A jumara

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Illustrazione di Agrin Amedì
La coda della lucertola continua a muoversi a scatti, sbatte nervosa sulla terra da destra a sinistra e da sinistra a destra. Io sono lì che la osservo ipnotizzato, fissando quella puntina di sangue che esce da dove si è spezzata, mentre a cantilena recito la formula che mi ha insegnato Giuseppino:

La coda della lucertola continua a muoversi a scatti, sbatte nervosa sulla terra da destra a sinistra e da sinistra a destra. Io sono lì che la osservo ipnotizzato, fissando quella puntina di sangue che esce da dove si è spezzata, mentre a cantilena recito la formula che mi ha insegnato Giuseppino: «Cent a ttia e nudd a mmia, cent a ttia e nudd a mmia, cent a ttia e nudd a mmia». Solo così sono sicuro che le bestemmie che la coda mi sta lanciando non mi coglieranno e torneranno indietro centuplicate.
Ricarico la fionda e proseguo la mia caccia. La prossima volta mirerò alla testa, anche se è la parte più piccola. Mi devo mettere di lato, tanto da vedere sporgere la sua sagoma dal tronco dell’ulivo o dal muretto che fa da argine alla jumara. Quando riesco a centrarla e a farla volare trasportata dal sasso, provo soddisfazione per il tiro, ma poi vedendola maciullata sono anche dispiaciuto per la lucertola che non mi ha fatto nulla. Ma chi se ne importa, ce ne sono a centinaia. Che sarà mai se  ne faccio fuori qualcuna. Però, quando la ferisci solamente e perde la coda, allora ti devi proteggere dalle bestemmie. Ma c’è una cosa che non ho capito: che ha da bestemmiare, se tanto poi la coda le ricresce tale e quale? Devo chiederlo a Giuseppino, lui lo sa di sicuro. Chissà se sa anche perché i girini quando crescono, dopo aver messo le zampe perdono la coda. Pure questo è un altro fatto strano. Allo stagno vicino alla jumara ne vedo tanti di girini, di rane e anche di quelle vie di mezzo che sono girini con le zampe o rane piccole con la coda. Ranuncchie, craa craa. Mo se vedo un rospo lo prendo a fiondate. Macché, si nasconde quel fetente.
Dopo che è  nata  mia sorella ci siamo trasferiti in questa zona nuova. Qualcuno la chiama porta di ferro, qualcun altro Torre Pisani, ma io non ho mai visto né la porta di ferro e né la torre. Meno male che almeno c’è la jumara! Che poi, alla fine, non si capisce manco cos’è: un fiume svuotato dell’acqua. E rimettetela st’acqua, no? Così almeno ci posso pescare. C’ho quella bella canna che mi ha regalato zio Tonino. Te l’immagini un fiume sotto casa? Bene mio! Tutti i pomeriggi a pescare starei.
Invece niente. Un deserto, rena e mazzacane sparse. Però forse da quella parte un campetto per giocarci a pallone può essere che ci esce. Togliendo un po’ di pietre, magari. Forse, se Gennarino si fa dare un po’ di calce dal padre che è muratore, ci  riusciamo a fare pure le linee di fondo. E pure il dischetto del rigore! Tira ti, che c’è Zoff in porta. Sennò la calce la frichiamo in quel cantiere all’altro palazzo. Mò glielo dico a Giuseppino…
«Giuseppì! Port’ u pallun ca iocam cà, intr a jumara, a porter volante.»
Certo che il Supersantos, pure mezzo sgonfio, è una porcheria. Col pallone di cuoio è n’altra cosa. Però il mio non ce lo porto. C’ho paura che me lo fricano. Sì, va bene, che me lo rubano. È pieno di ladri qui. Però magari quando sarà finito il campetto, con le linee e la porte e senza mazzacane, sarebbe bello. Mi metto pure gli scarpini e la maglia dell’Inter. Anzi, direttamente quella della nazionale e li faccio schiattare tutti d’invidia. Per ora però mi riposo. Ecco, mi stennicchio qua. Che sole! Sta sabbia sa un po’ di muffa, ma secondo me si prende anche l’odore di questi cespugli. Mo sto con gli occhi chiusi, così mi sembra di essere alla spiaggia, quando ancora non posso fare il bagno e non sai che devi fare, che al massimo puoi cercare una pianta di liquerizia per tirare fuori la radice e masticarla. Va va… Na fatica a tirare che manco li cani.
S’è ricoto Giuseppino col pallone e un paio d’altri. Mmmh, c’è pure quel lizzicatorti di Saverio. 
Mi sa che finisce a palate pure oggi. Iocam?
È fallo in area e quindi è rigore. No. Sì. No. Sì…
«Ma se non c’è la linea dell’area, com’è rigore?»
«Ma si sim a nu metr’ era porta, unnu sa’ che è rigore?»
«Vì ca è  fora l’area, si cecat?»
«Mo ti mign.»
«A chin min tu?»
«A ttia, ti mign nci rent.»
«Assé, mer ca abbusc i palate!»
E via di seguito  a lanciarci minacce con la faccia feroce,  a bestemmiarci i morti  e a invocare le fisse delle rispettive mamme e sorelle. Solo a quel punto, partendo da una presa stile lotta greco romana, possiamo picchiarci senza pensieri. Le occasioni per  fare a palate tanto non mancano mai, e se cerchi di far pace vuol dire che te la cachi, ed è peggio. Come l’altra volta, che mi sono deciso a portare il  pallone di cuoio al campetto della jumara ed è finita malamente. 
A un certo punto, uno che chi cazzo lo conosce, fa un rinvio esagerato per le dimensioni del campetto. «Oooh, ma addi si? A San Sir?» Così il pallone finisce in un pizzo, dove a voglia a cercarlo in mezzo a rovi e fichi d’india, e infatti non lo ritroviamo. A un certo punto Giuseppino, che sa sempre tutto, si avvicina e mi dice: «Chidd è Nicola, è nu latr». Se lo dice Giuseppino, puoi star certo. Infatti si scopre che il tipo ha un compare appostato per recuperare il  pallone e squagliarsela da un’altra parte. A questo punto le alternative erano solo due: fare la figura di quello che se la fifa e lasciar perdere, sapendo comunque che a casa mi sarei preso l’inevitabile cazziatone di mio padre, per essere tornato senza pallone, oppure fare a palate con Nicola il ladro. Nessuna delle scelte mi piaceva, ma alla fine ho scelto le palate, tanto due buffettuni in più o in meno che saranno mai. Al massimo, pensavo, pure ad avere la peggio, avrei mostrato i segni della lotta, che è una cosa che fa sempre piacere ai padri, alle madri un po’ meno. Ma comunque. Incitato dai compagni, che preferivano il pallone di cuoio al Supersantos sgonfio, comincia la scerra. Nicola era più forte, più cattivo, e alla fine ne ho prese più di quante ne ho date, e la maglietta dell’Italia alla fine aveva una manica un poco scioddata. Così mi ero ritrovato a terra, impolverato e con un labbro gonfio. E riannusavo l’odore della sabbia della jumara, che a quel punto sapeva anche un po’ del mio sangue. A casa mamma ha detto: «Guardati! Non ti faccio scendere più». Mio padre, invece, la sera aveva fatto il vago, ma poi mi aveva chiesto: «Almeno un cazzottone glie l’hai tirato, si?». «E certo, hai presente Cassius Clay?»
Nicola il ladro ormai non viene più al campetto. Forse perché abbiamo ripreso a giocare col Supersantos sgonfio.
L’altra settimana ha piovuto tutti i giorni, e un filo d’ acqua si è presentato al centro della jiumara. Via via che le ore passavano il torrente si è ingrossato, si è preso di coraggio, e con  un’onda torbida e marroncina ha iniziato a scorrere rumorosamente a lato del palazzo, trascinando  rami e altra roba verso il mare. All’altezza del ponte, che è il punto più stretto, l’acqua è salita di livello superando l’argine. È finita che in un paio di ore ha fatto venire giù un pezzo del contrafforte del palazzo, portandosi via anche un paio di parcheggi per le macchine. Na paura! Pure il nostro garage si è allagato!
Il campetto è scomparso, non si vede più. È di nuovo tutto pieno di mazzacane. Mannaia ara marina! Ma che si può fare? Giocare a vincere le figurine dei calciatori. Giocatò giocatò! Giochiamo col soffio o con la mano? Per farle ribaltare, però prima le devi un po’ piegare, dopo ti avvicini e fai ‘pah’ con la bocca. Oppure, con la mano a coppetta, la sbatti vicino al mazzetto di figurine e con lo spostamento d’aria le fai girare. 

