La notte aveva lasciato il posto all’alba. Una luce, dapprima incerta, aveva invaso la camera da letto, un chiarore riflesso sul parquet lucido aveva annunciato il giorno. Mario si era alzato senza fare rumore, sua moglie accanto a lui dormiva tranquilla, il respiro lento sollevava i suoi seni da bambina appena nascosti da una camicia bianca. Quella tranquillità lo aveva turbato, il giorno era finalmente arrivato, avrebbe ricevuto il Premio Avvocato dell’Anno, Anna non poteva averlo dimenticato, invece dormiva indifferente, il volto magro e pallido, il naso dritto e le labbra perfette, come se quel volto fosse fatto di ceramica. Quando le parlava del premio Anna sorrideva, rimaneva in silenzio, i suoi occhi verdi sembravano guardare lontano, oltre le parole. Si era seduto sul bordo del letto, lo sguardo fisso sul volto di ceramica di sua moglie che continuava a dormire, i capelli lisci e biondi sparsi con ordine sul cuscino. Una bambola di ceramica dal respiro lento e regolare, Mario le aveva accarezzato il volto, era freddo e lucido, anche i suoi seni piccoli da bambina erano freddi e lucidi.
Lo specchio del bagno rifletteva la sua faccia, piccole rughe a segnare il tempo, gli occhi gonfi di chi non dorme abbastanza. Il rasoio scorreva lento, la mano era divenuta prudente, la rasatura doveva essere perfetta per quel giorno speciale. Sua moglie era entrata in bagno senza fare rumore, era a piedi nudi, lo aveva abbracciato, mi piace vederti fare la barba. La voce di sua moglie aveva qualcosa, una lontana eco, una dissonanza quasi impercettibile. L’aveva abbracciata, tremava dentro il suo abbraccio, il suo corpo magro, e suoi occhi verdi, i seni piccoli da bambina continuavano a emozionarlo. La piccola cicatrice sotto il mento, che si era procurata da bambina, lo aveva fatto sorridere, l’aveva baciata sulle labbra. Le labbra di sua moglie sapevano di limone, la bambola di ceramica aveva ripreso vita. Vado a letto ho ancora sonno, vai da solo non ce la faccio, mi dispiace, si era allontanata con il suo passo dondolante. Vai da solo, quelle parole lo avevano ferito, non riusciva a sopportare quella indifferenza, era il suo giorno e a lei sembrava non importare. Mario aveva scacciato via quel pensiero, nulla doveva turbare l’armonia di quel giorno speciale. Si era vestito con attenzione, era tornato in camera da letto per salutarla, Anna dormiva. Lo specchio rifletteva l’immagine di un uomo elegante, un impeccabile avvocato d’affari. Arrivare in ritardo sarebbe stato imperdonabile. In garage la BMW cabriolet blu si era accesa con un sussurro, aveva indossato il suo berretto grigio con la visiera perché il vento non gli scompigliasse i capelli e i Ray-Ban con le lenti verdi, aveva acceso la radio, Keith Jarrett suonava One Day I’ll Fly Away.
