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Illustrazione di Agrin Amedì
Caroline lo aveva lasciato da un anno esatto e Giacomo per la prima volta quasi non aveva pensato a lei. «Ho bisogno d’altro,» gli aveva detto lei quella volta «me ne vado».

Caroline lo aveva lasciato da un anno esatto e Giacomo per la prima volta quasi non aveva pensato a lei.

«Ho bisogno d’altro,» gli aveva detto lei quella volta «me ne vado».
«Io ho bisogno di te.» aveva risposto Giacomo «Come facciamo? È la stessa cosa, per cui non si può decidere chi dei due…»
«Non iniziare con i tuoi discorsi senza senso» lo aveva interrotto Caroline. E prima che Giacomo potesse continuare quel discorso che per lui era pienissimo di senso, Caroline era già uscita di casa, senza chiudere la porta.

Il giorno dopo Giacomo lo aveva passato pensando a quello che le avrebbe riposto.
Tu hai bisogno d’altro e amandoti non desidererei per te nient’altro che tu abbia sempre ciò di cui hai bisogno. Ma allo stesso tempo tu dovresti fare lo stesso. Io ho dei bisogni che sono esattamente come i tuoi e il mio primo, primissimo bisogno, sei tu, per cui, non puoi, non puoi andare via. Pensava e ripensava alle mille versioni in cui avrebbe potuto dirglielo, analizzando tutti i possibili sinonimi, in modo da trovare la forma più corretta. Quando la trovò si mise a piangere.

Il giorno dopo ancora pensò che non avrebbe dovuto parlare. Avrebbe dovuto prenderla tra le braccia, stringerla forte e farle ‘shh’ delicatamente sulle labbra finché il suo corpo non si fosse rilassato e sarebbero caduti entrambi mollemente sul divano. Si sarebbero baciati, bene, come la prima volta e lei sarebbe rimasta.

Il terzo giorno credeva di avere la colpa di tutto. Avrebbe dovuto accorgersi dell’insofferenza di Caroline e avrebbe dovuto coccolarla un po’ più del solito, carezzarle il viso un po’ più spesso, passare un giorno sì e uno no a comprare le fragole e ricordarsi sempre di abbassare la tavoletta del bagno.

Il venticinquesimo giorno aveva pensato che avrebbe dovuto chiudere la porta a chiave non appena Caroline avesse cominciato il discorso. Sarebbe corso alla porta, serrando tutti i chiavistelli. Certo, Caroline sarebbe stata perfettamente in grado di riaprire tutto. Ma il tempo che avrebbe impiegato a smanettare con la porta sarebbe bastato a Giacomo per tirare fuori un argomento valido e inconfutabile, tale non solo da fermare Caroline dall’andare via, ma in grado persino di indurla a richiudere di nuovo, uno per uno, tutti i chiavistelli.

Il settantottesimo giorno Giacomo pensò che era giusto così, che Caroline aveva tutto il diritto di andarsene. Se fosse rimasta, il loro rapporto sarebbe comunque andato peggiorando e sarebbe finita in malomodo, peggio di com’era finito già.

Nel settantanovesimo giorno Giacomo pianse per ogni cosa. Pianse quando cadde una goccia di caffè sul tavolo mentre lo versava nella tazzina. Pianse quando prese una penna per appuntare la lista delle cose da fare e per le prime tre parole l’inchiostro non uscì. Pianse anche quando tagliando il pane la fetta gli era venuta troppo sottile e piena di buchi. Pensò, piangendo, che amava Caroline.

Il centoquindicesimo giorno Giacomo incontrò una ragazza al parco. Aveva i capelli lunghi e lisci. La scambiò per Caroline e la rincorse fino a prenderle la mano. La ragazza si girò di colpo e stava per gridare ma non fece in tempo perché fu Giacomo ad urlare per primo.

