Come una danza. L’aveva vista da lontano, tra la gente che camminava rapida e grigia sui marciapiedi bagnati. La pioggia era terminata da poco in realtà, ma si percepiva ancora sulla pelle, leggera e malinconica.
Lei era una donna elegante, aveva un’aria raffinata e sensuale. Avvolta dal suo impermeabile azzurro, come il cielo avvolge una nuvola. Anche lui era elegante ma in modo diverso, come un grattacielo che il cielo lo sfida e sa di perdere sempre.
Un incrocio di sguardi tra i due. Lui aveva abbozzato un sorriso. Lei aveva rivolto lo sguardo da un’altra parte.
Secondi. Poi lei era tornata su di lui. Senza sorridere. Lasciandolo con quell’espressione complicata nella quale il sorriso e il desiderio si mescolano alla delusione.
Secondi. Poi lei era tornata su di lui, che nel frattempo non sorrideva più e gli lanciò un sorriso. L’uomo cercò di avvicinarsi, facendosi largo tra le persone che si frapponevano tra loro, come un muro scalcinato ma spesso, di quelli con i cocci di vetro sulla cima.
Un passo avanti, uno indietro, una spinta, una spallata ma lo sguardo sempre fisso su di lei, come se nei suoi occhi lei avesse una corda che lo tirava a sé, ineluttabilmente. O come se lei fosse un magnete e lui un pezzo di ferro un po’ arrugginito.
Uno sguardo, una spallata, una spinta. La corda si spezzò, il magnete si frantumò e lei fu inghiottita tra la folla, come la sabbia inghiotte una moneta, che cade da mani tremanti.
Quella notte lui la sognò. La folla si era allontanata, senza motivo né senso e si ritrovarono improvvisamente uno di fronte all’altra.
– Ti cerco da molto tempo.
– Io no.
Secondi. E poi:
– Da quanto tempo mi cerchi? Chiese lei.
– Da quando mi sono perso.
– Hai bisogno di una guida, allora, non di una donna. E rise.
Una musica di una giovane cantante venne fuori dal nulla. Si girarono entrambi. La musica non veniva, la musica era. Lì con loro.
– Ho bisogno di ballare con te.
Lei rise ancora, con gioia, a volume alto, tirando la testa all’indietro, agitando i capelli e mostrando il suo collo sinuoso e abbronzato.
– Posso? Disse lui, prendendola per i fianchi.
Lei si spostò.
Secondi. Poi lei gli mise le braccia al collo.
– Balliamo, ora, se vuoi.
E ballarono, ballarono, vicini, vicinissimi, poi distanti, per un tempo incalcolabile, dolce e brevissimo.
Il sole debole dell’alba penetrò dalla finestra della stanza, che lui teneva sempre aperta, nella speranza che qualcosa entrasse, prima o poi.
Aprì gli occhi e, assonnatissimo, sentì in lontananza quella stessa musica della giovane cantante.
Concluse che dalla finestra potevano entrare solo i sogni. La musica si confuse con la pioggia.
Si rigirò sul fianco, strinse a sé il cuscino, attendendo di ritrovare lei, in sogno.