La notte adesso non ti piace, c’è troppo silenzio. E se… Il rumore dei tuoi pensieri è l’unica cosa che riempie la stanza, oltre al battito accelerato del tuo cuore. Da qualche tempo fai fatica a dormire, anche se la sera arrivi esausta a casa. Preferisci il giorno: il lavoro ti stanca, ma la testa è piena di cose piccole e inutili. Passi attraverso la giornata, indifferente, contando le ore che ti separano dal tuo rientro a casa. E pensare che un tempo ti piaceva, pensare. Piaceva anche a lei, per questo siete andate subito d’accordo. Avevi capito immediatamente che sareste diventate inseparabili, anche se eravate così diverse. Adesso invece pensare ti fa male, per questo detesti la notte.
Nel cuore della notte ogni tanto ci provi, a fare il gioco del “e se?”. Non ci riesci mai. Quando la sveglia suona è quasi un sollievo: metti la maschera seria, indossi i tuoi vestiti scuri ed esci nella città ancora mezza addormentata. Chissà cosa penserebbe lei, vedendoti così. Ti diceva sempre di lasciarti andare, ti prendeva in giro quando mettevi su quella faccia seria. Sì, a volte ripensi a questo, ma sono solo momenti: la luce, i rumori e i pendolari arrabbiati tornano a riempire gli spazi, mentre la tua testa, ancora una volta, si svuota.
Questa notte ti senti più agitata del solito. Ti rigiri nel letto, con insistenza, e scopri due parole annidate nella tua mente: «E se…». Così ti ritrovi a pensare, ma non continui la frase. Sbuffi, la frustrazione ti scuote. «E se…» pensi con più insistenza, provando a evocare qualche immagine originale. Invece niente, il tuo cervello è come intorpidito. Fuori piove fortissimo e le gocce fanno un rumore assordante; mentre il vento sposta i rami davanti alla finestra tu ti scopri stanca. La tua mente si riempie del rumore della tempesta. Senza accorgertene, ti addormenti.
«E se fosse stato solo un sogno?»
Ti svegli di soprassalto, guardi l’orologio. Sono le cinque del mattino, il che vuol dire che hai dormito circa quattro ore di fila per la prima volta da mesi. Non è un gran risultato, ma ti stupisci lo stesso. Ti senti bene, l’aria è leggera, per la prima volta dopo mesi ti sembra di respirare. Vai al parco dove un tempo andavi a correre. Sei fuori allenamento, non corri dal giorno dell’incidente. «E se…» Anche quella notte pioveva. Ci andavi sempre con lei, a correre. Vi piaceva gareggiare per finta, sfidarvi, e poi stendervi sul prato, sfinite e rosse in volto. Quel pensiero ti dà una fitta profonda, così lo scuoti via, fai un paio di respiri, inizi a correre, la tua mente si svuota di nuovo. Mentre corri non pensi a nulla, conti solo i battiti del tuo cuore. Ti accorgi che non sei così fuori forma come pensavi. Certo, a tratti devi fermarti a riprendere fiato, ma il tuo corpo risponde con naturalezza. Per la prima volta dopo mesi, senti qualcosa. È solo fatica fisica, ti dici, ma è già qualcosa. La tua mente comincia a riempirsi. Ripensi a lei, alla vostra amicizia. A come ti spronava ad essere migliore, a come ti incitava a smetterla di voler piacere agli altri a tutti i costi. Respiri più forte mentre pensi alla macchina, allo schianto. Sono mesi che non ti succede, temi di rimanere senza fiato, temi di crollare. Invece non crolli, continui a correre. Una pioggia leggera torna a bagnare la terra. Pensi a voi due, a quella volta che ti ha convinta a farti avanti con Marco, nonostante piacesse anche a lei; pensi a quando ti ha trascinata a quella festa, mettendoti nei guai con tua madre, che ti aveva espressamente proibito di farlo. Pensi, e continui a correre. Ti sembra di essere stata riscossa da un sogno. Guardi la gente per strada e la tua mente risponde. Ti chiedi chi è quel ragazzo che corre dall’altro lato della strada e ti sorprendi a sorridere guardando un vecchietto che legge il giornale. Riprovi a fare il gioco del “e se…”. Lo facevate sempre tu e lei. «E se quel ragazzo adesso viene qui e ti bacia?», faceva lei, quando incontravate qualcuno di carino al parco.
«Cretina!» rispondevi tu ridendo, ma continuavi la storia… «Se viene qui e mi bacia gli do uno schiaffo e corro via. Ma lui mi insegue.»
«E poi?», chiedeva lei.
«E poi…» continuavi, dipingendo storie assurde nello spazio fra voi due.
È più bello pensare in due, forse per questo hai smesso di farlo, da quando lei non c’è più. Ma adesso la pioggia si è fatta più fitta e i tuoi pensieri più insistenti.
«E se non avesse piovuto quel giorno?» ti dici sottovoce. «E se fosse toccato a me invece che a lei?» ti sussurri. Intanto ti accorgi che qualcosa è cambiato. E ti appoggi a un albero, sfinita. La pioggia ormai è un temporale. Il vecchietto che prima leggeva adesso sta correndo verso il bar, facendosi riparo col giornale. Il ragazzo continua a fare jogging, imperterrito: ha la faccia concentrata nello sforzo e attraversa la pioggia con noncuranza, come un cavaliere che avanza in mezzo a un mare di frecce lanciate da invisibili nemici. «E se adesso vado lì e gli parlo?» dici al vento. E sei sicura che lei l’avrebbe trovata una buona idea.