Mi dica di più

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La foto scivolò sul bancone, e rimbalzò sul bordo freddo del mio secondo boccale. Stesa sul piano di legno a poca distanza c’era la massiccia mano guantata dell’ispettore. Avvertii sul collo lo spiffero familiare della porta che si apriva e richiudeva, ma nessun passo sul tavolato.

La foto scivolò sul bancone, e rimbalzò sul bordo freddo del mio secondo boccale. Stesa sul piano di legno a poca distanza c’era la massiccia mano guantata dell’ispettore. Avvertii sul collo lo spiffero familiare della porta che si apriva e richiudeva, ma nessun passo sul tavolato. Qualcuno aveva rinunciato a entrare.
«Ha visto questa ragazza?» La voce era ruvida, seghettata; degna dell’omone e della sua pesante, militaresca palandrana. Non aveva l’aria di chi sonda semplicemente il terreno. Sapeva già qualcosa, pensai, ed era in cerca di conferme.
Mi strinsi nel giaccone, come per difendermi da una nuova ventata fredda, e presi fiato. Approfittai dei pochi secondi guadagnati per farmi coraggio, mentre adocchiavo la ragazza in foto.
Una giovane sui venti, venticinque anni; sveglia, allegra, con l’aria sbarazzina. L’inconfondibile ciuffo viola spuntava sotto al cappello di lana.
Mi ero tradito senza emettere un fiato. Sentii lo scricchiolio dello sgabello, mentre il peso considerevole dell’ispettore si assestava:
«Mi dica cosa sa di lei».
L’infausta nota iniziale di un libero, informale “colloquio”. Chi non ha nulla da nascondere, non ha nulla da temere…
L’avevo vista, quella ragazza, sì. Ma non la conoscevo, e non era il tipo che volevo conoscere, davvero. Mi morsi il labbro; ero in trappola? Preso nella rete? Gli altri avventori avevano recepito.
Diedi uno sguardo al ritratto del nostro amatissimo Presidente. Solenne, severo e benevolo, splendeva su tutto il locale, circondato da una sempreverde, gigante corona d’alloro finto, ma molto realistico.
La ragazza della foto sorrideva, energica anche se un po’ patita. I segni della fame avevano intaccato il viso tondeggiante e armonioso, ma non la sua forza di volontà: quella risiedeva salda nei fieri occhi azzurri. Sì; l’avevo vista, lo scorso giovedì, nel primo pomeriggio, vicino alla rotonda di Piazza della Liberazione. Le ciocche di capelli viola tinti in casa e i jeans attillati e scoloriti erano indice di uno spirito fortemente “indisciplinato”. Il cappotto imbottito aveva una tinta troppo vistosa; la lunghissima sciarpa a strisce arrotolata più e più volte attorno al collo era troppo ridicola. Le buone patriote non vestono così. Tanto per cominciare, indossano solo gonne lunghe, e non ostentano mai senso dell’umorismo.
Forse era straniera? Parlava molto bene la nostra lingua. La porta si aprì di nuovo; qualcun altro era uscito. Il padrone s’allontanò per scambiare due parole con i superstiti, nell’angolo più lontano.
«Mi dica di più» incalzò l’ispettore.
La giovane aveva una voce squillante, autorevole, carica di convinzione e un po’ di sfrontatezza. Si era piantata in un angolo nascosto dalla cabina fotografica e dalla vecchia edicola, ormai chiusa. La settimana prima, non lontano da lì, un ragazzino aveva fatto volantinaggio per un nuovo dopolavoro patrocinato dal partito. La zona era trafficata: nessuno immaginava che spacciasse pubblicazioni clandestine. La ragazza, intendo. Il buon cittadino è educato ad allontanare certi pensieri, a rifiutarli.
«Mi dica di più».
Non avevo molto altro da dire. Offriva copie gratuite di una rivista nuova, a me sconosciuta. Gesticolava vivacemente agitando queste copie, stampate su carta di giornale. Là intorno udii pronunciare alcune parole: elezioni giuste e libere, diritto di assemblea indipendente, mandato a termine, libertà di parola… Il mio racconto si bloccò sul diritto d’assemblea.
Chi era quella ragazza? Anarchica? Reazionaria? Spia straniera? Seminatrice di caos e odio, o semplice vittima?
Quale paese poteva dirsi più democratico del nostro? Avevamo votato liberamente per il Presidente. Lui ci chiamava di continuo ad avallare il suo operato, da oltre 15 anni.
Avevamo ordine e “democrazia” a piene mani, ma c’era penuria di cibo, lavoro, conforto.
