Parliamo di Westworld. Una “serie” non è un film, ma si somigliano molto (seconda parte)

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Westworld. Una serie tv “di culto”, rinnovata con altri dieci episodi nel 2018, dopo lo strepitoso successo dei primi dieci del 2016.

Per la prima parte, leggi qui.

 

Sul versante cinematografico ci sono molte opere, soprattutto in anni recenti, che trattano di mondi e di esseri artificiali. Fermiamo l’attenzione su un numero ristretto di essi.
Il più diretto antesignano – da cui la serie mutua addirittura il titolo – è Westworld.

È un film del 1973, soggetto, sceneggiatura e regia di Michael Crichton [autore, tra gli altri, di Jurassic Park, Congo e Andromeda; è stato l’ideatore della serie E.R. – Medici in prima linea].
Nel Westworld originale, malamente tradotto da noi con “Il mondo dei robot” c’è un cattivissimo Yul Brynner nel ruolo di un androide sfuggito al controllo dei suoi creatori (che fanno tutti una brutta fine), vestito di nero come il pistolero de I magnifici sette, e deciso a far fuori due degli ospiti del parco (qui, nel film precursore, i parchi tematici sono tre: Antica Roma, Medio Evo e Far West).

Il mondo dei robot

Il pianeta proibito (Forbidden Planet) è un classico del cinema di fantascienza del 1956, diretto da Fred M. Wilcox. La trama è vagamente ispirata alla commedia teatrale La tempesta di Shakespeare. Racconta la drammatica avventura di una spedizione terrestre su un pianeta sconosciuto i cui abitanti, dopo essere arrivati ad un elevato grado di civilizzazione, si erano autodistrutti. Ma le macchine che essi avevano costruito sono ancora attive e pericolose, capaci di scatenare gli istinti nascosti della psiche umana (…i mostri dell’id!)
Il film è ricordato anche per il robot Robby che torna sulla terra con i superstiti della spedizione, riproposto in successive pellicole e serie televisive; nell’Italia del boom economico diventa il testimonial su “Carosello” di una nota marca di lavatrici: “Or che bravo sono stato posso fare anche il bucato?”.

Il pianeta proibito
il robot Robby

Sul tema degli androidi (“replicanti” nel film) e del loro rapporto con gli umani, il classico dei classici è Blade Runner, di Ridley Scott (1982) interpretato da Harrison Ford e Rutger Hauer. La sceneggiatura è liberamente ispirata al romanzo del 1968 Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick che per l’occasione citiamo tra i “numi” letterari del genere.
Qui la confusione tra umani e androidi è talmente difficile da rilevare che il lavoro di Rick Deckart (Harrison) è appunto quello di identificare i replicanti ribelli che rifiutano di farsi “terminare”. Il film è ambientato in una cupa Los Angeles distopica (del 2019), dove piove sempre. Del film (‘cult’ per diverse ragioni) esistono varie versioni: quella uscita nelle sale nell’82, la versione Director’s cut del 1992 e infine una Final cut del 2007, rimasterizzata in digitale e l’unica su cui Ridley Scott ha avuto completa libertà artistica.

Blade Runner

Dal film, la famosa sequenza finale: “Come lacrime nella pioggia” (la colonna sonora è di Vangelis ed è, come il film, indimenticabile):

Il sequel del primo Blade runner (unico e senza confronti) è Blade Runner 2049, un film del 2017 diretto dal regista canadese Denis Villeneuve [La donna che canta (Incendies) 2010; e Arrival (2017)] che adombra la possibilità di un possibile concepimento inter-specie (maschio umano con donna androide), ad ingarbugliare ancor più la questione…

Blade Runner 2049

C’è molto, nella serie Westworld, del film The Truman Show – film di Peter Weir del 1998, a sua volta parzialmente ispirato a un episodio di Ai confini della realtà (una delle prime tre le serie tv americane che andò in onda dal 1959 al ’64, con sceneggiatori d’eccezione).
Truman (interpretato da Jim Carrey) vive a sua insaputa in un mondo artificiale, allestito per una serie televisiva cha da anni i telespettatori seguono in diretta; una tipica, linda citta americana è stata ricostruita intorno a lui, fin dalla nascita. Dirige la finzione un regista-demiurgo Christof (che guarda caso è uno dei personaggi della serie Westworld, il cavaliere misterioso sempre vestito di nero: l’attore Ed Harris).
Giunto all’età di trent’anni circa, Truman comincia a rendersi conto di alcune incongruenza della sua vita e domanda dopo domanda, scopre la verità e fa crollare il mondo fittizio che gli è stato costruito intorno.

The Truman Show

Non si può escludere da questa rassegna essenziale degli antefatti, un film dalla storia complessa come A.I. – Intelligenza artificiale (A.I. Artificial Intelligence), del 2001 diretto da Steven Spielberg, basato su un progetto di Stanley Kubrick.
Il soggetto del film è tratto dal racconto del 1969 di Brian Aldiss, Super-giocattoli che durano tutta l’estate (Supertoys last all summer long), con importanti innesti e citazioni dal Pinocchio del nostro Collodi (…come si vede i rimandi sono infiniti!).
David, un bambino androide dotato di sensibilità umana, appartenente ad una nuova serie di androidi Mecha, viene adottato da una famiglia umana che ha temporaneamente perso il figlio naturale (ibernato per una malattia di difficile cura), e quindi allontanato quando questi ritorna guarito.
Pur non essendo un film completamente riuscito (al confronto con gli elevati livelli dei film di Spielberg: è lungo e dispersivo), la sensibilità del regista, alle prese con un tema a lui congeniale, raggiunge vette toccanti e ineguagliate sul tema delle emozioni delle creature artificiali “umane, troppo umane”.
Alcuni di questi aspetti ricorrono in Westworld.

