Il filo invisibile

di

Data

Le persone che entrano a far parte della nostra vita, ci lasciano un segno indelebile, creando un legame che si annoda a noi, e che anche a distanza di tempo, rimane, per sempre. Un filo invisibile che non si spezza mai.

Le persone che entrano a far parte della nostra vita, ci lasciano un segno indelebile, creando un legame che si annoda a noi, e che anche a distanza di tempo, rimane, per sempre. Un filo invisibile che non si spezza mai.
Lei sceglieva come sempre tutto, perciò il “venerdì del cinema” non poteva che regalarmi l’ultimo di Almodovar “Parla con lei”. Entrati come sempre in anticipo, per avere i posti migliori (hai visto mai che…), aspettai rassegnato l’inizio del martirio.
Quando quelle benedette luci misero fine al primo atto, approfittai del bagno per una fumata di nascosto e lì incontrai Gloria, il mio primo amore del liceo, e forse l’unico che ho mai avuto.
Gli anni l’avevano migliorata, se possibile, chissà se era ancora una fan di De Sica e dei suoi “Cinepanettoni” come me?
L’avevo intravista di spalle, subito, quando ero entrato nel piccolo corridoio, mentre con foga stringevo l’accendino, fiero di essermi guadagnato il mio momento di evasione, pensai:
“Però, che fianchi la ragazza.”
Poi d’istinto avevo alzato gli occhi e dal riflesso dello specchio.
“Gloria! Ma sei tu?”
“Marco… ciao” rispose subito, mentre le fossette iniziavano a disegnarle uno splendido sorriso.
Posò con delicatezza il fazzoletto con cui si stava asciugando e venne da me a salutarmi appoggiando le sue umide guance sulle mie.
“Sei sempre in splendida forma”, dissi, cercando di distogliere la mia attenzione da quel profumo di pesca che mi aveva lasciato addosso.
“Il solito, galante e bugiardo… si vede che il tempo, almeno a te, non ti ha cambiato”.
L’allegra smorfia di sorpresa era stata ora sostituita da una un po’ più seria, meno naturale, impostata.
”Sempre diffidente eh, dopo tanto tempo…”
“No, scusami no, non sei tu, è che si è fatto tardi, il film sta per ricominciare…” disse agitata.
“Film, lo chiami pure film, sta palla galattica, io so due volte che casco a dormire, altro che il primo Vacanze di Natale che abbiamo visto al Maestoso di via Appia, ti ricordi le risate?”.
Dopo un fugace sorriso con gli occhi, tagliò corto.
“Mi ha fatto piacere vederti, adesso devo proprio andare, magari ci si rivede, anzi io domattina verso mezzogiorno sono a piazza dei Re di Roma, se ci sei prendiamo un caffè”, e sparì nel buio della sala, ancora prima che potessi dire qualcosa.
Rientrai poco dopo anch’io, cercando con lo sguardo di capire dove fosse seduta, e soprattutto con chi.
“Ma dove vai” una voce mi riportò sulla terra, accompagnata da un fastidioso pizzicotto sui pantaloni.
“Ahi, ma che sei scema”.
“Shhhhh” intervenne una coppia di anziani dietro di noi.
“Ma tu sei scemo neanche ti ricordi il posto”, disse Claudia. “Shhhhhh” ancora loro le mummie cinefile.
”Silenzio”.
“Ma che shhhhh, dovete pure sentì! So due ore che non dicono una parola”.
“Ma che modi” ribattè la vecchia, la sala entrò in fermento.
“Vabbè basta io mi vado a prendere un caffè, sennò”.
“Una camomilla” disse Claudia.
“Sì mettetece pure tu”, risposi in un sussulto di orgoglio maschile, e me ne andai verso il bar.
Non so bene cosa mi era successo, ma la vista di Gloria aveva risvegliato in me sensazioni che avevo da tempo rimosso.
Adesso l’unica cosa che volevo era rivederla e capire perché, dopo un iniziale lampo di gioia, era fuggita via così.
“Ma che ti ha preso, Marco, Marco”, mi girai era Claudia, che stringendo con forza la sua borsetta, ben manifestava tutta la sua irritazione, non so se per il litigio o perché avevo interrotto la visione del superfilm.
