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Un paio di cerotti messi a croce su ognuno dei capezzoli. I cerotti erano proprio quelli di plastica bucherellata color carne, alti un dito. I seni quasi inesistenti, quelli di una bambina di dieci undici anni… di Sabrina Trentin

Un paio di cerotti messi a croce su ognuno dei capezzoli. I cerotti erano proprio quelli di plastica bucherellata color carne, alti un dito. I seni quasi inesistenti, quelli di una bambina di dieci undici anni. Sopra solo una maglietta di tulle leggero, rosa. Anche i capelli, lunghi fino alle spalle, erano rosa. Rosa acceso e vibrante in basso, rosa chiaro e lucido in alto. Un basco nero li copriva obliquo. Gli occhi scuri sottili ispessiti da una larga riga perfetta di eye-liner nero erano ingranditi e illuminati da una linea bianco gesso che segnava le orbite. Gli occhi non sorridevano e nemmeno le labbra, sottili e rosa scuro. Una gonnellina cortissima a piegoline, nera, lasciava tutto lo spazio alle gambe, già avvolte da calze a rete a maglia larga rosa, a dispetto del caldo che arroventava ancora a metà settembre. Angel, rispose, con un accento indefinibile. La conobbi così, il primo giorno di scuola. Quando Marta, la sua migliore amica, l’aveva vista per la prima volta, Angel era completamente bianca: scarpe bianche, calzoni bianchi, maglia bianca, tutto bianco, anche i capelli: una visione!
Aveva un fascino particolare, magnetico. Tu mi piaci tantissimo, le dissi a voce alta poco dopo. Un sorriso le illuminò il volto, ravvivando gli occhi in una piega di simpatia. Certo, vestita così il primo giorno di scuola! Il giorno dopo me l’aspettavo in mutande. Ma quello era l’artistico! Piena libertà di espressione.
Il giorno dopo bustino, Shorts inguinali stappati, calze a rete nera bucate e anfibi mi sembrarono da educande.
Questo è l’elenco cartaceo degli alunni, lo deve confrontare con quello sul registro elettronico e segnalare le incongruenze, mi disse il bidello al terzo giorno, consegnandomi un foglio grigiastro con nomi in ordine casuale, per rendere l’operazione più sbrigativa. Chiamo i vari nomi e chiedo di rispondere. Malachian Alan. Nessuno risponde. Alzo gli occhi. Nessuno si palesa. Non c’è. Dopo qualche altro nome Kolesna Christal. Nessuno dice niente. Alzo gli occhi. Non c’è. Arrivo all’ultimo nome, Dalmare Maria Luce. Nessuno dice niente. Stessa storia. Ecco, un altro che non c’è dico a voce alta. Io, io, sono io prof! Uno squittio. Io chi? Io! Disse Angel alzando la mano e sorridendo. Ma tu non sei Angel? Sì, ho deciso che mi chiamo così, quell’altro nome non mi piace. Maria Luce non è così male. È bruttissimo, prof! Ormai per me lei era Angel. E poi all’artistico per libertà di espressione si accettavano i nomi d’arte. Va bene, Angel. Ma sui compiti ti firmi come sul registro. Sì, sì prof.