La sala era piena, una giovane donna in tailleur blu lo aveva accompagnato, il suo posto avvocato, la mano della donna aveva sfiorato la sua, si era girato a guardarla mentre si allontanava. La sala si riempiva lentamente, doveva alzarsi spesso per salutare quelli che conosceva. In città quelli che contavano si conoscevano tutti. I saluti più calorosi erano riservati ai colleghi con cui aveva avuto gli scontri più duri. In quelle occasioni, le parole erano rimaste garbate, mai un tono fuori posto, un odio elegante e implacabile. Tutta quella ipocrisia all’improvviso gli pesava, si era girato per cercare la donna in tailleur blu, sono qui avvocato, la donna era in piedi accanto a lui sorrideva, la camicetta bianca sotto la giacca tratteneva a stento il suo grosso seno, Mario aveva sfiorato la mano della donna, un gesto audace che lo aveva sorpreso. Una donna grassa ingioiellata, con un profumo troppo dolce, aveva tossito e lo aveva guardato, il suo sguardo era pieno di rimprovero. Il momento della premiazione era arrivato, il Presidente dell’Ordine aveva fatto il suo nome, tutti avevano applaudito, era stato il più bravo con il suo studio prestigioso costruito in anni di lavoro. Congratulazioni avvocato, venga con me, la donna in tailleur blu lo aveva preso per mano. Mario si era alzato, la sala era divenuta silenziosa, la donna grassa e ingioiellata aveva tossito. Qualcosa aveva mosso l’aria, come se un grosso uccello fosse entrato nella sala e avesse iniziato a sbattere le sue ali, Mario aveva alzato lo sguardo, per un attimo gli era sembrato di vedere un grosso uccello nero con le ali grigie, il becco lungo e nero. La donna in tailleur blu aveva sollevato lo sguardo e sorriso, il braccio alzato in un cenno di saluto come se conoscesse il grosso uccello nero. Un odore di selvatico aveva invaso la sala, una piccola porta si era aperta su di un lato, andiamo, aveva detto la donna in tailleur blu, il cuore aveva iniziato a battere veloce, la donna grassa e ingioiellata non la smetteva di tossire, Mario aveva allentato il nodo della cravatta. Il Presidente dell’Ordine lo stava aspettando, sorrideva, gli sguardi della sala erano tutti su di lui, nessuno sembrava aver visto il grosso uccello nero. La donna in tailleur blu lo aveva accarezzato sul volto, aveva aperto la piccola porta ed erano usciti dalla sala. Mario si era girato per un attimo come se volesse tornare indietro, la donna in tailleur blu lo aveva preso per mano, impossibile fuggire da quella stretta. La BMW correva veloce, la donna in tailleur blu seduta accanto a lui rimaneva in silenzio, indicava la strada con rapidi cenni del capo, il grosso uccello nero era scomparso portando con sé il suo odore selvatico, il canto incosciente delle cicale rompeva il silenzio, in lontananza dopo le colline si vedeva il mare.
Nella stanza solo un letto, due comodini e un lavabo di metallo bianco. L’aria aveva iniziato a tremare, dapprima in modo impercettibile, poi le lenzuola si erano mosse rispondendo a quel tremore, come se per un attimo avessero preso vita. Mario aveva alzato lo sguardo, ma non c’era traccia dell’uccello nero. Il suo sguardo aveva incontrato solo il soffitto bianco scrostato in più punti con al centro un lampadario di cristallo. Non avere paura, la donna in tailleur blu aveva spalancato la finestra e aveva iniziato a spogliarsi lentamente per prolungare l’attesa, lui si era liberato dei vestiti preso da un furore che aveva dimenticato. L’odore dell’estate entrava dalla finestra aperta, le cicale cantavano il loro canto incosciente. La donna in tailleur blu era sdraiata nuda accanto a lui l’odore forte del suo sesso lo stordiva, lei rimaneva immobile, una bambola di carne in attesa. La bambola di carne lo aveva guardato, Mario le aveva accarezzato i seni, sotto le sue dita i capezzoli della donna si erano induriti. L’aveva abbracciata, era entrato dentro di lei con una violenza che non aveva mai conosciuto. Il tempo avrebbe dovuto fermarsi, non si era mai sentito così, non era solo il piacere, non aveva più paura, si sentiva felice al sicuro, protetto da quell’abbraccio che lo aveva riportato in un luogo lontano e tranquillo. L’urlo della donna aveva rotto l’incanto, era venuto dentro di lei. La malinconia lo aveva raggiunto, portando