Snake – missione improbabile

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Illustrazione di Agrin Amedì
Mentre me ne torno locco locco nella tranquilla suburbia, salgono sul treno questi due oranghi, chiamiamoli Maiolica e Coda-di-cavallo per farvi capire il genere, e subito annuso l’aria da wrestling stradaiolo.

Mentre me ne torno locco locco nella tranquilla suburbia, salgono sul treno questi due oranghi, chiamiamoli Maiolica e Coda-di-cavallo per farvi capire il genere, e subito annuso l’aria da wrestling stradaiolo. «Faresti meglio a seguitarci e senza tante smorfie» dice Coda-di-cavallo con un vocione sovietico da tremarella a una squinzia seduta davanti a me, mimeticata sotto un cappuccio felpoide che però si capisce al volo che ha la ciccia sistemata tutta nei posti giusti. E mi venga un colpo se non le torce un’ala alla pollastra, che quella si dimena dolorosa, mentre il compare zittisce il vagone con una berciata sulfurea. Eh eh, cari i miei scimmioni, state infilandovi la banana nel pertugio sbagliato. «C’è qualche paturnia?» mi fa Maiolica grinzoso. «C’è che la svampa di manzo testosteronico mi ha scombinato l’inspiroespiro, e ora mi friccicano le emorroidi, ecco cosa c’è.» I due si guardano che son mica abituati al parlare diritto, e poi espongono simultanei un doppio colonnato di zanne d’oro dentro nella ghigna. «Ruslan, vedi cosa abbiamo qui? Un eroe. Un forzuto eroe!» e si congratulano a vicenza per l’inatteso sbrindellamento. Di punto in chiaro strambo sotto a Maiolica e gli titillo il gargarozzo. Vedendo il socio nelle sembianze di una mongolfiera in avaria, Coda-di-cavallo intruglia la messa in piega della faccenda, ma un cric crok gli interrompe la metafisica quando col tallone ci schiocco un bacio alla rotula. «Buone le patatine?» sberleffo, e con una caracca lo mando a pulire il pavimento. «Qui fra poco si fa bollente» profetizzo, e mi rimorchio fuori la pupattola. Quando abbassa il cappuccio mi sembra di sgamare la topolona della tele, la figlia un po’ sopra i righelli del Grande Capo per intenderci, quella che si infiltra sempre in qualche scompiglio che i giornalai ci vanno in giuggiola. Cioè le assomiglia ma mi fa stravagante: quando ti abitui all’Air Force One e compagnia canora difficile che poi ti smalloppi le rotaie del barrio. «Sarà meglio che sgommo. Grazie della pugnata» mi fa tutta scaltrona, e gira i tacchi. Mi godo una radiografia del panorama prima di urlare marmoreo: «Devi essere in guai seri se la mafia siberica ti scalcagna i segugi». Inchioda e torna verso di me, mentre scatto una seconda istantanea, stavolta all’emisfero boreale: «Come… Come lo intrugli?». «Non ci vuole una gran pinna per sniffare puzza di dromedario» notifico, cioccando due file di uomini che spolmonano ai lati della banchina. Questi però sono dotati di chincaglieria pesante. Ci catapultiamo in strada e scalcio la bomboniera dentro un portone imperando «azzeccati lì e non scarrozzare», per poi capriolarmi dietro un angoletto stratagemmico. Acciuffo il primo malandra a tiro, gli stinco un sibemolle sulla mandibola, torco la zampa che tiene il cannone e piroettando un danubio blu vuoto il caricatore, mentre tutto attorno diventa come un bowling in carne e budella. Poco più in là uno spaventapassere punta con la mitraglia ma mi giravolto in tempo. Rotolando faccio visita a un trapassato per scartocciargli la magnum dalla grinfia e aprire il terzo occhio allo sparatutto.
Ora è tutto un cicalare di bombarde, e così ne approfitto per raggiungere la tiziana, che stridula «Attento!» appena in tempo per scamparmi la gobba da una puncicata. E brava la pisqua. Con rapidi qui e là evito i colpi dello spadaccino che poi un calcio rotante teletrasporta dentro un flipper vintage da bar periferico.
