Io non so parlar d’amore

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Illustrazione di Agrin Amedì
I pensieri. Sì, i pensieri. Quelli sono il problema. Che ne sapete voi dei pensieri che scorrazzano in una casa chiusa mentre voi state lì a guardarli? Quelli corrono dalla fronte ai piedi. Velocità impensate.

Questo racconto è stato scritto durante il laboratorio di “Dialoghi”
diretto da Enrico Valenzi

 

I pensieri. Sì, i pensieri. Quelli sono il problema. Che ne sapete voi dei pensieri che scorrazzano in una casa chiusa mentre voi state lì a guardarli? Quelli corrono dalla fronte ai piedi. Velocità impensate. E poi dai piedi alla fronte. Ancora più veloci. E tu stai lì e non riesci ad afferrare nulla. E il bicchiere non ti aiuta. Non snebbia la mente. Che ne sapete voi della vita che scorre sulla pelle? Quella pelle così liscia. Prima. Candida. Lo dicevano tutti: la tua pelle è buccia di pesca. Morbida, liscia e profumata. L’avete sentito il profumo della mia pelle? Pelle di pesca, profumo di cannella. Così morbida sotto le dita. E le dita erano tante, troppe. Riuscivano a insinuarsi in ogni piega, infilarsi in ogni angolo. Che ne sapete voi degli angoli della pelle? Li avete mai sentiti duri sotto le vostre dita? Non credo. La pelle non ha angoli, leggo la risposta nei vostri occhi. Tutto ha un angolo. L’ho scoperto lentamente nella mia casa chiusa. Gli angoli retti imperano, gli angoli acuti esistono ma gli angoli ottusi sono il vero problema. E poi lo dice il nome. Ottusi. Come gli sguardi che cercano di giustificare la tua esistenza. Ottusi, come i sorrisi che ti accompagnano. Sempre. Che ne sapete voi dei sorrisi perduti? Quelli che illuminavano l’anima e coloravano il mondo. Questa casa chiusa li ha assorbiti lentamente. Se ne è cibata, anno dopo anno. Sono rimasti i vostri sorrisi beffardi. Solo quelli a colorare di grigio la mia esistenza. Le vostre mani sudate e il vostro sguardo voglioso. Non c’è altro in questa casa chiusa al sole, chiusa alla luce. E la vostra saliva colante che mi inonda. E i miei angoli violati, ancora e ancora. Dietro la finestra chiusa, il mondo. Lo so che c’è un mondo dietro. Lo conoscete quel mondo lì fuori, vero? Sì, ne sono certa. Quello lo conoscete. Un mondo fatto di luce e di sguardi decisi. Il mio mondo è penombra e saliva e mani. Di ogni tipo. Su ogni parte del mio corpo. Penombra e mani. Ne sapete qualcosa, voi? Non di momenti piacevoli passati in penombra. Ma di penombra e mani per tutta la vita. Ne sapete qualcosa? No, ma i vostri sguardi ottusi giudicano. E vi riempite la bocca di belle parole. Pronunciandole con pomposità, con sufficienza. Sento le vostre parole vagare per le strade e infrangersi sulle mie finestre chiuse. Amore. Con questa parola poi vi riempite l’anima e vi sublimate. Poeti. Usate ogni più stupida metafora nell’ottusa speranza (sì ottusa, sempre quella parola) di innalzarvi di un piede sulla realtà del mondo. Realtà di sudore e sangue. Realtà di fame e morte. Ma l’amore, ah, l’Amore! Come vi fa sentire superiori impastare questa parola col vostro fiato benpensante. Io non so parlare d’amore. In questa casa chiusa, dalle finestre chiuse. La mia forza è di non conoscere l’amore. La vostra debolezza è l’illusione di averlo incontrato.

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