Respira. Ricorda: respiri lunghi e profondi, col diaframma, gonfiando il petto inspirando e la pancia espirando. Piano. Piano. Controlla il respiro e controllerai la tua lingua, la tua voce, la tua parola. Devi farla uscire come in un soffio, ok? Ricordi come dicevano al corso? Come nel soffio delle candeline sulla torta. Ok. Ci sono. Sono pronto. Sono pronto? Ma quando mai! Come faccio a essere pronto con questa balbuzie maledetta, con la lingua che si blocca, la gola che si chiude, i muscoli che si irrigidiscono, l’ansia che mi parte a mille… Ehi, frena frena! L’iperventilazione è un attimo e non te la puoi permettere, proprio no, non è il momento. È arrivato il tuo turno, in ordine alfabetico tocca a te, ti stanno chiamando, capisci? Ora devi alzare il culo dalla sedia, sorridere, raggiungere la cattedra e posizionarti al centro di quel plotone d’esecuzione che dovrà valutare la tua preparazione di 5 anni in più o meno un quarto d’ora. Il quarto d’ora più lungo della tua vita. Per di più in pubblico, capito, non si rendono conto dell’ansia da prestazione che mi comporta la presenza di altri. Finché si tratta degli amici di sempre ok, ormai mi conoscono, sanno come parlo, ma mia madre e mio padre no, loro non li voglio qui. Lo so che mi conoscono più degli altri, ma io conosco la loro ansia, e sommata alla mia è troppo, non ce la posso fare. Respira cazzo, respira. Poggia sulle vocali, estendi le labbra, non importa se iperarticoli, meglio iperarticolare che tartagliare, e poi muoviti, muovi le mani, le braccia, gesticola, lo sai che ti aiuta. Certo qua non posso sbattere i pugni sul tavolo come quando ero bambino e mi faceva impazzire non riuscire a parlare ma vorrei, giuro . Dio come vorrei sprofondare. Allora signor Minerva, partiamo dalla sua tesina, Panta Rei il titolo, può spiegarci il senso? E come no, eccolo il senso: tutto scorre, non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua del fiume, diceva Eraclito… Tutto scorre, tranne la mia voce però, che ora si incespica a ogni consonante e più sbatto sugli occhi che mi tenete addosso come se fossi una specie di alieno più inciampo. Anche se non mi guardate inciampo. Si perché ci sono certi che mentre parlo fanno finta di niente e secondo loro mi dovrei sentire meglio se non mi guardano in faccia, invece io mi sento peggio se manco mi guardi mentre parlo… Piano piano piano. Rallenta e respira. Ok, diaframma, perfetto, così. Visto che hai ripreso il flusso? E poi se tutto scorre sta scorrendo anche questo cazzo di quarto d’ora, un minuto dietro l’altro te lo stai togliendo davanti, perciò stai concentrato e fottitene. Sì fottitene se gli altri sono a disagio ad ascoltare il tuo tentennare, fottitene se ti incalzano o se intervengono a completare la tua parola là dove ti sei bloccato pensando di venirti incontro.; non c’è niente che mi dia più fastidio. Prenditi il tuo tempo. Sì, lungo, dilatato, ma è il mio tempo. L’idea del divenire di Eraclito è un principio universale che vale per ogni cosa, dico, non c’è un istante che sia uguale all’altro, viviamo immersi in un continuo cambiamento di cui non riusciamo a cogliere l’incessanza. Ma che cazzo di parola è incessanza? Chi me l’ha detto di scegliere questa parola che è impronunciabile per chiunque? Era inevitabile che mi schiantassi sulla doppia ‘ss’! Anche a rete una volta ti sei schiantato, era la tua prima volta da titolare, avevi solo 13 anni ma eri così alto da giocare centrale. Ti era arrivata una palla recuperata dai tuoi compagni per il rotto della cuffia, uno di quei recuperi impensabili che la gente applaude, ma arrivata a te per il terzo tocco ti era scivolata dalle mani ed era finita nella rete, così come questa incessanza, e tutti avevano urlato noooo e i tuoi compagni ti avevano imprecato e tu avevi iniziato a sudare come adesso. Respira, panta rei, respira, tutto scorre tutto passa, riprenditi il diaframma, soffia fuori l’ansia, appoggia sulla vocale. Ma perché ora penso alla mia prima partita cazzo sono sotto esame cosa c’entra, resta concentrato. Non so forse c’entra. C’entra questo blocco allo stomaco, c’entra questo disagio, c’entra che c’è un pubblico, c’entra che sono in gioco, Io sono in gioco. Ok allora giochiamo cazzo dai. E quindi l’unica cosa che non muta è il mutamento stesso che secondo Eraclito segue il principio degli opposti, respira stai andando bene, prendi il tuo tempo, sì il tuo tempo, come per la palla. Devi aspettare che sia all’apice della sua parabola solo allora puoi partire e staccarti da terra per schiacciare. Pensa alla palla, pensa solo alla palla. Così erano scomparsi tutti, non sentivo più nessuno, tutto era ovattato ma io volevo lei, seguivo solo lei, dovevo solo piantarla a terra, lo sapevo fare, l’avevo fatto tante volte in palestra, potevo farlo ancora. Alzata, schema 2, veloce, anticipo, la prendo prima ancora che l’avversario a rete capisca cosa sto facendo e la piazzo a terra. Una, due, tre volte di seguito. Ora mi urlano, vai! Sei grande! Vai così! E quindi a che tipo di filosofia possiamo ricollegare il principio degli opposti di Eraclito? Perfetto! Li ho portati dove li volevo portare, sto seguendo il mio schema, il diagramma che mi ero preparato, lo so a memoria, parto a razzo, no cazzo non così veloce, respira se perdi fiato lo sai che ti blocchi, estendi sulla vocale, diaframma, soffia, controllo ok. E se ora mi si agganciano ai greci quelli non li ho studiati perciò non dargli spazio, non dargli spazio, tieni il gioco, vai a muro, muro, mani a tetto e giù palla a terra. Era stato bellissimo. Il mio primo muro a 13 anni era stata un’ebrezza, mi aveva esaltato, mi avevano applaudito, avevano urlato il mio nome, era stato bellissimo. Il suo parallelo è bellissimo, lo avevo letto anche nella sua tesina, e volevo farle i complimenti. Non so per i colleghi ma per me può bastare, il ragazzo è chiaramente preparato. Mi avevano abbracciato tutti al fischio finale, il mister mi aveva detto da oggi sei titolare. I professori mi stringono la mano uno per uno. Un brusio di commenti alle mie spalle. Mia madre sorride in lacrime. Mio padre alza il pollice. I miei compagni il pugno insegno di vittoria. Vado via con la schiena dritta. Panta rei.