Decise di farla finita. Ma prima di suicidarsi voleva togliersi almeno uno sfizio. Appassionato di buona cucina, sentiva la pulsione del morituro di assaporare come ultimo desiderio i piatti dei migliori ristoranti della penisola. Da aspirante suicida valeva senz’altro le pena cominciare col Quinzi & Gabrieli, nel centro storico della capitale, una stella Michelin. Prenotazione obbligata, giacca a quadrettoni che fa storcere il naso ma è pur sempre una giacca. Antipasto con una scomposizione di calamari su letto di crema di piselli con cialda croccante di tartufo e guarnizioni al nero di seppia. Profumo indescrivibile. Come un grande chef, abbassa leggermente la faccia sul piatto rettangolare. Da vicino sembra una porzione più abbondante, ma lui vuole far intendere che prima che col gusto si gode con l’odore. Il profumo, quando si tratta di tartufo bianco di Alba. Il tocchetto di calamaro inzuppato nella dolcezza del pisello e poi in bocca, raccogliendo due gocce di nero, una scaglia di bianco e una crosticina di croccante. Sublime. Papille gustative in solluchero.
Ragionando a pancia piena sul suicidio bisognava lavorare sulla modalità. Caduta da escludere, troppo splatter. Arma da fuoco pure, costa cara una pistola. E poi il porto d’armi? Meglio investire ancora un po’ sul cibo.
Guida Michelin, una stella ne chiama due. Il miglior due stelle Michelin, chi sarà? Antonino Cannavacciuolo e chi se no. Prenotazione immediata, due giorni di ferie e via, su nel novarese a Villa Crespi. Dare fondo a tutti i risparmi, tanto di là non servono. Il resto lo fece una spuma di gamberi dell’isola di Giava su passatina di ceci, con lardo di Colonnata croccante e una pioggia di caviale Beluga.
Durante il viaggio di ritorno, in prima classe sull’Eurostar, fu colto da un sonno appagante. Sognava. In compagnia di una bella donna stava entrando nell’Enoteca Pinchiorri a Firenze in via Ghibellina. Tre stelle, il top. Lei lo guardava con ammirazione mentre ordinava un Sassicaia dell’88 gran riserva. Poi, con esperienza da cliente navigato, del salmone selvaggio con salsa ponzu e lamponi, mentre per la signora calamari scottati topinambur e carciofi. La papilla gustativa cominciò a lavorare.
Un filo di bava stava colando dall’angolo della bocca del dormiente mentre un’espressione di beatitudine prese possesso dei suoi lineamenti. Il vicino di poltrona scuotendo il capo divertito, si immerse nel quotidiano offerto dalla hostess alla quale aveva fatto un cenno col dito davanti alla bocca. Non si doveva interrompere il sogno.
Per primo vermicelli al gambero rosso di Mazzara e briciole di pane croccante con spolverata di bottarga di muggine. Per due. La donna, splendida, allungava la mano sulla tavola e lui la accarezzava fin sull’avambraccio candido e levigato come una Pietà di Michelangelo. L’apice del piacere col secondo. Astice alla catalana per lui e tonno rosso laccato alle erbe su piccola caponata per lei. Si sfilava una scarpa col tacco e cominciava ad accarezzargli l’interno della coscia col piede mentre masticava lentamente il boccone guardandolo maliziosa dal basso. Il pensiero di farla finita si allontanava verso un orizzonte di desiderio alimentare e non solo, sempre più raffinato e voluttuoso. Carnale.
Nel sonno, allungò la gamba sotto il sedile di fronte e iniziò a mugolare soavemente. Il vicino, sorridendo, lo osservava con un pizzico d’invidia. Stazione di Bologna. Accidenti, esclamò sotto voce, rendendosi conto che era giunto a destinazione. L’altro dormiva beatamente. Lo guardò per un’ultima volta e strizzò gli occhi raccogliendo rapido il bagaglio a mano in cappelliera. Ironia della sorte, stava finendo per suscitare invidia in qualcuno.
Dopo nemmeno un minuto cambio di vicino. Una donna sulla quarantina. Una donna attraente. Osservava accigliata quello strano personaggio dormiente con giacca a quadri, abbandonato sul sedile. Ricontrollò il biglietto. Niente da fare, le toccava. Si sedette con delicatezza. Osservandolo meglio, con quella camicia blu elettrico e quell’improbabile papillon a pallini, le parve un volto conosciuto, così scarmigliato e beato nel sonno dei giusti. Sì, proprio quel presentatore TV, quello romano famoso. Non le veniva il nome ma era lui, senza ombra di dubbio. Come era ridotto, povero. Si intenerì.
Il treno ripartì, poi frenò bruscamente. Lui aprì gli occhi, si volse verso di lei ancora preda delle sue rosee visioni oniriche, le prese delicatamente il volto tra le mani e la baciò appassionatamente, assaporando quelle labbra che gli ripresentarono il gusto dei delicatissimi gamberi rossi di Mazara.
Forse non è quello che dico io. La donna cominciò a dubitare, staccandosi dalla presa. Ma chi è quest’uomo, cosa vuole? Cioè, si capisce cosa vuole. Ha bisogno di qualcosa. Sorrise, ebbe tenerezza, tanta tenerezza, e si lasciò andare.
Fermata successiva Firenze. Taxi per via Ghibellina, Enoteca Pinchiorri. Tavolo per due. E poi Hotel Brunelleschi, un sogno a occhi aperti. Il prima, la cena e il dopo in sorprendente rapida successione.
Immersi nell’enorme Jakuzi all’una di notte con una flûte di Dom Perignon, ad accompagnare nella glottide una dozzina di succose ostriche della Provenza nella loro sinuosa danza tra lingua e palato, le rivolse lo sguardo e considerò che la vita può cominciare davvero a cinquant’anni, con una giacca a quadrettoni, una camicia blu elettrico in un sogno passeggero che si realizza per caso.