L’ebbrezza di quel bicchiere di troppo comincia a farsi sentire. Non dovrei guidare, continua a ripetersi Sara mentre le luci della notte le sfrecciano di fianco. I riflessi calano, ma la vicinanza da casa la tranquillizza. Si impone di restare tranquilla: non succederà nulla. Né a lei né al suv di suo padre. Per un attimo fissa lo specchietto retrovisore e vede un’auto viaggiare a una cinquantina di metri da lei; si sente seguita. Poi si distrae. Semaforo rosso. Se ne accorge tardi, le gomme fischiano leggermente. Nell’attesa che diventi verde una macchina della polizia si accosta a sirene spente.
«Cazzo» bisbiglia a labbra strette. Dal finestrino l’agente le fa cenno con la paletta di accostarsi. Così, dopo aver fermato la macchina davanti a quella di Sara, il poliziotto le si avvicina mentre lei prova invano ad abbassare il finestrino. È tutto scheggiato nella parte bassa del vetro, non se ne era accorta fino a quel momento. L’agente, fissandola, comincia a spazientirsi, intimando infine con il dito di sbrigarsi. È molto agitata, troppo. Deve calmarsi. Apre lo sportello e si presenta di fronte all’agente in tutto il suo outfit degno di un sabato sera da ricordare. «Buonasera…» fa l’agente, toccandosi militarmente il berretto. «Sarebbe il caso che facesse riparare il finestrino.» Dopo un attimo di esitazione, Sara annuisce. Nonostante la grande paura, i suoi pensieri si sono catapultati da tutt’altra parte: ma può̀ mai essere che suo padre, collezionista meticoloso e quasi maniacale di auto sportive, non avesse notato una cosa del genere?
Rientra in sé sorridendo all’agente.
«È molto tardi signorina, non è che ha bevuto qualcosa?»
«Solo un bicchiere di vino agente, sono vicinissima a casa.» Il poliziotto non sembra convinto. «Signorina, lo sa cosa comporterebbe essere fermati con il tasso alcolemico oltre il limite?» Lei lo fissa, mentre impaurita compie un flebile cenno di assenso.
«Quest’anno Babbo Natale è passato in anticipo signorina, buonanotte.» Sara non ha mai accettato così di buon grado un viscido occhiolino da un poliziotto. L’auto della polizia riparte a tutta velocità per poi svoltare l’angolo in un attimo. Sara, un istante dopo, è già̀ con il cellulare in mano per avvertire il padre del danno al finestrino. Lui è un padre d’oro, trascorrono ore, giornate e weekend sul divano insieme a guardare film e a chiacchierare amorevolmente, ma con le sue macchine non si scherza, ne è ossessionato. Non può̀ non avvertirlo.
La chiamata è breve, è furioso della notizia. “Sbri-ga-ti a tor-na-re. Per una volta che ti presto la macchina…” Scandire le parole, è il suo modo di mostrarsi arrabbiato, fin da quando era piccola lui usava farlo per mostrare autorità̀.
È rimasto l’ultimo mezzo chilometro per arrivare a casa ma poi dovrà̀ affrontare suo padre faccia a faccia.
La macchina di Sara procede lentamente lungo le strette stradine illuminate a intermittenza dai lampioni. Dietro di lei, la stessa utilitaria che prima pensava la seguisse. Viaggia nella sua direzione a fari spenti. «Ma dai…» prova a ricredersi, ma con poca convinzione. Che possa essere davvero la stessa auto? Gira a sinistra su una strada meno frequentata ma la macchina resta sempre dietro di lei. Dopo aver fatto un percorso casuale attraverso il quartiere la macchina alle sue spalle la segue senza mollare la presa. Il cuore batte forte. Ora non importa quanto cerchi di dare brusche accelerate o di tagliare le curve: l’auto dietro di lei continua a seguirla da vicino. «Chiama papà» dice, premendo un tasto sul volante. Squilla a vuoto, e ogni squillo arriva fino in fondo al cuore di Sara, le rimbomba nel petto. Inizia a piangere silenziosamente. Poi la suoneria la scuote mentre riprende a respirare: «Papà ascoltami…» «Che hai fatto adesso?». Si parlano uno sopra l’altro. «Ti prego ascoltami e fidati, una macchina mi sta seguendo. Avevo questa sensazione, ho cominciato a girare su me stessa in giro per il quartiere. Mi seguono, ne sono sicura». «Mantieni la calma.» Il padre di Sara fa un profondo respiro. «Ora ho capito. Ha provato a forzare il finestrino e ti sta seguendo.» Il suo affanno sembra sentirlo pure la macchina che la segue per quanto è forte. «Tra due minuti esatti arriva sotto casa. Sarò nascosto, ma nel momento giusto mi vedrai. Stai calma.» Sara svolta più̀ volte verso la via di casa. La macchina senza fari è sempre lì, sembra attaccata alla sua con un filo invisibile. Le ultime centinaia di metri li percorre a tutta velocità tra i bui villini del quartiere. Il padre di Sara si lancia in mezzo alla strada brandendo un grosso bastone. Frenata profonda. Il fischio degli pneumatici è assordante, quasi lo investe. Sara, con il cuore che le martella nel petto, osserva la scena dallo specchietto retrovisore. La sua paura si fa più̀ intensa mentre vede suo padre avvicinarsi lentamente alla macchina che ha seguito sua figlia finora. L’atmosfera si carica di tensione, Sara rimane immobile, incapace di distogliere lo sguardo da ciò̀ che succede pochi metri dietro di lei.
