Body Negative

di

Data

Non ci posso credere. Nonostante tutto sono ancora lì. Antiestetiche. Brutte. Lardose. Vado in palestra quattro volte a settimana e mi alleno quotidianamente anche a casa. Mi sfondo di lavoro aerobico e total body. Addominali, piegamenti, cyclette, tapis roulant, bilancieri… di Lorenzo Coppolino

Non ci posso credere. Nonostante tutto sono ancora lì. Antiestetiche. Brutte. Lardose. Vado in palestra quattro volte a settimana e mi alleno quotidianamente anche a casa. Mi sfondo di lavoro aerobico e total body. Addominali, piegamenti, cyclette, tapis roulant, bilancieri e attrezzi vari. Niente da fare. Il peso sarebbe anche accettabile, quantomeno nella norma, ma questi orribili inestetismi mi fanno vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto. Le chiamano maniglie dell’amore. Un’espressione zuccherina, smielata, rassicurante. É sempre così quando si cerca di far passare lo sbagliato per normale. Una volta eri una balena spiaggiata, oggi sei curvy; una volta sfottere uno basso chiamandolo tappo era la normalità, adesso si sono inventati che è una forma di discriminazione chiamata heightism. Le idiozie hanno sempre nomi anglofoni. In realtà, in questo clima di accettazione a ogni costo dovrei sentirmi a mio agio e invece no, vaffanculo. Non mi interessa l’indulgenza degli altri. Io la mia natura la voglio cambiare. ‘Ste maniglie di merda mi hanno rotto il cazzo.
Il respiro è affannoso ma i polmoni tengono botta. Non sono né giovane, né vecchio anche se ho letto da qualche parte che l’invecchiamento inizia a partire dai trent’anni. E io quell’età l’ho passata da un po’. Da un’altra parte invece ho letto di un miliardario che sta spendendo un patrimonio per tornare ad avere il corpo di un diciottenne. È sempre una questione di prospettiva. La pendenza del tapis roulant che ho fatto installare nella mia piccola ma accessoriata palestra casalinga sfida la gravità ma io non sono miliardario e devo arrangiarmi. Sento bruciare i quadricipiti. Percepisco in una perfetta tavola anatomica mentale dolore benefico al retto femorale, al vasto intermedio, a quello laterale e a quello mediale. Un ultimo sforzo prima di completare questo ennesimo allenamento. Mi sono messo in testa che ce la farò, dovessi sacrificare tutto.
Mi distrae il citofono. Sarà sicuramente il postino per qualche raccomandata o multa non pagata. Sono mesi che non ordino più nulla online.
Ho ragione. Il postino, gentile e impeccabile nella sua divisa gialla e blu, mi sventola davanti agli occhi una raccomandata da firmare. Con noncuranza scarabocchio il cartoncino che mi porge e con altrettanta noncuranza gli rivolgo un cenno di saluto elettrico, come se mi avesse punto sul naso una vespa.
Il mittente è l’azienda per cui lavoro. Una lettera di licenziamento per prolungate assenze ingiustificate. Nemmeno loro capiscono, eppure speravo che lavorare in un’azienda che producesse prodotti dimagranti li avrebbe resi più comprensivi nei confronti del mio disagio. Chi meglio di loro dovrebbe sapere cosa significa essere costretti a combattere con fastidiosi inestetismi? Sono sei mesi che manco dal lavoro e loro niente. Nessun invio di prodotti per far sparire il grasso. Neanche una telefonata per aiutarmi a risolvere un problema che dovrebbe star a cuore più a loro che a chiunque altro. Solerti solamente, da bravi burocrati senz’anima, nel notificarmi il licenziamento. Non c’è più nessuno che svolga il proprio lavoro con passione. Aspettano la fine del mese per essere pagati e poi via con l’impersonale routine fino al successivo bonifico.
