Ciao amore,
sei felice?
Perché se sei felice tu non significa che io sia felice, ma mi conforta.
Ti devo raccontare una storia a cui non crederai, come non credevi a me quando ti dicevo che ti avrei fatto entrare dentro di me, dentro quell’inestricabile nodo di sentimenti e stati d’animo che, dicevi tu, ci dicono chi siamo.
L’altro giorno sono stato a un evento in una galleria d’arte in centro a due passi dal nostro ristorante preferito, “Taverna degli angeli”, ci sei più tornata?
Ti ricordi l’ultima volta che ci siamo andati e che tu sapevi ma io non lo potevo sapere che sarebbe stata l’ultima volta?
Sai, quella sera nei tuoi sorrisi mi ricordo di aver visto il mio futuro – ma chiaramente avevo visto male. Però questo non è importante, lo è stato, ma oggi non lo è più.
L’altro giorno sono stato a un evento in una galleria d’arte, ti dicevo, di quelli che tu amavi, quelli a cui ti accompagnavo, dove ero fuori luogo – e anche ora, sai, non è cambiato nulla, sono fuori luogo. Ci vado non sempre, ma ci vado, solo nei giorni in cui vorrei incontrarti, per dirti che sono felice e che avevi ragione tu a pensare che potevamo essere felici lo stesso, anche lontani.
E lo sai che quando decido di andare mi immagino di incontrarti e mi figuro la scena? Comincio dal mattino e mi metto davanti allo specchio. Poi riprovo dopo colazione, dopo pranzo e, appena uscito, un’ultima volta, in ascensore: sorrido fino a quando non arriva il sorriso più sincero, così quanto ti dirò che sono felice ci crederai. Di solito la scena finisce con tu che, prima di andartene, mi fai un complimento e io devo fare l’indifferente – quella è la parte più difficile da fare.
E poi penso che se tu mi facessi un complimento io mi illuderei e penserei che non sia finita finita, ma solo forse finita. Ma se tu non me lo facessi penserei che le cose con il tuo nuovo compagno vanno bene, ma bene bene, e tra noi, allora, sarebbe finita finita. Finita.
Comunque, anche oggi sono arrivato a questo evento in una galleria d’arte e, come ogni volta, mi sono seduto da una parte.
Questa volta ho trovato rifugio sulla base di una delle colonne di questo cortile su ognuna delle quali è stato affisso un quadro.
Inizio a vedere le persone e poi i quadri: delle persone, a dir la verità, non mi interessa, e anche dei quadri, a dir la verità, non mi interessa ma, prima le persone e poi i quadri comincio a guardarli, uno a uno, partendo dalla colonna alla mia destra per arrivare a quella alla mia sinistra, senza mai alzarmi, che si vede bene l’ingresso da qui e, se tu entrassi, ti vedrei senza essere visto, avendo il tempo di decidere se andarmene o restare.
Comunque, c’è quadro in particolare ad avermi colpito, si trova all’opposto della colonna su cui sono seduto, proprio davanti a me, e continuo a fissarlo. Ma ora un gruppo di persone si para proprio tra me e il quadro, impedendomi la vista.
Mi alzo, un po’ intimorito, non si sa mai che arrivi e io mi ritrovi senza la possibilità di decidere se rimanere o andare via. Mi faccio largo tra queste persone e raggiungo il quadro.
Mi avvicino, e più lo faccio più questo dipinto astratto assume un’aria familiare.
Ai due lati e sul bordo inferiore le pennellate sono di tonalità azzurra, più chiare e più scure, ma deboli, come il mare quando dopo aver passato una giornata a infrangersi contro gli scogli, calando il buio, si calma.
Sul bordo superiore le pennellate sono di tonalità arancione, più chiare e più scure, ma forti, come il sole quando, dopo aver passato una giornata a riflettersi sul mare, ruba a quest’ultimo la scena un istante prima di scomparire.
Al centro le pennellate sono di tonalità marrone, più chiare e più scure, ma serene, come una scogliera che ha sconfitto il mare.
Nel cuore della scogliera, le pennellate sono rosa, più chiare e più scure, ma felici, e sopra queste si poggiano delle pennellate di colore nero, come due persone che siedono su una sedia in attesa del tramonto.
In questo dipinto ci siamo io e te. Ricordi? Era l’estate del 1998, eravamo stati a Favignana, non so se ti ricordi, ogni giorno andavamo allo stesso posto, e come è che si chiamava? “Cibo, vino e sorrisi”? Era un posto a picco sugli scogli, ricordi?, prendevamo le nostre sedie e ci mettevamo lì seduti ad aspettare che il sole calasse, a fantasticare sul nostro futuro; ti piaceva il nostro futuro?
Poi ti alzavi e quando il sole accarezzava il mare ti sedevi su di me, e io accarezzavo te.
In questo dipinto ci siamo noi due, e mi rendo conto di aver iniziato a lacrimare, tradendo la promessa di non piangere più per la persona più importante che abbia mai incontrato.
Ho deciso di acquistarlo, te lo vorrei spedire, ma non so più dove abiti… pensare che una volta ti passavo a salutare sempre, anche solo per un bacio, e ora non so più nemmeno dove abiti… Non importa, lo terrò per me il quadro – non che me ne dispiaccia.