Quella tiepida sera di maggio in cui incontrai una ragazza brutta al 100%

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Illustrazione di Agrin Amedì
In una tiepida sera di maggio, lungo la via del Teatro di Marcello, ho incontrato una ragazza brutta al 100%. Già a duecento metri di distanza capii che aveva un aspetto orribile. Gli abiti che indossava erano male abbinati e i capelli lucidi erano tirati all’indietro e legati in una criniera della stessa consistenza del catrame dopo una grandinata.

In una tiepida sera di maggio, lungo la via del Teatro di Marcello, ho incontrato una ragazza brutta al 100%.
Già a duecento metri di distanza capii che aveva un aspetto orribile. Gli abiti che indossava erano male abbinati e i capelli lucidi erano tirati all’indietro e legati in una criniera della stessa consistenza del catrame dopo una grandinata. Doveva essere sulla trentina, ma dimostrava almeno dieci anni di più. Ciò era dovuto, me ne accorsi subito, alle pose sgraziate che assumeva ogni volta che si fermava ad ammirare i ruderi della Roma antica che fiancheggiavano la via: quando guardava in alto, magari per osservare i deliziosi mezzanini illuminati sopra il teatro di Marcello, era costretta da chissà quale disgrazia a piegarsi sulla schiena e ad allineare la testa e la traiettoria degli occhi con l’oggetto del suo sguardo, come se indossasse un pesantissimo scafandro. Il mio corpo ne soffrì: il battito del cuore prese a rallentare, il respiro si fece pesante e l’interno della bocca mi si riempì di una saliva vischiosa e acida che fui costretto a riversare sull’asfalto in un denso grumo verdognolo.
Io camminavo da nord a sud, lei da sud a nord, curva come un bastoncino di liquirizia e con una traiettoria incerta e scomposta. Desiderai risparmiarmi l’imbarazzo di passarle accanto, ma sapevo anche che se avessi cambiato lato della strada l’immagine di quella donna avrebbe continuato a perseguitarmi. Per questo decisi di non evitarla. Anzi, per qualche strano motivo mi venne voglia di parlarle. Ma cosa avrei potuto dirle?
Ormai ci separavano solo una decina di metri. Sì, adesso le parlo, mi convinsi, e le dico tutta la verità perché nell’indecisione la verità è sempre una buona scelta. E poi, ammettiamolo, non capita tutti i giorni di incontrare una ragazza brutta al 100%.
«Salve,» le avrei detto, «mi scusi se la disturbo, ma devo parlarle urgentemente. Adesso, per cortesia, non se la prenda a male: ma lei sa che è la prima ragazza brutta al 100% che incontro?».
Ma cosa mi saltava in mente? Mi avrebbe fissato a lungo con i suoi occhi acquosi da orata sotto sale per poi rifilarmi, e non senza le sue ragioni, un ceffone sul viso. Feci un secondo tentativo.
«Buonasera, le ruberò solo un minuto. Dunque, lei ha presente la storia della donna perfetta, dell’anima gemella eccetera eccetera? Ecco, non c’entra niente lei, si figuri. No, mi spiego… Questo per dirle che, insomma, lei è la prima ragazza brutta al 100% che vedo ed ecco, mi fa un certo effetto. Ma non se la prenda, per cortesia. Sa, c’è dell’incredibile in tutto questo. Lei è brutta al 100%, quindi in un certo senso è bruttissima, mostruosa al massimo grado. E siamo d’accordo. Ma non esiste niente al mondo con una percentuale tanto alta di purezza quanto lei, nemmeno le catenine d’oro che mi hanno regalato per la comunione. Quindi, e qui finisco, lei ha in sé il germe della perfezione. È di una bruttezza perfetta. Me lo lasci dire».
Troppo prolisso, ho pensato. Magari la ragazza sapeva già di essere brutta al 100% – può capitare – e mi avrebbe risposto: «La ringrazio, lei è molto gentile, ma sa che non è il primo a farmelo presente?». Oppure è probabile che non avesse voglia di parlare con me.
Ci sfiorammo il gomito di fronte al colonnato buio di una chiesa medievale. Lo spostamento d’aria portò alle mie narici l’odore della sua pelle che mi ricordò una porzione abbondante di cicoria al terzo giorno consecutivo di ripasso. Ero così occupato a trattenere il fiato e a coprirmi il naso con una mano che la ragazza passò oltre e io persi la mia occasione. Alzai gli occhi al cielo, sconfitto, ma non mi persi d’animo. In fondo, poco male. Il mio discorso non avrebbe funzionato; troppo articolato, poco pratico, per di più insidiato dal rischio di recarle un’offesa ingiustificata.