Mi asciugo il sudore dalla fronte e dalle spalle e poi procedo con gli addominali. Cento. Duecento. Trecento. Non bastano mai. Quelle flosce orecchie di cane si muovono al ritmo della mia fatica, schernendomi a ogni respiro, appesantendomi in ogni contrazione. Ultimati gli addominali mi alzo, rivolgendo allo specchio uno sguardo stravolto e rabbioso al tempo stesso. Afferro l’orrenda propaggine adiposa. La peso tra le mani. La stringo fino a baciarla di un rossore che domani sboccerà in livido. Sparisci! Va’ via da me! Sono anni che mi tormenti e pur avendo un corpo tonico tu sei sempre lì a ricordarmi quanto sia volgarmente brutto. Me lo ricordi quando indosso una t-shirt aderente o quando non riesco a trovare una taglia di pantaloni che mi calzi a pennello. Cosa sei? Un riflesso della mia cattiva coscienza? La colpa che dovrò espiare tutta la vita per aver mangiato troppe merendine da ragazzino? Un’escrescenza tumorale che si ingrossa nutrendosi delle ultime aree sane del mio cervello? Non posso più dartela vinta. Oggi è l’ultima volta che ti prendi gioco di me.
Tiro fuori dallo sgabuzzino la cassetta degli attrezzi e una matassina di filo spinato e inizio a ragionare su una possibile e proficua sessione di training. Dispongo sul tappetino per gli esercizi un paio di pinze, il saldatore portatile e il coltello elettrico per tagliare il prosciutto per poi passare in bagno a recuperare disinfettante e garze. L’armadietto dei medicinali non mi viene in soccorso con grandi quantità di calmanti o anestetici ma forse va bene così, perché questa sessione richiede lucidità e massima prestanza fisica. Non vorrei rischiare di commettere qualche errore o, peggio, di avere una crisi nel bel mezzo dell’allenamento. Mi accontento di tirar fuori del ghiaccio dal freezer per appoggiarlo alla viva pelle delle mie maniglie dell’amore.
Mi spoglio rimanendo solo con gli slip e il contatto col freddo mi dà un duraturo ma piacevole brivido. La mia determinazione però è bollente come la lava di un vulcano e mentre cerco di anestetizzare la zona interessata inizio ad avvolgerla con il filo spinato. Una volta terminato l’avvolgimento mi rotolo sul tappetino per far aderire bene gli spuntoni all’epidermide. Si infilano nella carne grassa senza particolare fatica e, tutto sommato, senza neanche particolare sofferenza da parte mia. L’intera area da sottoporre a trattamento è ora ben evidenziata. È il momento di prendere gli attrezzi.
Ho immaginato molte volte questo processo ed effettivamente non si sta sviluppando in maniera dissimile dalla mia fantasia. Sulle gambe iniziano a cadere le prime gocce di pioggia rossa, avvisaglie del diluvio purificatore che potrà annegarmi o salvarmi una volta per sempre.
Raccolgo da terra le pinze, rabbrividendo per il contatto tra la mia pelle nuda e il freddo linoleum del pavimento. Adesso c’è la fase più difficile perché con una mano dovrò usare la pinza per tenere in estensione il lembo di pelle e con l’altra dovrò effettuare il taglio con il coltello elettrico. Poi dovrò fare la medesima cosa invertendo il lato da incidere e, di conseguenza, anche le mani.
