Andrew non aveva mai creduto a quel genere di cose. Lui credeva a ciò che poteva vedere, toccare con mano: era un uomo di scienza, lui. Certo non poteva dar credito alle favole di mostri che aveva sentito da suo padre quand’era bambino, almeno così pensava.
Sebastian Darkhowler l’aveva sempre messo in guardia dalla sua rabbia. Gli aveva insegnato la meditazione, le tecniche respiratorie tramandate nella sua famiglia da secoli, tutte quelle cose che aveva sempre ritenuto stupidaggini, che pareva servissero a tenere a bada la sua “bestia interiore”, come diceva suo padre.
«Non lasciare che essa prenda il sopravvento su di te» gli diceva. Andrew seguiva quelle lezioni solo per fargli piacere, fingeva di stare attento ma in realtà passava tutto il tempo a desiderare di essere altrove.
Ah, se solo avesse potuto prevedere ciò che sarebbe successo, allora sì che avrebbe prestato più attenzione, avrebbe cercato di imparare il più possibile.
Entrò come una furia a Mirkley Manor, la vecchia casa abbandonata di Blackmoore, e prese subito a cercare un modo di bloccare la porta. Vide una vuota libreria di mogano poggiata contro una parete, ed emise un sospiro di sollievo. Non fu difficile sollevarla sulla propria testa, e trasportarla fino al pesante portone del maniero, in modo da bloccarne l’entrata. Dopotutto quella notte era più forte che mai. Chi l’avesse visto per strada non avrebbe mai immaginato la forza che possedeva: un giovane mingherlino, emaciato, con quel colorito pallido che contrastava sgraziatamente con i suoi capelli corvini. Non sembrava certo un tipo pericoloso, chi avrebbe mai immaginato la sua natura bestiale?
Corse al piano di sopra, e non poté fare a meno di notare quanto avvilente potesse essere morire in quel posto. La carta da parati verde scuro era strappata in più punti, rivelando un brutto muro tutto crepato, le assi del pavimento erano talmente impolverate che parevano grigie, e il puzzo di muffa e legno marcio era così disgustoso che quasi non gli venne da vomitare. No, pensò, non sarebbe morto in quel postaccio.
Il suo fine udito animale sentì i rumori di qualcuno che tentava di sfondare la porta, e capì che la libreria non avrebbe tenuto per sempre. Salì l’ultima rampa di scale, che a ogni passo scricchiolava così rumorosamente da fargli venire il mal di testa, e attraversò un corridoio pieno di ragnatele così fitte che sembravano teli di seta. Andrew non sapeva dove nascondersi, e nel suo cervello continuava a rimbombare il giuramento che, molti anni prima, aveva fatto al padre.
«Giuramelo Andy» gli aveva detto «giurami che non ferirai mai un essere umano».
Ma se i cacciatori l’avessero trovato ci sarebbero stati solo due possibili risvolti: avrebbe contravvenuto al suo giuramento o sarebbe morto in quella casa diroccata e piena di muffa senza che nessuno se ne sarebbe accorto.
Sfondò una porta chiusa a chiave, gli bastò un calcio, e si ritrovò in una stanza che sembrava ancora più fatiscente del resto della casa: la carta da parati era praticamente inesistente, i muri erano così sudici da sembrare quasi neri, e ognuno dei pochi mobili presenti, che un tempo dovevano essere stati costosi ed eleganti, erano così malmessi e pieni di muffa che doveva essere un miracolo se ancora stavano in piedi. Che brutto posto per morire, pensò ancora Andrew, e che modo deprimente di andarsene, circondato da una muffa di cui sarebbe entrato presto a far parte.
Chi era di sotto riuscì a sfondare la porta, Andrew lo sentì chiaramente, e sentì anche quei balordi ispezionare il piano inferiore, mentre parlavano di uccidere la “bestia blasfema”, così dicevano.
Ma che diavolo stavano facendo? Non si rendevano conto che se non l’avessero trovato in tempo, se non fossero riusciti a ucciderlo prima che la luna fosse alta, sarebbero stati tutti macellati come pecore?
Forse sarebbe stata la cosa migliore. Forse Andrew doveva uscire dal suo nascondiglio, scendere le scale e rivelarsi a loro, e permettere ai loro proiettili di trapassargli il cranio. Così facendo avrebbe rispettato il giuramento fatto a suo padre, avrebbe ammazzato la bestia interiore che tanto lo tormentava, ma proprio non riusciva a sopportare l’idea di morire così, come un cane, senza lasciare una moglie a piangerlo a casa, e i giornali che avrebbero parlato di una vittima senza nome in una villa fatiscente.
No, non poteva morire a Mirkley Manor, piuttosto avrebbe tradito suo padre e tutti i Darkhowler prima di lui, avrebbe lasciato che la “bestia blasfema”, come la chiamavano i cacciatori, banchettasse con le carni degli sfortunati che, accecati dalla superbia degli uomini, avevano creduto di avere una speranza contro di lui.
