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Illustrazione di Agrin Amedì
Il Bonfio è un essere tristo che prima guarnisce e poi stilla dolci lacrime farisee. Mezzosecolante maschio, grugnisce lamentoso mementando loffio quel fu giocondo e leggero, divorando lussurioso memorie e pastasciutta.

Il Bonfio è un essere tristo che prima guarnisce e poi stilla dolci lacrime farisee. Mezzosecolante maschio, grugnisce lamentoso mementando loffio quel fu giocondo e leggero, divorando lussurioso memorie e pastasciutta. Lubrico e sordido, sgugliazza giovin pulzelle, miserabondo smorfio e rattuso grugnoso tondio. Gli anni lo hanno reso gordo e murcido, disavvezzo alle muliebri lusinghe. Ma quegli, né caramogio né sbrobbio, provava con le ultime sue energie ad addivenire atteggiamenti da lerniuccio, apporotando garrulo i bulbi oculari con mobilità attrulla e sguincia.
Un bel dì passò collega femmina sciando progesteronici olezzi, al che il Bonfio rifiorì attimamente e sbriso le si parò a tergo, ronfinando con le fauci distese, arrotando la dentatura smaltosa.
«Uno spritz?», domandò rattusamente all’ubertosa collega, estendendo l’orbicolare come aurora boreale.

«Volentieri», trignò la giovane giunonica fantessa.
Per un istante egli perse lo sguardo caramoggio e uno sfolgorio di sole balenò sul guardione, ancora verdastro e smaltulo. Memorò addietro in terza decade vissuta e un groppo mulcido gli avvinò l’odor di nectria che la pulzella flottava improvvida, attorniando madida il maschiame rapulo.
«Ma prego!», esclamò ossequioso il Bonfio quadrando rubbio nel locale smorfio.
Silenzio totale. Occhi turpidi sulla fantessa e biechi sguardi sull’uomo di mobole, cinquantino tondio e sburpio. Poi la magia. Quella poggiò l’orbicolare labiale sul soffiato fluttuoso e empio di fluido rossastro, sorse un poco e arrugò verso il Bonfio, slinguando rapida il vermiglio sisimbro.
Svenente, quello la occhieggia di nuovo garrulo e aratore, spalanca la smaltata fibula alzando il gonfio silicio.
«Alla tua», proferisce infine flebile e tulpino.
«Alla nostra», ella risuona splendida e allusiva, facendolo scatricchiare, tutta gualda e senza alcun crovello.
È davvero troppo per un Bonfio cinquantino, grube e trifolato, memento di tutti quegli arfasatti e di quelle ciammengule maniformi che non si trovano più in giro oramai.
Quel bino meloname turgido liquefece letteralmente l’improvvido, cotognando la lingua felposa al piccico palato lappo.
«Ma… ma…»
Titubanza fatale con una siffatta sgrinfia. Un giovine mascolo scaprugginante lanciò repente uno sguardo torpido con sorniona astuzia alla volta dell’accalorata fantesca, che spiccò smulfia il volo col goccio in mano, allascando il Bonfio ghiottante… ma… ma… ma…

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