con sé quella sensazione di vuoto e di inutilità, doveva alzarsi e andare via, forse era ancora in tempo per la premiazione, Avvocato dell’Anno aveva lavorato duro per quel risultato. Aveva costruito la sua vita giorno dopo giorno senza fare errori, aveva rispettato tutte le regole, aveva fatto tutto quello che gli altri si aspettavano da lui, aveva il suo lavoro, una bella casa, una bella macchina, una moglie che lo amava, era invidiato e temuto, non poteva perdere tutto. Non posso stare con due donne, quelle parole erano state una specie di lamento, Mario quasi non riconosceva la sua voce. Si era alzato dal letto, il pavimento di parquet aveva scricchiolato sotto i suoi piedi, dalla finestra aperta poteva vedere la campagna fuggire verso una lunga striscia scura che doveva essere il mare. La donna in tailleur blu, lo aveva accarezzato, si era inginocchiata davanti a lui, la testa della donna si muoveva attorno al suo sesso, veloce poi lenta, con un ritmo che non lasciava scampo. Un gemito e tutto era finito, erano sdraiati a terra, si tenevano per mano, il parquet odorava di legno e cera, non so nemmeno come ti chiami, la donna aveva riso e gli aveva sussurrato qualcosa in un orecchio. Non poteva farlo, doveva dimenticare quella donna. La donna in tailleur blu si era girata su di un fianco, il respiro appena accennato, sembrava una bambina felice che dormiva nel ventre della madre. Si era vestito con calma, la camicia bianca, l’abito sartoriale, la cravatta erano perfettamente stirati, così le calze, le scarpe sembravano essere state appena lucidate, qualcuno doveva averlo fatto mentre facevano l’amore. Un’idea assurda, ma non aveva tempo per pensarci. Lo specchio della camera rifletteva l’immagine di un uomo vestito in modo impeccabile.
La BMW correva veloce, aveva accesso la radio, Keith Jarrett stava suonando Where Can I Go Without You, ripensava alle parole sussurrate all’orecchio, non doveva più rivederla, si sarebbe scusato con il Presidente dell’Ordine, si sarebbe scusato con tutti, non avrebbe più tradito sua moglie, l’amava. La porta del garage si era aperta senza fare rumore, aveva salito le scale a piedi, con lentezza per avere il tempo di pensare, il cuore batteva veloce, doveva trovare le parole migliori, sua moglie non doveva sapere, se lo avesse saputo forse lo avrebbe perdonato, ma non voleva rischiare. Aveva aperto la porta, la casa era silenziosa, le serrande abbassate, si era tolto le scarpe, le calze. Questa volta il parquet non aveva scricchiolato sotto i suoi passi. La casa sapeva di tiglio, un odore che gli ricordava l’infanzia e le estati a casa dei nonni, era stato un bambino ubbidiente, i nonni erano fieri di lui. Sua moglie era in camera da letto, davanti allo specchio, aveva indossato il tubino nero e le scarpe con il tacco sottile, teneva in mano il filo di perle che le aveva regalato a Natale. Ti aiuto io, Anna si era girata di scatto, ma non aveva sorriso, lo aveva guardato in silenzio, uno sguardo che valeva più di tante parole. Sua moglie piangeva, se lei avesse urlato, se avesse fatto qualcosa invece di piangere in silenzio e di guardalo in quel modo, sarebbe riuscito a fermarsi. La donna in tailleur blu aveva ragione, meritava qualcosa di meglio, era lui che doveva perdonarla, era il suo giorno e a lei non importava, era rimasta a dormire, lo aveva lasciato solo. Le aveva stretto le mani attorno al collo, lo sguardo di Anna si era riempito di paura, ma ormai era troppo tardi, così non si era fermato. Un odore di selvatico aveva invaso la camera, sua moglie sul pavimento di parquet era un piccolo corpo da bambina abbandonato dalla vita. Mario l’aveva presa in braccio e deposta sul letto era leggera, più leggera di quanto ricordasse, le aveva sistemato tubino nero e le scarpe con il tacco sottile. Il filo di perle stonava un po’ attorno al collo bluastro di sua moglie. Mario, davanti allo specchio, si era sistemato il nodo della cravatta.
La sala era piena, il Presidente dell’Ordine lo aveva abbracciato, gli applausi sembravano non finire, un discorso perfetto, anche la donna grassa ingioiellata aveva applaudito, si sentiva felice. L’odore di selvatico aveva invaso la sala, il grosso uccello nero era accanto a lui, quell’odore gli toglieva il respiro.