Ai bambini si racconta di non toccare le ali di una farfalla, altrimenti non potrà più volare e resterà per sempre a terra.
Qualcosa di simile succede alle anime gemelle, spiriti affini. Così, se due persone legate da una forza innaturale si toccano, non potranno più vivere come prima.
Silvia e Michele si conobbero quasi trentenni, lei era già sposata da qualche anno, lui si innamorava ogni tre mesi di sé stesso attraverso una donna diversa e lavoravano insieme come insegnanti nella stessa scuola.
Dapprima erano semplici conoscenti, colleghi che si rispettavano con simpatia. Nel giro di qualche anno divennero confidenti che si sostenevano nella vita di tutti i giorni.
Michele usciva di casa un’ora prima del dovuto per prendere il treno di Silvia.
Silvia tornava sempre un’ora più tardi a casa per prendere il treno di Michele.
Parlavano di qualunque cosa, ogni giorno e appena ne avevano occasione, avrebbero potuto discorrere senza interruzioni per settimane o mesi se questo mondo lo avesse permesso, si sarebbero nutriti delle loro risate e avrebbero trovato riposo nelle parole dell’altro.
Non si erano mai fermati a riflettere sulla natura della loro relazione, ad entrambi bastava sapere che l’altro esistesse senza pretendere nulla in cambio dalla vita.
Come ogni anno, la scuola aveva organizzato un rinfresco per festeggiare l’inizio delle vacanze estive, per tutto il corpo docenti e le loro famiglie, in questa occasione si teneva anche una piccola premiazione per il miglior insegnante nominato dagli studenti.
Erano entrambi in un angolo della sala con i rispettivi accompagnatori: il marito di Silvia, un uomo tanto calvo quanto mediocre e la ragazza di turno di Michele, una donna insicura con troppo rossetto e poco senso dell’umorismo. Si stavano scambiando inutili convenevoli quando dall’altra parte della sala il preside chiamò sul palchetto Michele per ricevere il premio della serata.
Lui girò quasi interamente su sé stesso per rimediare al tentativo di lanciarsi subito su Silvia.
Lei girò il viso dall’altra parte quando la fidanzata gettò le braccia intorno al collo di Michele.
Durante l’estate che li separava dal nuovo anno accademico cercarono quanto possibile di proseguire con le loro esistenze separati, collezionando minuziosamente ricordi ed emozioni che avrebbero condiviso sul treno.
La mattina del primo giorno di scuola, il sole illuminava debolmente i binari.
Silvia e Michele arrivarono in stazione puntuali.
Erano soli.
All’arrivo del treno salirono sull’ultimo vagone, avevano troppe cose da dirsi e scelsero di rimanere in silenzio. Ignari, avevano permesso ai loro pensieri di allinearsi come un unico essere, una povera creatura che aveva aspettato troppo tempo per nascere ed ora sentiva così vicina la conquista della propria esistenza.
Il vagone era ancora vuoto, le loro pulsazioni coprivano completamente lo strepitio di ferraglia che invadeva il vagone dai finestrini abbassati. Silvia prese le mani di Michele. Michele la strinse forte e l’essere prese vita. Aveva quattro gambe, quattro braccia, due corpi uniti per le labbra con un solo cuore e due ali colorate. La creatura si avvolse su sé stessa in un eterno abbraccio e si lanciò dal finestrino aperto nell’aria fresca del mattino.
Volò via, lontano, senza più riuscire a toccare terra.