Lettera a Diego

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Illustrazione di Agrin Amedì
Ce l’avevo scritto sull’agenda l’indirizzo, ma non lo trovo. Eppure, sotto la D Diego non c’è, sotto la B Borghi non c’è, eppure… forse nel file di un hard disc esterno? Per complicarmi la vita sono un mago, dove sta il file Agenda nel disco C, D o E? Ah Diego, già altre volte ho rinunciato a scriverti... Dino Bacchiocchi scrive una lettera toccante e verace a un amico che forse da qualche parte ascolterà.

Ce l’avevo scritto sull’agenda l’indirizzo, ma non lo trovo. Eppure, sotto la D Diego non c’è, sotto la B Borghi non c’è, eppure… forse nel file di un hard disc esterno?
Per complicarmi la vita sono un mago, dove sta il file Agenda nel disco C, D o E?
Ah Diego, già altre volte ho rinunciato a scriverti perché non trovavo il tuo indirizzo, ma questa volta se non ti trovo significa che aspetterò che tu mi scriva.
E ti pareva che non fosse l’ultimo disco quello E, e che cavolo!
Ecco, apro Agenda, digito Diego in “cerca”: eccolo.
Con Excel ho fatto un programmino proprio gajardo. Nelle varie colonne ho messo ogni nota che potesse ricordarmi particolari come dove ho conosciuto la persona, chi me l’ha presentata, di chi è amica e altri riferimenti. Amico, parente, lavoro, qualifica e se deceduto.
Diego, eccolo. Vado a controllare… Deceduto, stronzo. La qualifica gliel’ho data dopo un po’ di tempo dalla dipartita perché mi ha lasciato senza avvisarmi, e la moglie – anche lei vera stronza – è qualificata come “stronza”, in neretto, si capisce, perché non me l’ha fatto vedere un’ultima volta. Forse aveva paura che parlandogli si riprendesse dall’ischemia…
Va beh, ma ora che t’ho trovato che te dico, amico mio? A scriverti ti scrivo, perché non posso aspettare che lo faccia tu, e se non fossi in casa per ricevere la lettera tornerebbe al mittente, e chi potrebbe ritirarla? Non di certo tu.
No no, sono sicuro che non mi scriverai, e a scanso equivoci, ti scrivo io, tranquillo.

Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’,
e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c’è una grande novità:
l’anno vecchio è finito, ormai
ma qualcosa ancora qui non va…

Sono anni che mi hai lasciato e due notti fa è stata la prima volta che ti ho sognato.
Stavamo al mare, distanti dalla riva, nuotavamo di ritorno. Tu stavi con una muta leggera, io solo con il costume. Io nuotavo sciolto, tu leggermente in difficoltà mi guardavi, come a dirmi “stammi vicino”.
Il sogno è finito così.
Quando mi sono svegliato, sono rimasto un po’ male perché era stato tutto così breve e mi è rimontato il rammarico di averti allontanato, e che nel momento del bisogno non ti sono stato accanto. Se non altro, potevo stringerti la mano prima che tu partissi. Ma ora spero che tu lo sappia che stavo con mia moglie fuori della stanza e che quella stronza non ci ha fatti entrare. Proprio a causa sua vi abbiamo allontanato, era diventato pesante frequentarci, la sua gelosia per mia moglie, le avance nei miei confronti a tua insaputa, ma non perché le piacessi, solo per ritorsione.
Sarò forse blasfemo, ma neanche papà e mamma mi mancano come te e Pit. Chissà perché vi associo sempre.
Pit, il mio pitbull nero con cui giocavo; Pit con cui ci facevo la lotta a terra come un bambino, non mi ha mai fatto male. Certo, qualche segno con quei denti me lo lasciava, ma io li presentavo come tatuaggi d’amore: amo ancora il mio Pit.
Tu, cicciottello, con la faccia da bambino. Mostravi quasi dieci anni di meno, pur essendo coetanei. Anche con te facevo la lotta, ci incontravamo sul tatami della palestra di karate e mi facevi male. Eri più esperto e più sciolto di gambe. Ti ricordi, mi hai fatto saltare una protesi dentale e mi hai chiesto solo scusa. Però io ho dovuto sborsare bei soldini per ripristinare il danno.
Mia moglie, maliziosamente, mi chiese se tu avessi scoperto le avance della tua e ti fossi vendicato. Io le risposi di no, e qualora fossi stato certo che tu mi avevi maltrattato per quello, mi sarei vendicato a mia volta durante una delle nostre immersioni subacquee. Scherzo. Ti ricordi come ti affidavi a me?  E quella volta che in risalita ti si era impigliata la sagola del fucile a uno spuntone di roccia e avevi riempito la maschera con gli occhi gonfi di terrore? Io ti ho salvato! Sono tornato indietro e districato la sagola e ti ho trattenuto a malapena da una rapida risalita senza decompressione rischiando una embolia.
Tu eri un macellaro di periferia, un coatto, ma hai saputo evolverti. Hai imparato a leggere i libri, hai cominciato con il leggere le istruzioni delle attrezzature subacquee, dei bugiardini dei medicinali, a raffinarti. La gente non si capacitava come io e mia moglie fossimo diventati tuoi amici. Ma noi non facevamo niente, andavamo solo per la nostra strada, tu ci hai seguito. Perché eri intelligente, ti abbiamo solo tolto il coperchio.
Tua moglie invece non aveva la tua stessa linfa: borgatara era e borgatara è rimasta. Mi dispiace molto per i tuoi ragazzi.
Ma c’è una cosa su tette che m’ha graffiato l’anima: l’ultima volta che incontrasti mia moglie e, riferendoti alla nostra passata amicizia, le dicesti che vivevi di passato.
Vedi, Diego, me se so’ imperlati l’occhi, te offro ‘ste lagrime. Ce bagnerò la spilla der subacqueo che ancora conservo e la poserò sulla tua lapide. Non la incollerò solo perché temo che tua moglie la staccherà.
La nostra frequentazione è durata come un matrimonio, dopo sette anni il divorzio.
Ma mo, dove te manno ‘sta lettera, amico mio?

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