Ripercorrere il proprio passato è un’esperienza dolorosa, capace di evocare attimi che pensavamo di aver dimenticato: la memoria è una strana creatura, affamata di momenti apparentemente insignificanti e capace di ucciderne senza pietà altri che pensavamo essere preziosi. Sull’importanza dei luoghi nella costruzione della memoria e dell’identità si sono soffermati a lungo Proust, Romain Gary, Maupassant e gran parte della cultura francese. I ricordi sono il riflesso di mondi, familiari o estranei, vicini o inaccessibili: a ricordarcelo è Philippe Le Guillou nel suo “Géographies de la mémoire” (Folio). Il suo è un viaggio nella memoria ritrovata della sua vita, attraverso posti, territori e luoghi. La Bretagna, l’Irlanda, Parigi: paesaggi diversi, che compongono una cartografia emotiva, in grado di ricostruire una mappatura esistenziale. Le persone sono ombre che popolano i territori e i luoghi, lasciando ovunque tracce indelebili della loro presenza: ma, ci ricorda Le Guillou, sono solo comparse delle nostre geografie deformate. Riconoscere e dare un nome alle cose: era questo il piacere maggiore dell’infanzia nel disegnare incessantemente mappe e confini. Fornire un’identità a luoghi e persone, nominarli per riconoscerli e renderli familiari: eliminare l’estraneità e la paura di ciò che non si conosce. È un tentativo disperato e forse pretenzioso, ci avverte lo scrittore francese, ma inevitabile nella costruzione delle nostre realtà e nella ricostruzione della nostra memoria.