Un giorno le era capitato di trovarsi in una strana viuzza. Anche se era nella sua città non le sembrava di riconoscerla. Nella via una signora bionda. Aveva delle movenze ipnotiche mentre con la mano sinistra portava alla bocca una sigaretta facendo lunghi tiri. Era fuori da un negozio.
‘Consulta il tuo futuro’ era scritto sull’insegna sbilenca. E Mirta non è che volesse consultare il suo futuro. Non ci aveva mai creduto in quella roba, però voleva consultarla la donna. Così le si era avvicinata, tendendo le braccia rigide contro i fianchi mentre attraversava la strada.
Mirta odia ciò che esiste. Infatti, l’uomo di cui è innamorata non esiste. O meglio, esiste, a modo suo, nel mondo dei sogni di Mirta. L’ha visto per la prima volta anni fa, in un sogno. Quello sconosciuto aveva occhi perfetti, un viso perfetto, una voce perfetta. Non ricordava il colore o la forma di quegli occhi appena si svegliava, ne’ i lineamenti di quel viso, o il tono della voce. Tutto ciò che ricordava di quello sconosciuto era che fosse perfetto. Il Perfetto Sconosciuto.
Si era avvicinata con circospezione alla signora bionda. Quella aveva ghignato con eleganza un sorriso sinistro.
“Quanto costa un consulto?” Aveva domandato Mirta. La bella signora aveva sogghignato di nuovo, più complice con se stessa.
“Per te gratis.” Le aveva risposto prima di schiacciare la sigaretta sotto la punta dello stivale e farle cenno di entrare. Lo studiolo aveva un’aria a metà fra il sacro e il pacchiano, con veli e tendine color verde ovunque. Mirta era approdata in una specie di salottino dalla scarsa illuminazione. Si era seduta a terra, su di un grosso cuscino polveroso. Nel frattempo la signora aveva aperto una porticina ed era scomparsa in un piccolo sottoscala dall’aspetto polveroso. Mirta la sentiva muoversi lì dentro.
Il vorticante vuoto nel suo ventre preannunciava che quando la donna sarebbe tornata sarebbe successo qualcosa di grosso.
Ma lei non ci credeva mica a quelle cose.
Ma quelle cose la perseguitavano. Il sogno del Perfetto Sconosciuto la perseguitava.
Uscendo subito dopo dall’antro la signora teneva fra le mani un oggetto sferico, avvolto da una stoffa anch’essa verde.
Poi era davanti a Mirta, quella cosa, sul tavolino basso. Quando prese un lembo del telo per alzarlo, le rotolò fra le gambe, e non era la sfera di cristallo che si aspettava.
Prese fra le mani ciò che le era ricaduto addosso, rotolando sul tavolino basso. Nel momento in cui l’aveva tastato aveva percepito come una scossa elettrica, poi l’aveva visto. L’aveva visto quella frazione di secondo che bastava a rendersi conto che era una testa. Aveva cacciato un forte grido prima di scattare, spinta da invisibili molle, e lanciare il feticcio lontano da sé. Nel vederlo rotolare ancora, a fitte capriole, era stata pervasa da un forte senso di disagio. Gli occhi erano rimasti sgranati, ma non era paura. Mirta Aveva camminato incerta verso la testa che giaceva sul pavimento, e non c’erano dubbi. Quella era la testa del Perfetto Sconosciuto. La signora aveva ridacchiato a voce bassa. Quasi non l’aveva sentita. L’unica cosa che Mirta poté fare fu prendere fra le mani il cranio bianco e senza occhi, per poi stringerlo al petto e lasciarsi andare a un pianto liberatorio. La sua bocca si piegava in smorfie che non erano né di dolore e di gioia.
“Posso… Posso tenerlo?” Aveva domandato, con le mani intrappolate tra le spire dei capelli del Perfetto Sconosciuto.
“Certo. È tuo.”
Mirta allora, con gesti febbrili, aveva riavvolto la testa del Perfetto Sconosciuto nella stoffa verde, prima di farlo sparire nel suo zainetto. Se n’era andata senza dire nulla. Ignorando il lavoro, ignorando gli impegni, ignorando persino il tempo che passava e la gente che la fissava si era avviata verso casa.
La gente ha una gran capacità di vedere quando la tua vita non è più piatta e noiosa, ma per un breve momento si increspa sulla superficie e si fa interessante quello che c’è sotto.
Mirta non aveva intenzione di condividere con nessuno quello che le era successo. Voleva solo arrivare a casa, e una volta a casa sbattersi dietro la porta e non toccarla più, perché tutto quello che le serviva era tiepidamente appoggiato sul suo petto, e lo sosteneva con le braccia, e lo carezzava con le mani. Era felice. Felice di aver finalmente incontrato il suo Perfetto Sconosciuto. Non era pazza. No, il suo amore, era di carne e ossa. Ma alle volte non basta la carne, e le ossa si fanno pesanti senza motivo.
“Amore mio, come vorrei poterti parlare anche quando sei sveglia.” Le aveva detto lui in un sogno.