La rividi davanti a me, sotto la neve delicata di quel pomeriggio. C’era molta gente: quando le sfilai accanto, lei mi sorrise. Nei suoi occhi leggevo che il mio non era solo un altro volto da dimenticare. Le pagine della rivista erano poche, compatte e fitte. Le chiesi di cosa si trattava, e rispose: “Cibo per l’anima”. Parte di me intuiva che la speranza era in lei… in persone come lei, ma la rivista scottava, ne ero certo, e allontanai la mano.
Sembrò delusa, molto. Non disse nulla, mi seguì solo con lo sguardo, in silenzio, mentre mi allontanavo. Arrivato all’angolo di Via Nuova, decisi di darle un’ultima occhiata, e ci rimasi diversi minuti. Aveva ripreso la sua attività, e di buona lena.
Non potevo odiarla. Avrei tanto voluto bere qualcosa insieme, parlarle, ma siamo così diversi, credo.
Udii lo sgabello soffrire di nuovo sotto il peso dell’ispettore, e m’invase un freddo ancor più grande del gelo invernale all’esterno. Questo freddo bruciava da dentro. Col mio lungo silenzio avevo detto abbastanza, lo sapevo.
Il Presidente mi scrutava dal suo altare. Ricordai il mio anno di servizio nella Milizia Nazionale. Mi dissi che doveva pur valere qualcosa per la Polizia Politica, ma non riuscivo a contenere il fremito alla gamba destra. Parlando a raffica, giurai d’aver visto la ragazza solo una volta. Non conoscevo il suo nome, non era mia amica e no, non avevo idea di dove abitasse. Nel corso del breve incontro sotto la neve, non ci eravamo nemmeno sfiorati… Il fotogramma di quell’istante si dissolse. Sentivo l’enorme mano guantata sulla spalla. Non era una presa. Non ancora.
«Bene. Così può bastare».
Lo fissai, cercando di controllarmi. Stavamo per andare al distretto? I poliziotti aspettavano fuori? Sì? No? L’orologio a destra del Presidente marciava: ogni ticchettio, una bastonata.
La porta del locale si aprì. Sulla soglia vidi tre uomini della Politica imbacuccati nelle loro palandrane marroni. Rimasero là, con i fucili a tracolla, in attesa. Ero circondato dal gelo; una goccia mi scese sul bordo dell’occhio.
L’ispettore si era alzato in piedi, e ora torreggiava su di me. Per una breve eternità mi esaminò, poi raccolse il cappello di pelliccia dal bancone, e la foto.
«Quando la prenderemo, avrò bisogno di una dichiarazione da lei. Per ora, la ringrazio».
Stretto nella sua morsa c’era il viso della ragazza coi capelli viola. Non potei evitare di guardarlo un’ultima volta. Mi sentivo rigido in tutto il corpo. Interruppi la paralisi con un cenno del capo, e lo ringraziai.
«Ovviamente, se prima d’allora dovesse rivederla, mi aspetto d’essere informato, tempestivamente. Equità, Servizio, Libertà!»
Io ripetei a voce alta la formula imparata nella Milizia, come un’invocazione, e la porta si richiuse. Attraverso la vetrina, li vidi salire su un fuoristrada militare. Partirono di gran carriera.
Rimasto solo col mio boccale, respiravo affannosamente. L’avevo scampata? Forse, volente o meno, avevo già dato informazioni preziose, ma il mio cuore spossato non lo sapeva, e non voleva saperne.
Per quanto forte, la birra non sarebbe bastata a lavar via la paura, assieme a tutto il resto, colpa inclusa. Non avevo abbastanza in tasca per ubriacarmi sul serio, ma il liquore mi diede un po’ di conforto.

Frastornato e indolenzito, camminavo nel pieno della notte invernale. Sulla via di casa mi venne voglia di passare da Piazza della Liberazione, solo per dare un’occhiata. Era una pura idiozia, e cambiai subito idea. L’ispettore non aveva certo smesso d’osservarmi; i mezzi non gli mancavano.
Le sirene sfrecciarono a pochi isolati di distanza, e un fiocco leggero mi cadde sul naso. Il primo di molti: la neve avrebbe rallentato le ricerche e ridotto la visibilità. A Dio piacendo, non avrei ricevuto alcuna chiamata. Tra un passo e l’altro, pregavo in silenzio che i miei guai fossero finiti, e per qualche via traversa, la ragazza s’infilò tra le mie implorazioni. Incontrandola l’avrei messa in pericolo. Non volevo vederla sparire in un blindato della Politica, e meno ancora volevo trovare il suo sangue su quella neve fresca.

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