Questo racconto è stato scritto durante il laboratorio di “Dialoghi”
diretto da Enrico Valenzi
La cucina della mensa aziendale è ampia. Nella cucina della mensa aziendale, tutti i giorni sono uguali. Tutti i giorni si pelano patate, si tritano cipolle. Tutti i giorni Cecilia prepara il pranzo per cento persone.
Tutti i giorni Cecilia sente che le manca l’aria, e pensa ad altro. Cecilia pensa al tempo passato senza frutto. Né sposa, né moglie, né madre. Ormai non più. Una femmina inutile, si sente. Da un po’ evita di guardarsi allo specchio. Non si piace. Per il suo lavoro, non serve piacersi o piacere. Oggi, come ieri, prima del lavoro, colazione al bar di fronte. Tra un caffellatte e un cornetto, quattro chiacchiere con la barista. Si raccontano la puntata della fiction della sera prima. Uno sguardo intorno, al consueto. Entra uno sconosciuto nel bar. Alto, elegante e distinto nel loden grigio, cappello a tesa larga in tinta, occhiali da professore. Un uomo di mezza età, ma prestante. “Richard Gere sputato” si dicono all’unisono le due donne. Chiede un caffè. La voce è modulata, gentile. La barista scatta, Cecilia lo guarda affascinata. ‘Che belle mani! Sono curate, sono proprio le mani di un signore!’ pensa, e fatica a distogliere lo sguardo. È incantata. Le arriva la voce di ‘Lui’, dolce.
“Grazie signora, davvero un buon caffè!”
Paga e va via, seguito dallo sguardo di entrambe.
“Ceci’ ogni tanto ‘na boccata d’aria arriva pure qua, e ce rifamo l’occhi!”
“Ciao, famme anda’, se no ne respiro troppa, de ‘st’aria! E me ceco pure!”
Nella cucina della mensa aziendale, Luciano, il tuttofare, è già presente. Ha preparato sul tavolo da lavoro il menù del giorno, il catino con sedani, carote, aglio e cipolle pelati. Cecilia dà un’occhiata distratta, mentre predispone l’animo all’ambiente, che da un po’ avverte più estraneo che mai. Il rumore dell’acqua che scorre nelle vasche, il ronzio dei motori dei frigoriferi, il borbottio dell’acqua già in ebollizione sulla grande cucina, così inizia la colonna sonora, sempre la stessa, dell’ennesima giornata di lavoro. Luciano si avvicina per prendere ordini e Cecilia, senza degnarlo di uno sguardo,
“Tu dalla manicure, non ce vai mai?”
Le mani dello sconosciuto sono il leitmotiv della sua giornata. La prima cosa bella che ha visto, oggi. Luciano è abituato alle stranezze di Cecilia, che nell’ultimo periodo è peggiorata, perciò non ci fa caso e non risponde. Mentre pela le patate, Cecilia pensa all’incontro fortuito, sogna. Vede ‘Lui’ che le si avvicina, gentile, sorridente.
‘Un uomo così, che ha occhi solo per me!’ e arrossisce a questo pensiero.
D’istinto lascia il coltellino e nasconde le sue mani sciupate dal lavoro, tra le pieghe del grembiule, imbarazzata.
“Balliamo?” le dice ‘Lui’, suadente.
“Sì, ho aspettato tanto questo momento, che tu arrivassi a liberarmi dalle angherie del destino gramo, mio principe!” e le sembra di sentire quanto sono morbide le mani che hanno preso le sue. Come Cenerentola si abbandona tra le sue braccia, si vede bellissima nell’abito da ballo dell’incantesimo. È catturata dal sogno. Il ronzio monotono dei frigoriferi diventa musica. Si diffonde un tango sensuale e Cecilia si sente volare tra le braccia di ‘Lui’.
Mentre pela patate, la musica diventa un valzer vorticoso. Gira danzando, portando avanti il lavoro.
Mentre prepara il ragù, fa progetti.
“Potremmo vivere insieme, non importa dove, anche una soffitta va bene. Come la Bohème.”
“Potremmo…”
“Potremmo vivere la nostra vita come questo valzer. Leggeri.”
“Sì, potremmo.”
Sente che ‘Lui’ la guarda con passione e desiderio, proprio come l’attore nella fiction della sera prima guardava la protagonista. Mentre trita una cipolla, le guance si rigano di lacrime, tira su col naso.
Una nube si addensa all’orizzonte. ‘Lui’ le confessa di essere sposato, ma si libererà presto di quella donna che gli ha procurato solo sofferenza. Con gli occhi teneri, lei lo consola. Vorrebbe fargli una carezza, ma le sue mani sono ruvide e nodose. Potrebbero interrompere l’incanto. Mentre prepara arrosti, la musica è diventata un lento. E ondeggia per seguirla. Tra le braccia di ‘Lui’, guancia a guancia, gode e si bea di questa sua vita immaginata. Sorride rilassata e sicura. Mentre prepara la crema pasticciera, ormai è totalmente sua. Sente su di sé le mani di ‘Lui’. Le mani, le sue bellissime, morbide, mani. Si è concessa a ‘Lui’, e sa che sarà per sempre. Mentre monta il dolce, è in viaggio verso la felicità assoluta.
Maldestro, Luciano il tuttofare, fa cadere una pentola. Un gong assordante che mette fine alla musica e cambia la scena. La cucina della mensa aziendale si riempie dei rumori consueti. Torna il ronzio dei motori dei frigoriferi, della lavastoviglie, acqua che corre, piatti che sbattono, pentole che gorgogliano mentre affondano nel vascone pieno di saponata per il rigoverno.
“Che diavolo fai, perché non stai più attento. M’hai rintronato, deficiente!” gli inveisce contro Cecilia.
Il sogno è irrimediabilmente interrotto. Vorrebbe strillare, fuggire, cancellare con un semplice gesto il suo destino che la tiene legata con i ceppi. Ma non è finita. Ecco Remo, suo fratello, che con aria poco conciliante, piomba in cucina e
“A Cecilia, è ora che te dai ‘na regolata. De là, stanno tutti a baccaja’. Te sei scordata ‘n’altra volta er sale!”
Tutti i giorni Cecilia prepara il pranzo per cento persone. Tutti i giorni, tra un ragù e una besciamella, mentre Cecilia sogna, il tempo, fuori della mensa aziendale, fugge via sulle note di un valzer vorticoso.