«Chi sei? Non mi sembri un pizza e fichi» smiela ansiosa con le puntarelle tinticanti sotto al felpotto da dove si intruglia che il sottoscritto le sfagiola mica di ridere: «Curtis Blake, ma i compadri mi appellano Snake», taglio svelto mentre la traino via in uno sfracasso di vetri e pneumatici. «Sfiata in questa direzione, io proverò a distrarli» dico alla mia nuova amica. Lei mi guarda gattosa: «Ti prego Snake, sta’ in campagna» e mi smacca un bacione con slinguazza e risucchio prima di azzeccarsi in un vicolo fumoso. Ci sa fare, la sbarbata. Mi scrollo l’erezione per schizzare tampinato da confetti e bomboniere fino a una di quelle autocisterne di broda di cui son piene le strade uazzamerican, parcheggiate lì col guidatore che sta ingollando cheeseburger a catena nel vicino fast food mentre squadra il posteriore di una qualche cameriera lollipop. Insomma per farla breve spiattello nell’abitacolo, ragazzi; una sola pallottola in fuorigioco e di me rimarrà solo l’ombra di una scorreggia al cherosene. Ma devo tentare. Attacco i fili e innesco l’avviamento per poi tavolettare verso la truppa dei nerovestiti. «Bye bye, stercorari» gongolo prima di lanciarmi fuori dall’automezzo in corsa. Eh, uno dei fuochi pirotecnici più ganzi della mia vita! Ora che i bimbi sono sistemati, passiamo a giocare con mamma e papà.
Ma non c’è tempo per l’arte poetica, che lo sflappare di un elicottero ricopre lo sfrigolo del falò. Mi precipito in tempo per vedere due barbagianni mentre caricano la ragazza sul velivolo. Con una spolmonata mi abbarbico al carrello e il trabiccolo, squinternato, sbarella paurosamente. «Sei ciocco, ci farai sbertare tutti!» fa uno dei pennuti affacciandosi. Così lo acchiappo per il becco per fiondarlo giù mentre l’aeromobile scomparsa dentro un muro di pece. «Dimmi per chi intrallazzi o ti riduco a uno spiedino» minaccio, mentre il capacchione rimbalza sull’asfalto come il pallone di una finale NBA. «Ra-sko-lni-kov» bubbola prima di tirare il calzino. Capita di farsi prendere la mano «Uno sbirignao di meno» dichiaro pomposo e provvedo ad evaporare, mentre uno tsnunami di sirene si approssima alla grigliata mista apparecchiata dal vostro amico masterchef. Raskolnikov. Il nome non mi è nuovo. Il tipo rispettabile di uomo d’affari russo con un villone stile Diseyland che puzza di guano lontano un migliaro. Solo quei bamba dell’FBI possono credere alla favoletta del tycoon umanitario. Sarà lì che han portato la mandrilla. Snafatalino la tuta da scorticanatiche e ci carico nelle tasche qualche scherzo di carnevale vietato ai minori, per fiondarmi poi al castello del mangiacaviale, dove è già tutto un gracchiare di walkietalkie.