Freddo e caldo insieme. Il ronzio del coltello appena attaccato alla presa e la pelle del fianco destro che si tende con l’abbraccio meccanico e impersonale della pinza. Faccio un respiro profondo e inizio a tagliare. Vorrei urlare ma trattengo ogni sillaba come quando sono stremato alla fine di una lunga corsa. Il coltello a contatto con la pelle grinzosa e adiposa sembra fermarsi, incistandosi in una piccola e insignificante incisione superficiale. Vrrrr vrrrrr. Si ferma e poi riparte cercando di liberare dai dentelli affilati quella carne non ancora lavorata. Vrrrr vrrrr. Cerco di assecondarne il movimento ma senza fare sforzi bruschi perché senza quel coltello elettrico probabilmente sarei perduto e il grasso vincerebbe, ancora una volta. Improvvisamente però, quel grasso recalcitrante e negligente cede e la lama penetra come se la mia pelle fosse fatta di burro. Il coefficiente di dolore, messo in relazione con la rapidità del taglio dell’intera area è pressoché nullo rispetto alla sofferenza che provavo mentre la lama cercava di farsi strada nella coriacea resistenza dell’epidermide e del derma. Il mio nemico, quel tessuto adiposo sottocutaneo, si credeva invincibile, ma si sbagliava. Eccolo qui, saponato e inconsistente, che cola sconfitto e prostrato sul pavimento, misto a brandelli di pelle. Una vittoria che ha l’odore metallico del sangue e quello aspro del sudore. No pain, no gain. Più o meno è scritto in ogni palestra.
L’operazione però non è finita. Sto perdendo parecchio sangue e devo sbrigarmi prima che la situazione si complichi. Il piccolo saldatore portatile che avevo messo a scaldare è ora pronto e non c’è nulla di meglio per provare a cauterizzare le ferite. Lo applico sentendo la pelle sfrigolare ed emettere un profumo, neanche troppo sgradevole, di carne arrosto. Il dolore è lancinante, ma ancora sono sufficientemente presente a me stesso per completare la procedura prima di passare al fianco sinistro.
Sono a metà dell’opera, ho quasi finito. La barriera è stata ormai attraversata e non c’è più nulla che possa spaventarmi. Ripeto lo stesso rituale, ma con maggior consapevolezza. Il taglio stavolta è più preciso, il coltello collabora di più e il grasso ha ormai alzato bandiera bianca. Non può più resistere perché sa che ho compreso il suo punto debole. Lo sono andato a scovare in casa, nascosto negli anfratti sicuri e confortevoli di una fortezza di carne che credeva inviolabile. Pensava che non avrei profanato il tempio del mio corpo; si sentiva in un luogo consacrato ma io ormai non ho più sciocche divinità da pregare. Lui, pigro e ignavo come i porcellini della favola, non avrebbe mai pensato che il lupo cattivo gli avrebbe raso al suolo la casa. Incidere. Tagliare. Svuotare. Sanguinare. Cauterizzare. Fasciare. E finalmente vincere. Guardo l’orologio e vedo che tutta questa operazione non è durata neanche cinque minuti. C’è voluto meno di un circuito di pesi per allenare le braccia.
Rivolgo di nuovo lo sguardo allo specchio, ebbro di una lieta stanchezza, e vedo che quelle orribili protuberanze non ci sono più. Il mio corpo è finalmente armonico. Tiro un sospiro di sollievo nonostante le garze sterili con cui ho fasciato fianchi e addome siano zuppe di un sangue vendicativo che non accenna a diminuire. Non mi importa. La mia mente e il mio corpo sono forti e fermeranno anche il flusso del sangue. E appena il flusso del sangue si fermerà e i tessuti si rimargineranno tornerò al lavoro dicendo che finalmente ci sono riuscito e che tutti i loro integratori possono metterseli nel culo. E poi potrò tornare in palestra dal personal trainer dicendogli di cambiare mestiere … e poi, ehi, è anche ora di pranzo. Forse sarebbe il caso di mettere qualcosa sotto i denti. Ovviamente ad alto tasso proteico e con pochi grassi, altrimenti tutti gli sforzi di oggi andrebbero a farsi benedire. Mi avvicino al freezer e tiro fuori un po’ di carne da scongelare. Da qualche parte ho letto che quella umana ha ottime proprietà nutritive e, per fortuna, grazie a mia moglie e a mio figlio, ne ho ancora una discreta scorta.

Ultime
Pubblicazioni

I racconti di Omero

Drago

Sfoglia
MagO'