Ho regalato a Lola un coltello da intaglio. Lei voleva provare a scolpire qualcosa dopo aver visto un documentario sui mestieri perduti. Superato lo scetticismo iniziale, decido di accontentarla. Ho letto su una rivista di salute e benessere che avere un hobby migliora lo stile di vita e tutte le sue prestazioni. Tutte. Così lei si è fatta recapitare un blocco di quercia da una falegnameria prestigiosa e ha iniziato a intagliarlo. La mattina dopo l’arrivo del tronco l’ho trovata in giardino. Era vestita alla bohemien e mi ha chiesto se quello stile mi piaceva: stava a piedi nudi seduta sull’erba bagnata, tutta ingioiellata d’oro e d’avorio, con i capelli intrecciati senza eleganza che le cadevano addosso. C’era una tenda a farle da vestito. L’aveva comprata a un mercatino dell’usato pianificando di appenderla alla finestra del bagno, invece quella mattina se l’era attorcigliata addosso e l’aveva stretta in vita con uno spago grezzo. Di tanto in tanto buttava un occhio sulle pagine di un libro troppo vecchio e annuiva. “L’artista non scolpisce. L’artista è colui che libera dalla prigione di marmo l’opera intrappolata al suo interno”. Bah, contenta lei. Io mi ero alzato con una voglia di uova e pancetta. Anche se solitamente bevo solo caffè, quella mattina avevo davvero fame e decisi di levarmi lo sfizio. Ne preparai una porzione esagerata, in più sfornai due fette di pane e mi feci una spremuta d’arancia. Praticamente avevo pranzato. E’ stato mentre lavavo i piatti che, sbirciando dalla finestra, mi sono accorto della sua presenza. La cosa che mi chiesi all’istante, ancora prima di rimanere perplesso di fronte ai gioielli, alle trecce e alla tenda, fu il perché, invece di sedersi sulla sedia in bambù e appoggiarsi al tavolino per intagliare, avesse preferito gelarsi il sedere sull’erba impregnata di rugiada. Le sono passato accanto per chiarire questo dubbio quando, proprio mentre chiedeva un mio parere sul suo abbigliamento, mi è scappato un rutto. “Excuse moi, madame”- dissi, portandomi una mano alla bocca. Lei mi ha guardato con uno sguardo rabbioso, si è presa il tronco e se n’è andata, dandomi del maiale. Entrando dalla porta d’ingresso la sentii gridare da lontano che lei era ancora una mademoiselle. Mi sono messo a ridere; come se mademoiselle di rutti non ne avesse mai fatti. Per giorni non sono riuscito a capire che cosa sarebbe diventato quel pezzo di tronco e lei non ha voluto dirmelo. L’aveva persino nascosto nella serra, tra l’albero di ulivo e il cespuglietto di buddleia. So che era lì non perché sono riuscito a trovarlo, ma perché con lo stesso coltello mi ha minacciato di non gironzolare là attorno. L’ho lasciata fare, Lola è come una bambina capricciosa. Così, mentre io scrivo, lei scolpisce. Ora è passata circa una settimana e quel tronco ancora non ha forma. Sembra cambiare ogni volta, nel senso che invece di avvicinarsi ad una qualche figura riconoscibile e rimanere tale, si trasforma continuamente in altro. Mi tocca lavorare di fantasia a livelli estremi e quando le chiedo a cosa dovrebbe somigliare neanche mi guarda, né risponde: alza gli occhi e scuote la testa. Per di più, da qualche giorno, il tronco è piombato dentro casa. Non so di preciso quando e come abbia fatto, ma dal giardino è lentamente scivolato nei pressi del salone, conquistando in tempi record la trincea nemica. La mia trincea. Ho chiesto a Lola spiegazioni e lei si è limitata a dire “ devo stare più comoda”. Quel pezzo di tronco, però, non è un tronco innocuo per me: gli ho dichiarato guerra da quando mi ha portato via mia moglie. Lola sembra esserne ossessionata. Neanche lo ripone quando ha finito i suoi intagli, neanche lo nasconde: lo lascia così, in giro per casa, e le scappa un sorrisetto ebete ogni volta che lo guarda. Sembra essere tornata ai vecchi tempi del nostro fidanzamento quando un solo sguardo riusciva a convogliare tutto l’amore del mondo. Ora, il tronco sarebbe me? Oppure io sarei lui? Non lo so, e non lo voglio sapere. Chissà se si aspetta anche i miei complimenti per lei e il suo felice connubio con il tronco… “Questa ossessione deve finire”. È questo che dovrei dirle. Ma credo che sbarazzarmi del tronco sia la soluzione migliore, così tornerà ad essere mia moglie. Basterebbe nasconderlo, o persuaderla ad abbandonare questo suo progetto artistico.