Il centonovantanovesimo giorno Giacomo pensò che Caroline in fondo era una donna come le altre, o forse peggio, e che lui certamente non meritava un simile trattamento. Si guardò intorno e si sentì bene guardando quante ragazze girassero nel suo quartiere. Ce ne erano di tutti i tipi, con gli occhi di tutti i colori. Ma ogni volta che ne fissava una, non la guardava per come era fatta, ma per come era diversa da Caroline. Quella lì ha le spalle un po’ più strette, oppure quel taglio di capelli a Caroline sarebbe stato meglio, e così via. Tutte le donne erano solo donne che non erano Caroline.

Il duecentoventitreesimo giorno pensò a tutte le volte che aveva fatto l’amore con Caroline. Ricordò le sue guance tonde e rosse, le sue labbra morbide e i suoi fianchi stretti. Ricordò tutto e fu un giorno felice.

Il duecentosessantunesimo giorno uscì a bere con il suo vecchio amico Bruno. «Come stai?» gli chiese lui versandogli del vino rosso nel bicchiere. Comprese subito di aver sbagliato domanda, ma incapace di rimediare stette zitto e si attaccò al vino. Giacomo inaspettatamente disse: «Bene, tutto bene, grazie». Non parlarono di donne, Bruno fu attentissimo ad evitare l’argomento e tutti quelli che ci si potessero avvicinare. Al terzo bicchiere di vino Giacomo cominciò a farfugliare. «Che dici vecchio mio?» chiese Bruno ridendo, sbronzo anche lui. «Caroline» disse. «Caroline», ancora una volta. Cominciò a ripetere il suo nome in continuazione, giocando con gli accenti e le pronunce. Càroline, Caroliné, Carolinà, Carolinì, Carocaroline, Caroliline. Bruno non sapeva cosa dire e, invece di calmarlo, gli andò dietro, iniziando a chiamare il nome della sua ex, nonostante ora fosse felicemente fidanzato. «Giulia!» «Caroline!» «Giuliaaa!» «Caroliiine!» I due nomi si fusero in un unico lamento ed entrambi furono cacciati dal locale.

Il trecentoquarantaquattresimo giorno Giacomo pensò che doveva cercare Caroline. Era arrivato il momento di un confronto vero. Il suo numero di telefono era rimasto al suo posto. Neppure per un attimo gli saltò in mente di cancellarlo. Cercò in rubrica sulla A, Amore. Non fece nulla per quattro ore. Pensò a quello che poteva dirle, al modo, all’intonazione, alle pause da fare. Poi smise di pensare e premette l’icona verde. Il telefono squillò un numero indefinito di volte. Giacomo non riusciva a contare. Nessuna risposta. Giacomo pensò che era uno stupido, che doveva smetterla, che era finita e cancellò il suo numero. Passò tutta la notte a cercare su internet i modi per ripristinare i  dei contatti rimossi. Alla fine ci riuscì e tornato il contatto Amore, ci cliccò sopra e inizio a scrivere un messaggio: Ciao Caroline, sono Giacomo. Scusami se ti scrivo ma oggi ti pensavo. Ti pensavo un po’ più degli altri giorni e mi chiedevo se, per caso, anche tu ogni tanto pensi a me. E se la risposta è sì, anche solo per poco, per pochissimo, ecco, allora forse dovremmo vederci, così, per smettere di pensarci. Lo scrisse senza premere invio.

Il trecentosessantacinquesimo giorno Giacomo si svegliò, bevette un caffè e non pensò a quando Caroline gli faceva la schiumetta con il latte. Si sistemò la vertigine dei capelli senza ricordare le mani umide di Caroline picchiettargli sulla testa. Uscì di casa e guardò una donna con le spalle scoperte e le ammirò senza che nella testa tornassero quelle di Caroline. A lavoro i colleghi gli dissero che lo trovavano bene, che oggi aveva un bel viso. Tornò a casa e si preparò la cena a modo suo, senza nessuna delle spezie che amava Caroline. Si accorse poi di aver lasciato la porta aperta e andò a chiuderla. Rimase lì davanti per un minuto circa.

Oggi non ti ho pensata, si disse, pensando a Caroline.

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