Il caffè di Greg

di

Data

Se qualcuno lo avesse visto in quel momento così com’era si sarebbe sicuramente spaventato. Si guardò nello specchietto dell’auto: faceva davvero paura. Nella sua macchina, sempre pulita e profumata, sembrava infatti che fosse esplosa una bomba. Era profumata, non del classico arbre magique, ma di fiori… di Assunta Totaro

Se qualcuno lo avesse visto in quel momento così com’era si sarebbe sicuramente spaventato. Si guardò nello specchietto dell’auto: faceva davvero paura. Nella sua macchina, sempre pulita e profumata, sembrava infatti che fosse esplosa una bomba. Era profumata, non del classico arbre magique, ma di fiori. Un intenso profumo di fiori, quasi nauseante, anzi quel profumo così intenso di gladioli, rose, mughetti, fresie gli provò un conato di vomito. Aveva lo stomaco in subbuglio, non aveva ancora smaltito del tutto l’alcool ingurgitato il giorno precedente.
Le prime luci dell’alba apparivano nel cielo. Lui non si era accorto del nascere del sole, preso com’era da ciò che stava vivendo.  Le case, di chi si alzava presto per recarsi al lavoro, prendevano vita e il quartiere piano piano si risvegliava dal tepore notturno. Era arrabbiato, stanco e aveva mal di testa. Era arrivato verso l’imbrunire e aveva “lavorato” per tutta la notte.
Arrivare in quella casa, quella che fino a qualche giorno prima era la loro casa, il loro nido e togliere tutti quei fiori, quei dannati fiori che lei amava tanto. Li doveva togliere prima che lei tornasse. Aveva bisogno di farlo, per scaricare tutta l’incazzatura.
Si guardò nuovamente nello specchio massaggiandosi il mento.
Era sudato, indossava una felpa, dei pantaloncini e un paio di havaianas. Puzzava. Da quanto tempo non faceva una doccia e non si radeva? Boh! Non se lo ricordava. Dopo che lei gli aveva telefonato e gli aveva urlato per telefono che se ne sarebbe andata, che era stufa di lui, che sarebbe tornata solo per prendere le sue cose, si era seduto attonito, nel suo ufficio in città, e aveva cominciato a bere. Due bottiglie di whisky invecchiato di dieci anni, regalategli da un fornitore, erano state svuotate nel giro di pochissimo tempo. Poi si era addormentato riverso sulla scrivania. Quanto aveva dormito? Non lo sapeva. Dove aveva preso gli abiti che indossava? Come era arrivato a casa? Vuoto. Nella sua memoria c’era un blackout.
Ricordava di aver iniziato a strappare i fiori. Quei fiori che lei amava tanto e che lo avevano tenuto impegnato praticamente tutti i week end da immemore tempo. Aveva guardato il giardino, ordinatissimo, ordine quasi maniacale, perfetto nella sua varietà di colori e nella bellezza delle specie.
Prima di avventarsi su quei poveri fiori, sul suo volto era apparso un accenno di sorriso, o forse era più un ghigno di piacere per ciò che stava per compiere.
Cominciò dai gladioli e i lilium, che con il loro nettare attiravano api e farfalle, li sradicò. Poi fu la volta delle dalie, delle begonie e degli anemoni. Alle fresie e alle calle dedicò un trattamento speciale: le tagliò a pezzetti aiutandosi con un coltello. Ad ogni pezzetto tagliato dei fiori, abbinava un appellativo dispregiativo che dedicava a lei. Fu poi, la volta dei ranuncoli, a cui tagliò le corolle e andò avanti così, lasciando per ultime le rose, le maledettissime rose. Fiore splendido, per eccellenza metafora dell’amore, della caducità della bellezza, della primavera della vita…  Lei le aveva volute di diverso tipo: nane, rampicanti, a cespuglio; aveva voluto che gliele piantasse per gradazione di colore: dal bianco, al giallo, al rosa, fino al violetto. Così belle, così profumate, così piene di spine.
Lui le detestava! Le aveva recise, sradicate, calpestate, ci era saltato sopra e infine ci aveva orinato.
Dopo aver distrutto tutto, preso da un raptus, aveva cominciato a caricare tutti i resti: rami, gambi, petali, nel baule della sua auto e dopo averlo riempito aveva continuato come un folle a buttare tutto quello che restava all’interno dell’abitacolo.
Nell’ultimo giro, dal giardino all’auto, era inciampato rovinosamente, sparpagliando tutto ciò che aveva tra le braccia. Si era tirato su e aveva preso a calci e schiacciato quel po’ che restava dei fiori.
Fu in quel momento che rialzando gli occhi si rese conto che c’erano una decina di occhi che lo stavano fissando stupiti.
Che figura di merda!, pensò, e per sdrammatizzare domandò: “Qualcuno vuole un caffè? Offro io”.

Ultime
Pubblicazioni

Sfoglia
MagO'