Fottutissimo signor ladro,
so che nessuna lettera dovrebbe iniziare con un insulto, ma Caro signor ladro mi pareva davvero inappropriato e ancor più Gentile signor ladro. Lei non mi è caro per niente e certo con me non è stato gentile.
Egregio? Su, non diciamo fesserie. È vero che in Italia un Egregio non si nega a nessuno, ma a lei sì. Quindi si rassegni e si tenga l’insulto.
Però, riflettendoci, anche darle del signore mi pare troppo. Una cortesia immeritata. Signore presuppone una dignità, un carattere, un’eleganza di modi e sentimenti che lei non possiede. L’ho capito da come ha ridotto la mia casa, dalla furia con cui ha svuotato gli armadi, rotto cassetti e porte, calpestato le ballerine di Capodimonte. Sa che ancora trovo qualche briciola di tutù sul pavimento? Se almeno non ci avesse camminato sopra! È stato un tornado. Un tornado inutilmente crudele, non aveva nessun bisogno di distruggere ciò che le capitava a tiro. Signore è un titolo a cui tengo molto, è importante, non lo sprecherò per lei. Potrei fare un’eccezione, ma solo se lei fosse una donna, una fottutissima signora ladra.
Anni fa ho giurato a me stessa che non avrei mai negato a una donna l’appellativo di signora e non romperò il giuramento, neanche in questo caso. Dunque la chiamerò signora.
Non so se leggerà mai questa lettera, ma non lo escludo, perché la inchioderò al muro e sarà la prima cosa che lei vedrà se decidesse di entrare ancora a casa mia. Farò in modo che non possa ignorarla, la segnalerò con enormi frecce rosse fosforescenti e se qualcuno mi prenderà per pazza, pazienza. Sono i rischi della vendetta.
Perché io sono vendicativa, magari in modo strano, ma lo sono.
Anni fa, ho ospitato per molto tempo il fidanzato di mia figlia. Anche lui ladro, ma ovviamente nessuno lo sapeva. Aveva il vizio del gioco, l’ho scoperto troppo tardi, quando oramai tutti i miei gioielli stavano nei vari compro oro della città. Ho perso tutti i miei ricordi, la collana di perle che mia madre mi aveva regalato per il matrimonio, l’anello di mio padre, la spilla che mi aveva lasciato mia nonna, tutto. Mangiava e dormiva a casa mia, guardavamo insieme i film, giocava con la play-station con mio figlio e mi ha rubato tutto. Che pezzo di merda.
L’ho odiato, davvero, gli ho augurato la morte tutti i giorni per un mese, poi ho scritto una filastrocca:
Madama Dorè aveva una figlia
E tutti dicevano che meraviglia!
Un piccolo ladro le fece la corte
Per scassinare la cassaforte
Rubò i gioielli rubò l’amore
E poi scappò spezzandole il cuore
Per festeggiare il turpe reato
Mangiò tre chili di gelato.
Lo so che quel maledetto fidanzato ladro se ne frega della mia filastrocca, ma lui è diabetico e quei tre chili di gelato sono stati la mia vendetta.
Detto questo, chiunque siate voi che, approfittando della mia assenza, siete entrati a casa mia il 27 dicembre da una finestra, facendo gli equilibristi col rischio di cadere di sotto, non potete neanche immaginare quanto mi dispiaccia che non sia successo; mica niente di grave, per carità, diciamo due gambe fratturate, giusto per non riuscire a scappare. Al mio ritorno mi sarei avvicinata con la faccia triste e la voce di miele: «Ma guarda, poverini, sono caduti! Chissà che dolore».
Vi siete portati via tutto ciò che era o sembrava d’argento, i gioielli li avete cercati tanto ma inutilmente, li aveva già rubati il fidanzato ladro giocatore d’azzardo, non ne possiedo più, anzi no, mi era rimasta la fede nuziale, vi siete presi anche quella.
Il carabiniere che ha raccolto la denuncia ha sbagliato a scrivere il mio cognome e la residenza. Era un carabiniere continentale, un ragazzo giovane, non conosceva i misteri della lingua sarda che si diverte a mettere l’ipsilon al posto della i e a pronunciare la ics come un morbido invito al silenzio. Quando gliel’ho fatto notare mi ha detto: «Signora, non si preoccupi degli errori, sono solo lettere, tanto le sue cose non le ritroverà più». Aveva ragione.
È con questa consapevolezza che questa volta non ho scritto una filastrocca. Ho scritto una lettera, questa. Il carabiniere continentale dice che sicuramente eravate in due, troppo macello in troppo poco tempo. L’ho già detto, sono vendicativa. Da quel 27 dicembre continuo a insultarvi tutti i giorni, è come un mantra, ripeto tutti gli insulti in fila, uno dopo l’altro e medito. Per questa volta mi accontenterò degli insulti. Ma non ne posso più, la misura è colma.
Quasi mi sembra di sentire le vostre risate: «Prima la filastrocca, poi gli insulti e adesso che avrà in mente questa scema per vendicarsi, ci racconta una favola?».
Io uso solo parole e quindi sì, vi racconterò, ma non una favola, una storia vera. Cosa succederà se entrerete di nuovo a casa mia.
Chiederò a una bruscia una maledizione e non una qualsiasi, voglio quella del Boe Erchitu. Nel caso non lo sappiate, vi dirò che la bruscia è una strega e non vive nelle leggende, esiste davvero. È capace di ascoltare la terra e di trovarvi ovunque vi nascondiate, anche in capo al mondo. Vi trasformerà in un Boe Erchitu, come spetta a chi commette un delitto rimasto impunito, sarete condannati a trasformarvi ogni notte, ogni singola notte, per tutta la vita, in un bue con corna d’acciaio costretto a vagare per le strade in compagnia dei diavoli, per poi fermarsi a lanciare terrificanti muggiti davanti alla porta di chi ha ricevuto sentenza di morte. Di giorno persona di notte bestia di giorno persona di notte bestia di giorno persona di notte bestia senza riposo senza pace. Una vita d’inferno, non è vero? Avete smesso di ridere, bene, perché succederà davvero. Sarete il mio bersaglio che non si rialza. Chiunque voi siate, se siete entrati a casa mia per rubare, pensateci bene, forse fate ancora in tempo a scappare.