Sul corpo sottile e minuto esibiva ogni giorno un look diverso, minigonna a pieghe beige e calze a rete bianche con giarrettiera a fiocchetto incorporata, livello orlo della gonna, felpa oversize e calze- e sotto la felpa non hai niente? No, prof!, Direi che non è il caso- minigonna a campana, bustino in pizzo e calze con due musetti di coniglio- coniglio!- sopra le ginocchia con le orecchie che si muovevano ad ogni passo; calzoni a piccola stampa ripetuta abbassati fino al pube ed elastico delle mutandine, rosa, tirato sopra le anche, felpa bianca aperta e reggiseno. No adesso è esagerato! Dai, non puoi venire a scuola così. Angel si abbassa gli elastici delle mutande, si alza i calzoni fino in vita e chiude la zip della felpa. Sorride. Anche perché a dire il vero, sembri una che si è appena alzata dal letto. Sorride ancora di più. Non saranno calzoni del pigiama quelli che indossi? Sì, prof e ride. Rido anch’io. Chi l’ha detto che i calzoni del pigiama si devono mettere solo per andare a letto? A me questi piacciono e li voglio mettere lo stesso. Infatti, il problema non sono i calzoni del pigiama. Ma l’elastico delle mutande e il reggiseno, l’avrai capito anche tu! Ride. Sì prof, è che non ho più niente da mettermi -valanghe di vestiti- ho preso tra le cose pulite le prime che mi sono capitate, e le magliette non le ho trovate. Spiegò stringendosi a un ragazzo piuttosto informe, con una treccina lunga di barba, che se l’era sbaciucchiata per tutta la ricreazione. È suonata la campanella, dentro, in classe dai! Comunque fosse vestita non risultava mai volgare, aveva un fascino etereo, indefinibile. Dolcissima e determinata era gatta e leone assieme.
Angel non studiava tanto. Faceva fatica con la lingua, era messicana, si era trasferita da piccola con la madre e altri quattro fratelli. Ha imparato a leggere l’italiano da sola sa, mi disse dura e orgogliosa la madre l’unica volta che la incontrai, bassa, leggermente tarchiata, pelle e lineamenti tipicamente messicani. Così diversa da quella figlia fine esile e gentile. Deve assicurarsi che venga a scuola. Sta facendo tante assenze. Rischia la bocciatura. Non vai scuola? Perché non vai a scuola? Lo sai che sto male.
Angel stava malissimo quando aveva le mestruazioni, da non riuscire ad alzarsi dal letto. Stava facendo visite specialistiche, ma si dimenticava di farsi rilasciare un certificato, e in quella scuola non credevano molto a quello che diceva. Ormai aveva quasi 18 anni. Aspettava solo di potersi firmare le giustifiche da sola. Con la madre non viveva più da qualche mese. Viveva dalla zia.
A mia madre non interessa di me e dei miei fratelli. Non le è mai interessato. Quando ho 18 anni li porto via con me.
Devi venire a scuola Angel, anche se stai male, anche se dormi sul banco. Da quel giorno veniva sempre a scuola, e ogni mese, per una settimana, dormiva sul banco, con la faccia stravolta dal male e gli occhi intontiti e stanchi. Quando stava bene prendeva appunti, stava attenta e ogni volta che capiva si illuminava. Capitava sempre più spesso.
I suoi disegni erano i migliori della classe. Per guadagnare qualcosa lavorava per gli studenti della scuola, a casa, di notte, dipingeva per loro.
Un giorno la zia non volle più ospitarla. Aveva litigato con la madre. Influenzi troppo mia figlia, una zia trans che esempio dà? Dicevano che Angel viveva a casa del ragazzo informe. Poi i due litigarono. Arrivarono alle mani. Lui le fece anche male. Lei piangeva, a scuola.
Lui sta male, prof. Chi? Il ragazzo che ha alzato le mani? No lui, Angel!
Lui? Angel? -Lo stato di salute della lingua italiana stava proprio peggiorando. è vero che ormai gli viene utilizzato per a lui, a lei a loro, e si fa sempre più fatica a convincerli a sostituirlo con le forme corrette, ma adesso problemi anche con il pronome lui! Lei non mi sembrava così desueto- Lui? Sì prof, non lo sapeva? Angel è un lui. Perplessità. Ma si veste da ragazza…sì, è contro una schematizzazione del genere. Ma aveva un ragazzo. Quello dipende. Questa volta era un ragazzo.
Io sono trans, disse fiero un giorno Angel, ergendosi in un reggiseno a triangolo bianco in finta morbidissima pelliccia, mentre scuoteva la criniera rosa alzando orgogliosamente la testa.
Aveva scelto il suo nome. Lo aveva scelto con cura. Il suo nome era un urlo silenzioso, un manifesto differito, con quel nome si rivelava, perché gli angeli non hanno sesso.

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