«U vì a Cuccureddu co è brutt u’ mort suu! U vo’ scangiare cu Frustalupi?»

Comunque a me non mi spaventa fare cose da solo, tanto la fionda in tasca ce l’ho e poi la terrazza di casa mia si vede da lontano. Però adesso c’ho nove anni e non posso rimanere sempre a vista o a voce di genitore, e quando mi va risalgo il letto della jumara verso la collina. Mi piace allontanarmi dalle strade asfaltate, dai palazzi, da tutta quella remurata. E mano mano che mi allontano, qua è tutto più selvatico e c’è silenzio. Ogni tanto incontro pure le capre che si spostano, seguite dal pastore e dal suo cane. Quando mi sembra di essermi allontanato troppo, che il mio palazzo si confonde sullo sfondo delle altre costruzioni ed è diventato piccolino, allora mi  sento un vero esploratore, potrei arrivare fino in montagna.
Però quel panino di nonna era meglio se me lo portavo. Mah, da come è basso il sole forse è meglio ricogliersi, ‘nsia mai incontro qualche mandria di cani selvaggi. Magari attraverso l’uliveto e faccio prima, tanto ormai lo stradello tra gli ulivi me lo sono fissato in mente. Giro intorno a quello cavo e passo a sinistra superato quello col nodo a forma di cuccuvella. O era a destra? Boh.

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