Ora la vedo in cucina a sistemare i piatti appena puliti e a osservare con la coda dell’occhio il tronco poggiato sul ripiano accanto a lei. A tratti sogghigna, festeggiando una gioia che non comprendo. Dalla finestra la luce del tramonto varia le sue sfumature dall’oro al bronzo. Anche i capelli di Lola cambiano colore ogni volta che lei scuote la testa. Lei non mi ha sentito arrivare, ha la testa chissà dove. Mi avvicino a passo felpato e, sussurrando, le dico “senti…”. Per poco non le prende un infarto. Un piatto cade a terra e si frantuma, sparpagliando i suoi pezzi qua e là. E con mio stupore, invece di sgridarmi, non mostra nessun segno di isteria. Si limitata a dire “oh…” e a indietreggiare, allontanando i piedi scalzi. Mi sembra quasi di sognare. Poi la guardo in faccia: sembrava fluttuare rilassata in un’altra atmosfera, con le guance rosee e gli occhi felici. “Vado a prendere la scopa, resta lì”- aggiunge, in uno strano stato di grazia. Aspetto. L’occhio mi cade su ciò che ne è rimasto del tronco e che, in questo momento, resta velato al mio sguardo da un panno in cotone. Non resisto e in un moto violento e istintivo agguanto un margine e lo tiro via. Già mi gusto la vittoria: osserverò quel tronco ormai divenuto una saponetta e lo sminuirò con lo sguardo, ricordandogli che Lola è mia moglie. Ecco, ci sono quasi… Ma… Ma quale tronco o saponetta? Questo è un fagiolo! Un fagiolo orizzontale!
Il sole cala ancora e mi permette di scovare altri dettagli: due linee che terminano con una palla appena abbozzata:, altre due, più un basso, sembrano disegnare un arco grezzo. E ancora due ovali, uno sopra l’altro, dalle piccole increspature stravaganti. Non riesco ancora a inquadrare la sua natura. È un animale? Un oggetto? Lola torna in cucina con le galosce ai piedi e armata di scopa e paletta. Mi trova imbambolato a fissare l’opera, tira un grande sospiro e si mette a raccogliere i pezzi del piatto. “Senti” inizio io, un po’ meno sicuro di prima. “Lo hai terminato? Non è che ci stai mettendo troppo tempo?” Lola ride di gusto. “Per fare bene una cosa ci vuole sempre del tempo. Per esempio, per la mia prossima creazione, ci vorranno nove mesi”. Mi vengono i brividi al solo pensiero di altri tronchi di quercia sparsi per casa. “Allora tornerai a fare l’artista dimenticandoti di me?”. Lola si ferma. Poggia la scopa al muro e prende il tronchetto tra le mani, avvicinandolo all’altezza della pancia: “Sei proprio incredibile”. Sibila. Poi tentenna, sorride, fa spallucce, sembra emozionata. Allora torno a osservare meglio l’intaglio, poi il suo ventre, poi l’intaglio poggiato sul suo ventre e per poco non mi prende un colpo. Lei ride, non dice nient’altro. Tentenno, mi avvicino anch’io a loro, sorridendo al tempo che verrà.