A cinquant’anni compiuti Marianna prese la decisione di rifarsi il naso. Aveva scoperto di averlo storto a circa sedici anni. A rivelarglielo era stato Mauro Bellocco, un suo compagno di scuola. Chiacchieravano uno di fronte all’altra quando lui si era interrotto, aveva puntato uno sguardo beffardo in mezzo al suo viso, e aveva ghignato: «Ti sei accorta che hai il naso storto? Ti pende a destra!». Lei era rimasta lì impalata e aveva notato che anche Mauro Bellocco aveva il naso storto, che virava però a sinistra. In quell’occasione, più che conoscere qualcosa di sé, Marianna aveva capito qualcosa in più dell’animo umano. Ci era rimasta male, sì, ma non era andata in mille pezzi come Vitangelo Moscarda; aveva tenuto botta e mantenuto il senno. Tuttavia, da allora, aveva cominciato a toccarsi il naso, giocando a raddrizzarselo e a tirarsi su la punta davanti allo specchio. Era diventato il suo tic che aveva avuto come unico effetto quello di arrossare e gonfiare la narice destra. Ora, a cinquanta anni compiuti, il naso sembrava più storto di quanto non fosse a sedici anni. O forse si era ingrossato insieme alla sua figura, era cresciuto con lei e aveva preso – a dispetto dei suoi tentativi di correzione – a pendere sempre di più a destra.
Nonostante il tic, nel tempo trascorso dai sedici ai cinquanta anni, aveva pensato raramente al suo naso. Sapeva che non era né alla francese, né alla greca, e che era arrossato e rigonfio da una parte, ma era una delle tante asimmetrie del suo corpo con cui nel tempo aveva preso familiarità. Aveva il seno destro più alto dell’altro, il piede sinistro un po’ più lungo, un sopracciglio più arcuato, un occhio screziato di verde palude e uno castano, delle labbra troppo mobili che a volte andavano dove gli pareva e le storcevano la bocca (una bulletta una volta l’aveva soprannominata boccastorta), ma in compenso aveva delle gambe tornite da atleta, dei capelli fluenti e lucenti da sirena e gli occhi si accendevano e si spegnevano a seconda delle circostanze, come quelli di certi bambini plusdotati.
Marianna aveva nei confronti del suo corpo lo stesso distacco e la medesima compiaciuta indifferenza di quegli stilisti abbigliati di nero e con i capelli a spazzola alle prese con pizzi, rasi, velluti multicolori e fluorescenti e stravaganti acconciature.
Era una fanatica mancata a causa di una madre ferocemente competitiva.
«Specchio, specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?» tuonava la regina madre fin da quando Marianna, figlia unica, era una bambina. La guerra era stata impari. La regina aveva più capelli di lei ed erano più corvini e più mossi dei suoi, gli occhi erano verdi smeraldo, il seno più tondo e più alto, le gambe più slanciate, i piedi più aggraziati, la pelle bianco latte, i denti regolari e il naso dritto, alla greca.
«Scegli tra me e lei!» sbraitava al padre, quando Marianna, malcapitata, si trovava in mezzo fra i due.
Ogni tanto il corpo di Marianna se ne andava in giro senza che lei ci fosse dentro. Erano momenti di straniamento che la riportavano a uno stato di stupore infantile. Era certa allora che con un naso finto avrebbe faticato ancora di più a riconoscersi.
Poi a cinquant’anni qualcosa in lei era cambiato, si trattava di una maturazione che era sopraggiunta con il tempo. Sembrava che qualcosa si fosse allineato e riassestato naturalmente. Come per Mrs Dalloway, la vita all’improvviso pulsava e irradiava un alone luminoso, mentre il Big Ben batteva indifferente le ore.
Ancora a ottanta anni suonati, la madre, ormai vedova, gareggiava con le vicine di casa, sue coetanee. Il suo ginocchio si piegava di più di quello della vicina nonostante la protesi, il suo cancro al seno era stato molto più benevolo di quello della signora del piano di sopra, il suo mal di schiena non si era cronicizzato come quello della dirimpettaia, il suo diabete non era grave come quello della condomina del primo piano. E aveva più capelli di tutte, così tanti che parevano una parrucca.
Marianna desiderava festeggiare quel cambiamento e andare anche lei a comprare i fiori. Il Big Ben aveva rintoccato il mezzodì. Era pronta ad avere un naso nuovo per segnare quella metamorfosi e ricordarsi, alla stregua di chi si imprime sulla pelle un tatuaggio indelebile, del prima e del dopo.
Si era sottoposta perciò ad una valutazione di un chirurgo plastico, si era fatta fotografare di fronte e di profilo e aveva passato in rassegna numerose foto di nasi rimodellati, alla ricerca di qualcheduno di cui appropriarsi. Il dottore le aveva inviato una simulazione del suo futuro volto, realizzata al computer.
Il bitorzolo sulla narice destra era sparito, il naso era dritto, alla greca. Aveva preso a guardare le foto ritoccate, di fronte e di profilo, varie volte al giorno per abituarsi al suo nuovo aspetto. Si mirava e rimirava compiaciuta come davanti ad uno specchio magico e più esaminava quel volto, più le pareva di riconoscere qualcuno di familiare.
Allora d’un tratto sentì le sue labbra muoversi e pronunciare l’antica formula: «Specchio, specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?».