La spesa

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Illustrazione di Agrin Amedì
Inizia il mio turno di lavoro e anche oggi comincia lo show. Mentre percorro la barriera casse, evito volontariamente lo sguardo dei clienti famelici, fingo di non vederli, metto i paraocchi, ma loro mi seguono con lo sguardo, qualcuno inizia a pedinarmi… Natascia Palamà indossa una divisa per osservare l’essere umano da una precisa angolazione.

Inizia il mio turno di lavoro e anche oggi comincia lo show.
Mentre percorro la barriera casse, evito volontariamente lo sguardo dei clienti famelici, fingo di non vederli, metto i paraocchi, ma loro mi seguono con lo sguardo, qualcuno inizia a pedinarmi, li sento alle calcagna, avverto il loro fiato sul collo. Poi una vecchietta mi si affianca, cammina al mio stesso passo. Timidamente e a bassa voce – quasi mi stesse per rivelare un segreto di stato – mi domanda: «Sta aprendo, signorina?». Faccio un cenno di assenso con il capo e sorridendo le rispondo: «Sì signora, cassa sedici». Proseguo mentre la vedo con la coda dell’occhio controllare il numero delle casse e orientarsi verso la direzione giusta. Un altro cliente si accorge del movimento e, rapido come una faina che ha avvistato la sua preda, prende la rincorsa con il carrello cercando di raggiungerla. La povera vecchietta perde rapidamente terreno e viene sorpassata dallo scaltro cliente che mi vede entrare in postazione e che con uno scatto finale raggiunge la cassa sedici prima di lei e comincia a sistemare sul rullo la sua spesa.
Metto il mio fondoschiena nell’apposito vano, tiro fuori le buste, accendo la luce di apertura, alzo gli occhi e vedo la vecchietta in coda, in terza posizione, che sbuffa, scocciata verso chi, sfruttando l’occhio lungo e il passo celere, è riuscito a prenderle il posto: non uno, bensì due clienti l’hanno battuta sul tempo. Povera donna, penso tra me e me.
Mi siedo, rivolgo lo sguardo al primo cliente, sorrido e dico: «Buongiorno». Lui senza rispondere mi dice perentorio: «Mi dai due buste?». Ancora non riesco abituarmi a tanta ignoranza. Ingoio il primo rospo della giornata e inizio a passare i prodotti sullo scanner, augurandomi che la tagliata di manzo che ha accuratamente scelto al banco della carne possa andargli di traverso al primo boccone. Poi adocchio una busta con dei pomodori rossi e maturi, l’aspetto e, quando mi arriva tra le mani, la strizzo ben bene con fare vago mentre alzo gli occhi e sorrido al cliente successivo. Termino. Ottantasei e venticinque. Senza guardarlo in faccia gli porgo frettolosamente il POS per farlo pagare. «Grazie e arrivederci» dico, senza aspettarmi alcuna risposta.
Cliente successivo.
Controllo con la coda dell’occhio la vecchietta: è visibilmente provata dall’attesa, si appoggia al suo cestino quasi come a un bastone per sostenersi. Ci scambiamo un rapido sguardo d’intesa e io comincio a sentirmi mortificata per non averla presa sottobraccio e portata con me alla cassa.
Un carrello stracolmo che il cliente inizia diligentemente a svuotare. Mette tutto in ordine, con precisione millimetrica: la frutta con la frutta, la verdura con la verdura, le bevande tutte vicine, biscotti, merendine, marmellata, nutella e quant’altro occorra per la colazione, per poi proseguire con i prodotti della gastronomia, affettati, formaggi e così via, tutto meticolosamente diviso secondo un ordine prestabilito e inviolabile, quasi divino. Immagino che se velocizzassi il passaggio della spesa facendo mescolare tra loro i prodotti per l’igiene personale con pomodori e insalata potrebbe andare in tilt. Mi rammarico per la vecchietta ma, chi sono io per disturbare la sua quiete interiore? Perciò rallento volutamente per rispettare i suoi istinti maniacali e lo vedo imbustare la sua spesa con una calma serafica che nasconde ovviamente un’inquietudine interiore per me incomprensibile. Ma lo rispetto.
Guardo ancora la vecchietta che con una dignità stoica pazienta senza lasciar trapelare alcuna premura. Organizza le sue buste minuziosamente, incastrando i prodotti per genere, volume e credo anche per densità. Terminata l’operazione mi rivolge uno sguardo riconoscente che ricambio comprensiva.
Ma ora tocca a lei, è il suo turno.
Ripone sulla cassa poche cose, e mentre lo fa la osservo attentamente. Ha un viso ovale, con più di qualche ruga, dei piccoli occhi castani molto dolci ed espressivi, il naso un po’ piatto e labbra pallide ma carnose. I suoi capelli sono lunghi, grigi e raccolti ordinatamente sulla nuca. È minuta e indossa un abito scuro che le arriva a metà polpaccio, una collana di perle che le dona un’aria curata, una certa dignità.
Mezzo litro di latte a lunga scadenza, tre scatolette di cibo per gatti, una bustina con due pomodori e delle fette biscottate. Immagino sia sola, lei e il suo gatto. Mi guarda e sorride, riconoscente per l’informazione che poco prima le ho dato. «Sei euro e cinquantadue.» Cerca il portamonete nella sua borsa. Impiega qualche secondo di troppo e la cliente successiva borbotta qualcosa al riguardo, muovendosi nervosamente e dando segni di impazienza. Guardo la vecchietta che ora è palesemente in difficoltà e annaspa nella ricerca, pressata dalla fila che aumenta e dall’atteggiamento insofferente della cliente successiva. «Faccia con calma signora, non c’è alcuna fretta» le dico in modo pacato e la vedo rincuorata dalle mie parole. I suoi occhi e le sue labbra accennano un tenero sorriso. Finalmente trova il porta monete e le sue mani grinzose e leggermente tremolanti mi porgono una banconota da dieci euro. Apro il cassetto per darle il resto, ma vorrei prolungare questo momento ancora un po’. Le porgo le monete e lo scontrino, la ringrazio e la saluto. Lei mi rivolge uno sguardo dolce, amorevole, quasi riconoscente per averla rincuorata in un momento di difficoltà. Mi saluta, regalandomi ancora un sorriso. La guardo andare via.
«Due buste.»
La signora che ora ho difronte sembra avere una gran fretta. Bene. Inizio a passare la sua spesa e decido volutamente di farlo a un ritmo estremamente accelerato. Lo scanner fa fatica a leggere il codice dei prodotti, tanta è la mia foga, e lei sembra contenta fino a quando si rende conto di non poter reggere il mio ritmo. La spesa si accumula alla fine dello scivolo, formando un marasma disordinato. Si affanna, ma non riesce a tenere il passo. La sua fronte è imperlata di sudore, annaspa, fa fatica ad aprire le buste, sbuffa, e scaraventa letteralmente i prodotti nel carrello per velocizzare l’operazione. È in evidente stato difficoltà ma non alza lo sguardo, non ne ha il tempo. Io sorrido compiaciuta. «Novantasei euro e quaranta, grazie.»

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