La villa ha il buon gusto di una torta di compleanno fluo stile favela, e una volta dentro inizio a scrocchiare gargante, per atterrare infine in un grande salone che appena ci scarrozzo si illumina come una mensa aziendale: dev’essere il comitato d’accoglienza. Un parterre di facce da scroto mi squadra rimpallandosi la puledra, che stringata come una salamella sembra ancora più slurposa, ma però faccio tutto l’indignato col vocione sbiascicante e sparo una roba tipo se le avete torto un pelo ascellare. «Cosa vorresti fare, maledetto ficcanasca?» mi interrompe con accento transilvanico questo lampadato in completo da re dei truzzi. È Raskolnikov, che poi attacca una pippa come a dire che ha più sale in zucca di tutti e nessuno glielo mette nel chiccherone e bla bla bla, che dopo un po’ il pensiero mi sbarella alle puppe della squinzia che fanno dlin dlon mentre corriamo tra le esplosioni. «Dranko, è tutto per te» stringe finalmente con una risata vampirosa, mentre emerge dalla folla lo spezzapollici della ghenga, il torsolo tutto disegnato a rasoi, pistole e mammaperdonami cirillici, di quelli che non li stende manco una palla da demolizione. Una branda ben sistemata sulla ganascia non gli scuce un baffo a manubrio, e subito dopo mi ritrovo strizzato come il bucato di una lanciatrice di peso bielorussa. «Snake!» strombazza la candy candy. Sarà il caso di mettere in caldo uno di quei gingilli da furbacchione se non voglio diventare concime per baobab. E proprio nel bel mezzo della ghigna concludente ci ficco nel forno del Dranko uno di quegli ananas iracheni souvenir di qualche vacanza splatter. Un sinistro «bop» blurpa nella trippa del preistorico con gli occhi che gli diventano tipo uova alla coque. Poi con un devastante rutto corditico si spiattella a faccia avanti; ogni buco trasformato in fumarola. «Esagerato col piccante, testa di cappio?» smaramaldo. La teppaglia si imbroglia, così ne approfitto per un po’ di sanguinaccio in vecchio stile rambo tre, mentre Raskolnikov strascica via la bernarda che se la vuole imboscare come ortaggio. «Arrivo per le tottò», stronzio. Un’ultima girandola di scrocchiazeppi e mi fiondo nello studio privato del tamarro, con le pareti agghindate di legno con tutti questi cicisbei pittati in armatura e pennacchio. Una pistoletta dorata da sfarzoso è puntata alla cucuzza bionda. «Se ti appropini ci esplodo le meningi», e tutto rimane sospeso che non si sente nemmeno una sbanfa. «Lasciala smammare vecchio Rasko, per te è conclusa» snocciolo, ma quello si inalbera e non mi punta il gingillo sganciando una supposta? Che però va a inchiodarsi sulla fronte di un grizzly impagliato, ed è a questo punto che la cagnolina azzanna e si divincola. Tutto è pronto per un calcione ralenty che ci spedisce la nasca del mascalzone là dove non batte il sole. ‘Game over’, mi compiaccio. Ma mentre mi preparo per un abbarbicamento limonoide esplodono dalla finestra questi tiziani mascherati in mimetica e visori, con gli sparacaramelle in resta. «Arrivate tardi per la festa, pelandroni» faccio io tutto annoiato, ma una voce smegafona intimando le mani ben in vista. La mammifera mi si pianta davanti a quattro di spade e snocciola: «Inchiodate, è l’intrepido che mi ha coperto la petarda» e tutto diventa un ratatuille di ordini e contrordini. Poi i robocop si piantano come stoccafissi e questo cowboy esce da un nuvolame di quadricipiti e auricolari. Un palmipede in livrea declama: «Ledis en gentlemen, sua maestà l’onnipotenzia, il Prepotente degli Stati Uniti d’America in carne e braciole!». Come se non lo riconoscono tutti il vecchio faccia da buttero, ma gli piace steatrare un poco, si capisce; e la guappa si libra farfallosa per agganciarsi al collo del capomandria squicciando «Papà!». Che mi venga un colpo se non era proprio la sfitinzia cinetivù! «Stai bene, cucciola?» mocciola il genitale. “Solo grazie a Snake, senza di lui sarebbe tutto sminchiato” e bercia gli stipendiati che si fanno paonazzi. «Abbassate le armi idioti!» barrisce il Capo dei Buoni, e si approssima per una virile strizzata di guanto. Poi vanvera: «Giovanotto, lei non ha solamente sfangato la mia giovane Kelly, ma anche la pace terracquea, eccetera…». Kelly, bel nome da sporcacciona, annoto «Ragion per quindi l’umanità intera è in debito. Mi dica ordunque se c’è qualcosa che posso apparecchiare per lei». Qualcosa c’è, ma non credo ti piacerebbe, paparone; tempo al tempo, quel che serve ora è una piccola ritirata furbonesca: «Mister, voglio solo flirtare dritto dalla mia famigliuola» menzogno umido, in un vibrare di mascellone frignose. Mentre mi allontano la dolce Kelly si affaccia alla porta tremolante come un budino. «Snake» Attimi di sospensione ormonica… «Sei stato incredibile». E ancora non hai visto niente, penso, mentre la saluto portandomi due dita alla fronte.

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