A.I. – Intelligenza artificiale

Infine un film recentissimo – del 2017, a cavaliere tra le due serie di WestworldGhost in the shell, per la regia di Rupert Sanders, con Scarlett Johansson, Juliette Binoche e Takeshi Kitano, è parte di un progetto articolato. Costituisce l’adattamento cinematografico dell’omonimo manga del 1989 di Masamune Shirow, e il tema, prima del film, ha ispirato due film d’animazione, tre serie televisive, due special conclusivi delle serie tv e tre videogiochi.
Qui l’eroina è una cyborg, Mira Killian, con un cervello umano (recuperato dopo un terribile incidente) inserito dalla Hanka Robotics in un corpo da guerriera, ad elevata resistenza e prestazioni straordinarie (con le fattezze di Scarlett..!).

Ghost in the shell

Ma nel corso della storia Mira scopre una terribile verità sul suo passato: che le hanno mentito, che la sua vita non è stata salvata, bensì sottratta. Da quel momento diventa una furia inarrestabile, per svelare il mistero della sua esistenza, recuperare il proprio passato e impedire che tali crimini possano ripetersi.
Qui di seguito la presentazione di Ghost in the shell (citato sopra) da YouTube, a confronto con il trailer di Westworld (della puntata precedente – NdA), soprattutto per sottolineare le analogie:

Il duello tra le tv e il cinema.
Un interrogativo che tiene il campo fin dal primo apparire delle serie tv è se queste soppianteranno il cinema e se in cinema come lo intendiamo noi sarà destinato, nel breve o lungo periodo, a scomparire
Non credo. Certo hanno caratteristiche diverse: un film è per sempre, una serie tv, appena dimostra un successo inferiore alle aspettative, è ritirata e soppressa.
Il film è connotato dall’impronta del regista (e in parte dello sceneggiatore).
Nella serie si è affermata la figura dello showrunner, cioè l’ideatore di uno show, che nello stesso tempo si occupa degli aspetti economici e creativi della serie mantenendo i rapporti con network e Studios. In questo suo ruolo, lo showrunner è di fatto il responsabile creativo di una serie, con funzioni di coordinare autori e produttori; in una tale organizzazione del lavoro i registi sono assimilabili a semplici esecutori assunti dallo show con il compito di dirigere un episodio all’interno di una macchina che, di fatto, cammina già da sola. Ovviamente il regista riacquista la sua importanza quando viene scritturato un grosso nome a curare l’episodio di lancio della serie.

I più importanti registi del cinema hanno rapporti ormai molto stretti con le serie tv. Parliamo di grossi calibri come Steven Spielberg, Martin Scorsese, Woody Allen, David Linch, M. Night Shyamalan, Ridley Scott, Andy e Lana Wachowski (Matrix), Darren Aronofsky, David Fincher… e nel nostro piccolo, Paolo Sorrentino.
Molti dei grandi nomi sono nati con la televisione e poi hanno fatto il passo verso il cinema – Spielberg per esempio, con Duel, del 1971 -, salvo in tempi più recenti invertire la tendenza, con una migrazione di massa verso la televisione.
A dire di molti la tv consente una libertà creativa di gran lunga maggiore del cinema.

È di questi giorni la notizia che Netfix – una delle più grosse aziende operanti nella distribuzione via internet di film, serie televisive e altri contenuti d’intrattenimento – potrebbe essere esclusa dal Festival di Cannes tra i film in concorso. La motivazione espressa da Thierry Frémaux, delegato generale del Festival è stata la seguente: – La regola è chiara: ogni film che viene selezionato per il concorso dovrà uscire nelle sale.
Netflix quindi potrebbe partecipare fuori concorso o nella sezione Un Certain Regard: – Lì è la benvenuta a Cannes.
A tutt’oggi non sembra che Netfix sia orientata ad accettare queste condizioni.
E le conseguenza, come in tutte le guerre, sono immediate e imprevedibili.
Un regista italiano, Antonio Morabito il cui film Rimetti a noi i nostri debiti è stato opzionato da Netfix, ha deciso di accettare l’offerta: – Meglio con Netflix in novanta paesi che sparire in dieci sale; così sarà visto in 90 paesi e sottotitolato in 23 lingue. Può essere la prima avvisaglia di una tendenza che potrebbe diffondersi.

Westworld

Ma queste polemiche, che pure è bene conoscere, ci appaiono un po’ triviali.
“Noi che s’è cinefili” (e un po’ sognatori) staremo seduti sulla riva del fiume, cioè davanti ad uno schermo – cinema o tv non è poi così importante – a vedere quel che ci porta davanti la corrente: pretendiamo di saper ancora riconoscere il bello quando lo vediamo. E il nuovo ci piace… non dobbiamo né vogliamo averne paura.

[Parliamo di Westworld (2) – Fine] Per la prima parte, leggi qui

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