E vissero per sempre felici e contenti…
Fosse stato per lui avrebbe cercato l’inventore di questa frase e gliel’avrebbe ficcata su per il culo tutta intera, ma che gran cazzata, lo faceva incazzare quel per sempre, ma come si può pensare a una stronzata simile?
Era figlio di un re, lui, l’avevano chiamato Azzurro, un nome strano che non avrebbe mai capito, chiamare una persona con un colore non gli sembrava una cosa molto sensata. Era destinato a ereditare un regno pieno di debiti, dopo essere cresciuto in una famiglia con un padre assente, la madre nevrotica ed essere stato viziato come un piccolo Maltese handicappato.
Appena diventò abbastanza grande alla sua famiglia sembrò giusto e necessario che egli andasse a salvare una principessa, «è ora che ti sistemi», dissero, senza considerare il fatto che era ovviamente una cosa impossibile per un invertebrato come lui, cresciuto senza padre tra tate e donne delle pulizie. Il padre aprì il portafoglio e fece un accordo con gente importante, dei tali chiamati fratelli Grimm che gli trovarono una ragazza di nome Biancaneve: una ragazza carina, bei capelli neri, pelle chiarissima e le labbra rosse come ciliegie. Il padre pagò anche un extra per allestire il tutto nelle circostanze più favorevoli, in modo tale da far sembrare la cosa più eroica: Azzurro incontrò Biancaneve per la prima volta mentre era addormentata da un maleficio – aveva avuto uno screzio con la madre o una roba simile ed era in attesa del bacio di un principe per risvegliarsi da un sonno eterno. Era nel bosco, in una teca di cristallo e circondata da sette nanerottoli. A un uomo basta poco per innamorarsi, un bel corpicino, dei lineamenti carini, Azzurro dovette dargli giusto un bacio cercando di non far caso ai nani guardoni ed il gioco era fatto.
Dopodiché si sposarono, come da accordi, e poi inizio quella parte finta e ideale del «e vissero per sempre felici e contenti». Non si ricorda chi la formulò, ma gravò su di lui come spada di Damocle sin da subito… Quanto lo faceva incazzare quella frase.
Iniziata la convivenza iniziarono i problemi. A lei puzzavano i piedi, non faceva altro che cantare dalla mattina alla sera e si portava sempre appresso ‘sti cavolo di sette nani maledetti, con i quali iniziarono ad esserci rapporti sempre più tesi: capitava di trovarseli mezzi nudi per casa, otturavano il cesso una volta su due e ogni tanto sparivano con lei chissà dove. Biancaneve era una rompicoglioni di prima categoria, stava sempre a pulire ed era fissata con l’ordine, la tipica donna che passa l’aspirapolvere alle sette di domenica mattina e che quando torni a casa ti saluta urlando di togliere le scarpe.
Ormai Azzurro viveva cercando di passare con lei meno tempo possibile, tornava tardi, si inventava qualche scusa alludendo a impegni per il regno o roba così, ma in realtà aveva iniziato a frequentare Cenerentola, dopo che si erano conosciuti su Tinder e si erano visti per la prima volta al diner di Gastòn. Facevano un sesso da favola, e questo rendeva la situazione a casa tollerabile.
Azzurro non era cattivo, gli dispiaceva tradire la moglie, ma non aveva la spina dorsale per affrontare la situazione in modo diretto, si arrabattava un po’ di piacere e andava avanti così… Giorno dopo giorno, né felice, né contento.
Un giorno il re si ammalò di una diarrea fulminante e mortale. Azzurro, sul letto di morte del padre, di certo non si strappò i capelli, piuttosto si tappò bene il naso cercando di non vomitare per la puzza che emanavano i pestilenti effluvi presenti. Ad Azzurro non importava molto del padre, quello stronzo si era sempre fatto i cazzi suoi, gli dispiaceva più per tutti gli accolli del regno che sarebbero ricaduti su di lui. Il re, però, tra una scarica di diarrea e l’altra, confidò al figlio Azzurro di aver scoperto una grande verità: gli raccontò di aver capito che la loro esistenza non era casuale e senza senso, che nella vita le relazioni sono importanti e si può essere felici se si amano gli altri prima di sé stessi. Aveva finalmente capito che quello che succede nella vita, anche se brutto, può acquistare senso se visto dalla prospettiva dell’amore, che lui, tramite quella malattia, non fuggendo dal dolore e dalla sofferenza, aveva trovato la vera gioia. Aveva capito quanto gli volesse bene e gli dispiaceva di non esserci stato come avrebbe dovuto. Poi, con un’ultima scarica di diarrea, espulse anche l’intestino e morì.
Azzurro si pulì dagli escrementi con molta calma, uscì in silenzio dalla stanza, ignorò le parole del padre sul senso dell’esistenza e tornò a condurre la sua vita per quello che era sempre stata: una merda.