo aver risalito per quasi 200 metri… è una giornata meravigliosa, non c’è una nuvola, il clima è perfetto: sono queste le giornate che preferisco, mi danno forza.
Ora ci troviamo all’interno di una gola desolata; lui ha scelto questo posto perché per dieci anni starà via e prima di partire ha deciso di rilassarsi con il suo sport preferito. Sì, lo so, è un tempo davvero importante, ma i viaggi spaziali possono durare anche così tanto. Lui fa’ l’astronauta.
Già lo so, non ci vedremo più, almeno per dieci anni… o chissà, forse per sempre, chi può dirlo?
Lassù tra le stelle, senza luce – certo, ci sarà quella artificiale della navicella, ma sarà tenue, non basterà per me – io non ci sarò, non potrei mai sopravvivere, perché io sono la sua ombra.
Questo è il mio problema, lui nemmeno ci pensa, ma io sì. Sono giorni che non penso ad altro. Da quando abbiamo saputo della missione. Non era iniziata nel migliore dei modi la giornata: il tempo era nuvoloso e io non stavo bene ma, dopo la notizia, tornando a casa a piedi, mentre scorrevo debole ed evanescente sul muro di fianco a lui, ho cominciato a prendere consapevolezza di quanto stava per accadere. Panico.
Sì sì, lo so che non è nella mia natura avere delle opzioni, ma come posso accettare la mia sparizione, la mia dissolvenza, per così tanto tempo poi, o forse per sempre?
Mi sono arrovellata per giorni, disperandomi per la mia sorte e rinnegando il corso dei miei nuovi pensieri, anelando la rassegnazione… ma questa non è giunta e, seguendo il corso dei miei ragionamenti, ho maturato una decisione: attenderò l’occasione giusta. Devo tentare, non ho scelta.
Abbiamo ripreso la salita e il punto in cui ci troviamo non è dei migliori: la parete ha una sporgenza di qualche metro; è la parte più complicata dell’arrampicata. Qualche secondo di pausa e ripartiamo: mi sto sforzando con tutta me stessa, ce la metto tutta, e per la prima volta nella vita non faccio quello che fa lui.
Mentre lui resta sospeso per superare la sporgenza, io scivolo sulla sua schiena, in modo da frappormi tra lui e il sole. Sono stata dietro di lui finché ho potuto. Lo sforzo mi ha logorata, ma in questo modo riesco ad oscurargli la visuale, fino al punto da fargli mancare la presa.

E ora eccolo: precipita battendo la testa e il corpo, restando appeso alla corda che sorregge il suo peso. Ferito, penzolante, ora è a testa in giù nel vuoto. Ma non mi sento felice, e un senso di nausea mi invade interamente. Poi mi stabilizzo, e guardo il mio riflesso sulla roccia: sono viva. Sono viva! Anche se solo ancora per un po’. Lo so… Ma fino a quando non troveranno il suo corpo io rimarrò qui, librata sull’amica-roccia, smossa dal vento, in un profumo di pietra e di luce.

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