«Mi scusi», parlò una voce roca e consumata alle mie spalle.
Mi voltai. Era la ragazza brutta. Mi stava fissando. Io non riuscii a reggere il suo sguardo torbido.
«Sì?» le dissi.
«Posso parlarle un attimo?».
Io annuii, con la testa bassa. La ragazza si avvicinò lentamente. A ogni passo in avanti le sue scarpe sfrigolavano come se avesse i calzini fradici. Indietreggiai con cautela.
«Sa che me la immaginavo proprio così?» disse.
«In che senso?»
«L’uomo non perfetto per me al 100%»
«Io non sarei perfetto per lei?»
«Glielo assicuro. Al 100%.»
Quelle parole pronunciate con inaspettata intelligenza mi fecero riflettere, e la cosa non mi piacque affatto perché in genere ogni mia riflessione porta a una constatazione amara e di ineluttabile tristezza. Presi coraggio e la guardai. La sua bruttezza era un’armonia crudele di pieni e di vuoti, di sproporzioni e malfunzionamenti; persino la sua voce, modulata da un fiato mefitico, pizzicava con sgradevolezza i miei timpani fino a penetrarmi dentro e a soffocare con dei lacci di ferro i miei organi vitali. Eppure era impossibile non leggere in quell’evento una trama accuratamente intrecciata da un meccanismo superiore, densa di segreti lì lì per schiudersi in una rivelazione tutt’altro che consolatoria.
«Ma sa che, più o meno, ho pensato la stessa cosa di lei?» dissi.
«Dice davvero?»
«Certo. Lei è la prima ragazza brutta al 100% che incontro.»
«È una strana coincidenza, non trova?»
Parlammo un po’, senza sapere bene cosa dirci. Del resto, per quanto capiti di rado, è questo che succede quando due persone non perfette l’uno per l’altra si incontrano: i discorsi non portano da nessuna parte e le parole non sanno di niente. Non mi ero mai sentito così solo di fronte a una ragazza come in quella sera di maggio; così abbandonato, accartocciato, e gettato via come una lettera piena di correzioni e ripensamenti. Nel volto legnoso della ragazza intuivo la mia stessa sofferenza.
«Ma secondo lei,» le dissi «è giusto tutto questo? Voglio dire, se è vero che per ciascuno di noi esistono due persone che condividono il medesimo grado di perfezione, una perfetta al 100% e una non perfetta al 100% e che, a far due calcoli, è improbabile incontrarle entrambe in una sola vita, non pensa che io e lei siamo stati davvero sfortunati questa sera?»
La ragazza sembrò non capire. Poi mimò un faticoso sì con la testa e lo accompagnò con un pollice smangiucchiato puntato verso l’alto. Allora prendemmo una decisione. Ci promettemmo che non ci saremmo mai più rivisti; perché se la sorte era dalla nostra parte, è ovvio che non ci saremmo incontrati più per nessuna ragione. Ma che se per caso, un giorno, ci fossimo ritrovati a camminare sullo stesso lato della strada come quella sera lungo la via del teatro, allora non ci saremmo riconosciuti, neanche se ci fossimo passati accanto, perché ritenemmo ingiusto che due persone incompatibili al 100% potessero avere una seconda possibilità. Ci accordammo così. Non mi sentivo affatto sollevato per come erano andate le cose. Tornammo ognuno alla propria passeggiata, anche se avrei desiderato farle compagnia ancora per un po’; camminare accanto a lei, coordinare le arcate ampie e regolari dei miei passi con le sue più strascicate e focomeliche. Forse anche lei lo desiderava, ma eravamo imperfetti e non potevamo farci niente. Ogni altro minuto insieme avrebbe alimentato di sogni e di favole il fuoco di quella ingiustizia. La ragazza proseguì verso nord, io verso sud. C’era una bella luna in quella tiepida sera di maggio che schiariva le nostre figure e la strada e le rovine intorno a noi. Prima che la ragazza brutta imboccasse una via laterale feci in tempo a dirle un’ultima cosa.
«Non pensa che sia una storia molto triste la nostra?»
«Sì,» rispose «è una storia molto triste». Poi sparì.

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