«Perché́ la seguivi, eh? Squilibrato di merda.» Lo sportello si apre. L’ uomo, con la barba incolta e le occhiaie marcate, sussurra appena: «Dal ristorante… Era con le sue amiche… Io ero fuori a fumare una sigaretta e… l’ho visto…» Sara rimane ad ascoltare pietrificata, incapace di distogliere lo sguardo da ciò̀ che succede pochi metri dietro di lei.
«Che volevi fare?» L’uomo risponde fermo: «Fai uscire subito tua figlia dall’auto». Il padre di Sara alza il bastone e carica con le braccia il colpo. L’uomo fa mezzo passo indietro abbassando la testa e alzando le mani in segno di resa, per poi rialzare il volto, puntando il dito verso la macchina di Sara che, ancora immobile, si avvicina allo specchietto, come se avvicinandocisi potesse ascoltare meglio. «Dovevo seguirla. Non potevo fare altrimenti, le avrebbe fatto del male. L’ho visto… l’ho visto forzare l’auto e richiudere il finestrino: c’è un uomo sui sedili posteriori della sua macchina.»
Un brivido di terrore le attraversa la schiena. Mentre continua a guardare attraverso lo specchietto retrovisore, con il cuore che le batte furiosamente, vede l’ombra di un uomo emergere dai sedili posteriori della sua auto e stagliarsi a pochi centimetri dietro di lei, per poi sussurrarle con una voce raccapricciante: «Giochiamo…».
La paura prende il sopravvento, avvolgendola come un mantello gelido senza concederle la possibilità̀ di rispondere.
Sara afferra lo spray al peperoncino che le regalò tempo fa suo padre. L’ombra non le dà il tempo di utilizzarlo, la stringe forte con il braccio sul collo, non permettendole di respirare. Le forze le vengono a mancare molto velocemente ma, di riflesso, Sara affonda il pedale dell’acceleratore fino in fondo con le poche forze rimaste in corpo. L’auto schizza in avanti con una potenza sorprendente, spingendo sia lei che l’ombra contro i propri sedili, schiacciati da un’invisibile forza centrifuga. Gli alberi e i lampioni diventano solo flash di fianco all’auto. Il suv sfreccia via a una velocità vertiginosa. L’ansia si fonde con l’accelerazione, trasformando ogni secondo in eternità̀ mentre l’auto si lancia in avanti come un proiettile fuori controllo. C’è determinazione nello sguardo di Sara mentre pianta il piede sul freno con una forza incredibile. L’auto frena violentemente. Nell’oscurità̀ dell’auto, l’uomo seduto dietro di lei è catapultato in avanti sbattendo con un suono sordo contro il parabrezza. Sara esce velocemente dall’auto, chiudendola dietro di sé. Ora è di fronte al suo aggressore brandendo lo spray al peperoncino. Il solo finestrino a dividerli.
Lo guarda, lo fissa, lo sfida.
L’ombra è intrappolata all’interno, visibilmente intontita dall’urto. Gli occhi di Sara, adesso glaciali, notano un dettaglio, un piccolo dettaglio che la incita a redimersi da tutto questo terrore vissuto: un piccolo spiraglio rimasto aperto del finestrino. Dal suo viso dolce e innocente, prende spazio una fredda ferocia che sfrutta per scaricare l’intero contenuto tossico dello spray all’interno dell’auto. Fino all’ultima goccia. Con soddisfazione, lo guarda tossire e soffocare sui sedili anteriori dell’auto e, avvicinando il viso alla fessura del finestrino, gli parla per la prima volta: «Sì…ma detto io le regole del gioco».