La decisione appariva scontata perché se era il Perfetto Sconosciuto a chiederlo lei di certo non avrebbe detto di no. Sono così fortunata, si disse, ad averlo, mentre camminava sui sampietrini con la testa del suo amato ancora una volta nello zainetto. Solo la signora bionda poteva aiutarla.
La donna era di nuovo sull’uscio, aveva l’aria di stare aspettando. Mirta le aveva detto che la doveva aiutare, che doveva permettere al Perfetto Sconosciuto di parlare. La aveva sorriso lei, prima di accompagnata dentro.
“Brucerà un po’.” L’aveva avvertita.
“Gli farà male?”
“Non a lui. A te.” La fronte di Mirta era aggrottata, il suo sguardo confuso.
“La prima volta è gratis. Adesso devi pagare. Se vuoi che abbia la voce devi dargli la tua.” Lei deglutì prima di annuire e dirsi che era giusto così. La signora le coprì la gola con la mano, ma senza stringere. La ragazza aveva annuito ancora, rigida, impaurita. Si era accorta di quando aveva cominciato, stringendole il collo. Un forte senso di calore, sempre più intenso e lacerante, aveva iniziato a risalirle la gola, come una pallina da tennis incandescente spinta fuori, dalla sua gola. Provò un lieve senso di soffocamento, la necessità di tossire, negata da quell’ingombro che altro non era se non la sua voce che l’abbandonava. Quando la mano le fu tolta di dosso fece uno scatto in avanti, poi un sospiro sgraziato, e niente più. Le labbra si muovevano, ma non ne usciva nulla di udibile. Fu colta da sconforto, finché non vide muoversi le labbra del Perfetto Sconosciuto.
“Grazie, Mirta. Sapessi quante cose ho da dirti. Non preoccuparti: parlerò io per entrambi.”
Era tornata a casa con più fretta della volta prima. Ancora una volta la porta era stata chiusa con la speranza di riaprirla il più tardi possibile. Passavano tutto il loro tempo insieme. Mirta ascoltava, annuiva, faceva dei gesti. La testa del Perfetto Sconosciuto, come aveva promesso, parlava per entrambi. Diceva tante cose. Un giorno disse a Mirta che avrebbe tanto voluto poterla abbracciare, poterle accarezzare il viso. L’indomani era tornata dalla signora bionda. Il suo compagno aveva spiegato alla donna cosa gli serviva. Mirta aveva deciso per il braccio sinistro, perché quando stavano sul divano lei si metteva sempre a sinistra, allora lui da destra avrebbe avuto più facilità ad abbracciarla, poco importava se era mancina.
La donna si era aggrappata al suo polso con una mano, con l’altra le teneva la spalla, poi aveva tirato, uno strappo secco. Mentre Mirta si riprendeva dal dolore che le offuscava la vista intravedeva la signora che attaccava il suo braccio al Perfetto Sconosciuto. Era corsa a casa, non tanto veloce stavolta. Aveva tastato fino a riconoscere il mazzo di chiavi nella borsa, prima di entrare e sbattere la porta. Come promesso il Perfetto Sconosciuto passò i giorni seguenti ad abbracciarla, accarezzarla e confortarla finché, fra le tante cose che disse, ne disse una che avrebbe fatto riaprire quella porta.
“Mirta, io lo so che sei bellissima, ma come vorrei vederti.” Si disse che era giusto, così tornò dalla signora bionda e si ripeté, per tutto il tempo impiegato a cavarle l’occhio, che era giusto così.
Si ritrovò, alcune settimane dopo, ad essere licenziata. Pensò di essere proprio fortunata ad avere il Perfetto Sconosciuto, ad aver imparato a dirsi che era giusto, quando perdeva qualcosa che le serviva. Così, la ragazza, muta, con una benda sull’occhio e un orecchio di meno come Van Gogh si era avviata saltellando sulla gamba che le era rimasta verso la via di casa, bilanciandosi col braccio per non perdere l’equilibro. Quello sì che era un problema, le aveva letto dentro Il Perfetto Sconosciuto.
“Non preoccuparti. Lavorerò io e tu starai a casa a riposarti. Mi basta che tu mi dia quello che mi serve per poter avere un lavoro.” A uno che lavora serve di camminare bene, di vedere bene, di poter spostare le cose. Così erano tornati dalla signora bionda.
Fu una sessione orribile quella, dolorosissima, ma nessuno lo seppe a parte Mirta, che non aveva più voce per gridare, ne’ occhi per piangere.
“Ti serve anche l’orecchio rimasto?”
“Ne farò a meno. Voglio che mi senta.” Aveva risposto lui, forte del buon cuore strappato dal petto di Mirta e messo nel suo.
“Posso tenerla?”
“Certo. È tua.”
Il Perfetto Sconosciuto, così, ha trovato un lavoro, fa tante cose, ma si prende sempre cura della testa di Mirta.
Adesso il Perfetto Sconosciuto esiste davvero. E Mirta continua a odiare ciò che esiste.