Di notte, nel letto, Tullia e Armando assumono la posizione a cucchiaio, l’abbraccio da dietro di Tullia circonda la vita di Armando, le ginocchia penetrano nell’incavo delle sue gambe raccolte. I due corpi, di fianco, uno impilato all’altro, big spoon e little spoon, si fondono uno con l’altro, ma basta che la mano di lei si ponga a conchiglia sul sesso di lui perché i corpi si sciolgano e cominci la danza a corpo libero dei cinque ritmi: Fluire, Staccato, Caos, Libero e Quiete.
A spaziare sul letto pare sia solo Armando, rotola, si flette, si inginocchia, si erge, molleggia, mentre Tullia, esile e flessibile, leggera come una piuma, si adatta alle figure in movimento.
Il pas de deux è accompagnato da sospiri, risolini e gridolini, fino alla deflagrazione che giunge inaspettata all’unisono con l’acuto da contralto di lei, e quello, da baritono di lui. Cala poi un silenzio acquatico e Tullia e Armando riprendono la posizione composta del centauro dormiente.
Di giorno, quando è in casa, Armando rumoreggia e produce al passaggio piccole scosse telluriche che riassestano le varie masserizie sparse tra la mobilia, Tullia, invece, genera, tra le mura domestiche, l’effetto lieve di una brezza tiepida che spira dal mare, placa gli animi e predispone al buonumore e alle effusioni.
La camera da letto, una stanza dorata per via delle pareti giallo ocra e della luce bionda che penetra attraverso la tenda color crema, è il regno di Tullia che troneggia, nella posizione del loto o del diamante, sulla piazza matrimoniale. Sopra il letto campeggia la stampa su tela raffigurante il volo sulla città di Marc Chagall e sua moglie Bella. Dono di compleanno di Armando per Tullia.
Il frastuono dei programmi televisivi, la musica, i suoni delle vettovaglie in cucina e il chiasso di Armando in continuo movimento, giungono nella camera attutiti e non disturbano Tullia che, nel tempo libero, studia, legge, scrive, spilucca frutta, sorseggia tisane, trilla con voce cristallina in videochiamata con le amiche, disperse ai quattro cantoni del mondo.
Una sera d’inverno, seduto sul bordo del letto, occhi, mento e spalle in giù, Armando confessò a Tullia che forse non l’amava più. Tullia gli scivolò rapida accanto, i piedi calzati a terra e lo sguardo sbarrato da pesce.
Le parole di pietra rimasero sospese a mezz’aria e presero ad echeggiare nell’aurea stanza. Tullia distesa sul letto, immobile come un opossum, le impresse nella memoria e le recitava a mente.
– Forse non ti amo più.
– Davvero?
– Sì, non ti amo più come prima.
– Prima quando?
– Prima.
– E allora?
– Allora non lo so.
– …
– …
– Che facciamo?
– Non lo so.
– Me ne vado?
– No.
– Rimango?
– Sì.
– Ma se non mi ami più?
– Forse non ti amo più.
– Potresti amarmi ancora?
– Forse.
– Ma perché non mi ami più?
– Non lo so.
– …
– …
– Sei innamorato di qualcun’altra?
– No.
– Sei sicuro?
– Sì.
– Ma allora perché non mi ami più?
– Forse non ti amo più.
– Ma prima mi amavi?
– Sì, ti amavo.
– E cos’è successo?
– Non lo so.
– Ma perché me lo hai detto, se non lo sai?
– Non riesco a fingere.
– Ma uno ama o non ama, che vuol dire “forse”?
– Non è vero che si ama o non si ama, qualche volta è forse.
A Tullia pareva di galleggiare in un bianco nulla. Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento. A rilento con la levità di una falena stordita e malinconica, sbandando, riprese via via coraggio. Avrebbe atteso che il loro amore allegro e cincischiante tornasse a sfavillare. Avrebbe pregato che quella bolla che ora la avvolgeva e le rendeva estraneo l’universo, rapisse di nuovo anche lui e li togliesse come un tempo, insieme dal mondo. Come Marc e Bella avrebbero ripreso a sorvolare la città, lei avrebbe dato come prima la direzione con il braccio destro spiegato in avanti come un’ala, lui l’avrebbe cinta saldamente con il braccio sinistro da dietro e non l’avrebbe lasciata cadere nel vuoto.
Ogni sera, nel letto, adagiata di lato con il busto sollevato, le lunghe gambe da cavalletta ripiegate a esse, interrogava con lo sguardo muto Armando che, ritto in piedi, pennellone, le labbra tirate, declinava il capo.
Tullia annaspava e dal talamo coniugale si rivolgeva alle amiche che parevano saperla più lunga di lei. Non c’è rosa senza spina, né cielo senza nuvole, né amore senza lacrime. Le voci frinivano, si rincorrevano, cozzavano, rimbalzavano da una parete all’altra della camera gialla. “Forse”, l’avverbio bisillabo avvolto in un silenzio plumbeo e vischioso, rimpallava via etere e si prestava alle più disparate interpretazioni. Tullia ne coglieva al volo alcune di passaggio e le tratteneva a lungo, rimuginandoci sopra, le braccia ai lati del corpo, le punta dei piedi aperte verso l’esterno, nella posizione abbandonata del cadavere. Poteva trattarsi di depressione e allora Armando avrebbe dovuto curarsi e lei pazientare. Poteva aver preso una sbandata passeggera, in tal caso era necessario farsi da parte, in attesa che il fuoco fatuo si consumasse. Poteva essere tutta colpa sua che si era avvinghiata come l’edera intorno ad Armando, gli aveva sottratto aria e luce e ne aveva impacciato i movimenti. Senza il suo peso, lui avrebbe volato molto più in alto. Tagliarsi i capelli, viaggiare, coltivare nuove amicizie e interessi, dimostrare di essere libera e indipendente, erano i suggerimenti più appropriati. Poteva essere la crisi di mezza età che solitamente colpisce gli uomini fanfaroni e non aveva niente a che fare con lei oppure poteva considerarsi un inciampo fortunato perché avrebbe offerto alla loro relazione l’occasione di approfondirsi e di rinnovarsi. Le conveniva perciò mostrarsi fiduciosa, innamorata, rassicurante, propositiva. Poteva anche essere che Armando si mostrava per quello che era, un uomo insicuro, inerte, attaccato alle sue gonne, incapace di prendere decisioni. Bisognava, stando così le cose, abbandonarlo al suo destino, comprarsi una casa in un altro quartiere, tagliare sempre i capelli, rinnovare il guardaroba e voltare pagina.
Sul giaciglio di spine, Tullia, supina, i grandi occhi da orientale bistrati dal nero dell’insonnia, le ciglia lunghe e lucenti, trascorreva le notti, al ritmo del respiro regolare di Armando che le dormiva accanto, a chiocciola, ginocchia al petto.
Fu in un limpido giorno estivo che Tullia, sollevatasi dal letto, si voltò verso la tela di Sopra la città di Chagall. La avvolse, raccolse le sue cose, e impresse la sua assenza nell’aria.