Sentì numerosi passi salire le scale che scricchiolavano. Dovevano essere almeno una ventina, tutti armati fino ai denti, e non la smettevano di discutere su come avrebbero ammazzato la bestia.
Andrew non sarebbe morto in quel postaccio. Se lo ripeté nella testa, per convincersi a fare quello che doveva, per costringere sé stesso ad agire e, probabilmente, per accettare il fatto che avrebbe tradito il codice d’onore dei Darkhowler. Sarebbe morto in un bel posto, decise, in una bella casa accogliente dopo novant’anni di vita, sarebbe morto sì da solo, poiché questa era la sua maledizione, ma almeno l’avrebbe fatto in un posto diverso da Mirkley Manor.
Pensò alla casa dove avrebbe voluto tirare le cuoia. Avrebbe avuto un camino, con un bel fuocherello a riscaldarlo, e una tavola piena di deliziosi manicaretti che non avrebbe mai fatto in tempo ad assaggiare. Sarebbe morto steso in un letto imbottito di piume, con morbide lenzuola di seta, e magari un imponente lampadario di cristallo che avrebbe illuminato il suo corpo senza vita come fosse esposto nella vetrina di un negozio. Sì, così Andrew sarebbe morto, non certo in quella dannata casa dove aveva avuto l’ardire di nascondersi.
Nascondersi? Perché mai aveva pensato di farlo? Era quasi un’offesa alla sua natura l’idea che avesse avuto bisogno di nascondersi.
Ma che andava pensando? Offendere la sua natura? Quell’idea non era sua, no, lui era un uomo di pace, lui non avrebbe mai ferito un essere umano, giusto? Ma perché morire contro quei bastardi? Non era certo stato lui ad andare a cercarli, erano venuti loro, erano loro che lo avevano provocato. Quei miseri umani…
No, no! Quei pensieri non erano i suoi, erano di qualcun altro, di qualcos’altro. Quando si accorse di ciò che stava succedendo, quando si rese conto che la sua mente razionale e umana stava venendo corrotta e insozzata da una barbarie non sua, capì che la luna doveva essere ormai alta, e gli salì un groppo in gola.
No, non poteva essere. Dannazione! Era tardi, troppo tardi per fare una scelta. Ma forse la scelta l’aveva già fatta, forse non essendo fuggito, o non essendosi fatto ammazzare aveva già scelto. Sì, aveva scelto, aveva scelto la via selvaggia e bellissima della grande fiera divoratrice. Ah, che sensazione potente, che immensa gioia vi era nel lasciarsi andare a quella natura che tanto temeva. E perché avrebbe dovuto temerla? Solo i deboli temevano la forza.
Man mano che i passi dei cacciatori si facevano più vicini, i pensieri della bestia presero lentamente il posto di quelli di Andrew, e l’idea di dover scappare da quei miseri umani pareva sempre più assurda. Nascondersi? Fuggire? Quando mai un lupo era fuggito di fronte alle pecore? Venite cacciatori, pensò la bestia, avvicinatevi, la potente luna è ormai alta nel cielo.
Andrew sentì un dolore lancinante alle ossa, come se ciascuna di esse venisse frantumata da un martello, gli sembrò che la sua pelle si lacerasse ad ogni movimento, e i muscoli che si ingrossavano gli procuravano così tanto dolore che non poté fare a meno di urlare terribilmente. Ben presto, però, l’urlo si trasformò in un agghiacciante ululato, che solcò la notte come un gufo e rivelò la sua posizione ai cacciatori.
Dopo poco quelli aprirono la porta della stanza dov’era nascosto Andrew, ma lui non c’era più. No, Andrew non era più il padrone del suo corpo, poiché in quel momento esso era della bestia blasfema.
I cacciatori furono terrorizzati alla sua vista, e fecero per puntare i fucili verso di lui ma, rapido come un fulmine, il licantropo saltò alla gola del primo, lacerandola, ed il sapore del sangue gli diede più energia. Squartò ciascuno dei cacciatori ingoiando i loro organi interi, senza neanche masticare, spezzò loro le ossa e si cibò delle loro carni, ridendo come un pazzo delle loro urla di dolore. Divorò ogni brandello dei suoi miseri assalitori, e ululò nuovamente con gioia bestiale, beffandosi della debolezza di quei corpi senza vita.
Quella notte non rimase neanche un cadavere a Mirkley Manor, tanta era la foga della bestia, e alla fine quel brutto posto non fu la tomba di Andrew. No, a diventare muffa non fu Andrew, furono i ventiquattro cacciatori che, nella loro superbia, avevano creduto di avere una possibilità. E infine la bestia blasfema prevalse, e Mirkley Manor grondò di sangue.