Lo sguardo mi andò sulla vetrata esterna, vidi un macchinone dai vetri scuri con dietro una figura che mi parve lei, con al fianco un uomo più vecchio, feci per affacciarmi ma partirono a razzo.
Claudia non si era accorta di nulla, impegnata com’era nelle sue lamentele che prevedevano una ritorsione per l’accaduto, niente dopo-film.
Eh già, il venerdì del cinema aveva in abbinamento, come un tre per due della Conad, la serata del sesso.
Serata… un fugace amplesso da missionario al riparo da qualsiasi possibili variazioni in corso d’opera.
Invece tornati a casa, dalla stanza da letto m’intimò:
“Io mi preparo, sbrigati che domani devo uscire presto”.
Mi sedetti sul divano, un momento, per sentire le ultime notizie del Tg, ma nei miei pensieri c’era solo lei, tutto il resto era noia.
Mi risvegliai intorpidito sul divano, era mattina, Claudia era già a lavoro, chissà se ancora arrabbiata, sono sicuro di sì.
Un po’ più tardi uscii anch’io, mi ero preso mezza giornata di permesso, non vedevo l’ora d’incontrarla.
Infilai una camicia fresca e m’avviai a piedi, visto che ero un po’ in anticipo.
Mentre passeggiavo, cercai d’immaginare cosa potevo fare, cosa dire, il “drin” del cellulare m’interruppe.
“Allora se davvero vuoi farti perdonare, un buon ristorante sushi…”, misi giù, era Claudia.
Richiamai immediatamente quando mi resi conto di quello che avevo fatto.
“Scusa cara è che la linea viene e va”.
Dall’altra parte sentivo solo singhiozzi, piangeva.
“Ci sono rimasta male”, era in preda a uno di quei suoi crolli d’umore pre-mestruali.
“Ma come non dici niente?”, incalzò perentoria.
“Non posso parlare ora sono sul bus, c’è un sacco di gente”.
Non era vero, camminavo ed ero quasi a piazza dei Re di Roma.
“Un sacco di gente eh, magari in fila alla pizzeria di Nello?”
Mi voltai ed ero proprio davanti alla pizzeria e lì compresi che ero proprio sotto il suo ufficio.
Mi voltai verso il suo finestrone e accennai un timido ciao con la manina.
“Ho capito tutto caro mio non c’è bisogno che dici altro”, iniziò a urlare alla cornetta.
“Stai in giro a fatte i porci comodi tuoi, e sparare cazzate a me, lo sai che ti dico che a me per culo non mi ci pigli!!!”
Alla faccia di Almodovar, oggi è la giornata della classe pura, pensai.
Le urla continuarono ma erano più ovattate, non venivano più dal telefono.
Claudia si era affacciata sul davanzale e sbraitava contro di me spalleggiata dalle sue colleghe.
“Mi hai preso in giro in questi sei anni ma adesso basta, basta fare la schiava per te”.
?????!?
Una vecchina stava attraversando le strisce con una certa difficoltà, allungai una mano per aiutarla.
“Non mi toccare Porco”, mi fulminò.
Anche il giornalaio e tutta la fila da Nello iniziava a guardarmi con una certa ostilità, per cui decisi di infilarmi sotto la Metro.
Guadagnai la banchina con una certa velocità e mi sedetti su una panchina, alzai gli occhi e lei era lì, dalla parte opposta.
“Gloria, Gloria” chiamai con voce sempre più forte.
Lei si voltò per un attimo, ma passò un treno.
“Mannaggia l’ho persa pure stavolta”.
E invece era lì col suo solito sorriso che scuoteva la testa, come ai vecchi tempi, solo che prima aggiungeva “coglione”.
“Coglione”!
Ma come erano ancora i vecchi tempi?
“Sei sempre il solito, ma quand’è che crescerai?”
Mi urlò, gli feci cenno di risalire in superficie.
“Mignottaro” apostrofò la vecchietta di prima, che incrociammo mentre stava per scendere giù ai treni.
“A signò… ancora. E non ce se metta pure lei”.
A quella scenetta lei scoppiò a ridere, era tornata la mia vecchia Gloria.
Per un attimo, perché prese la mia mano e mi strattonò dentro un Calzedonia.
“Vieni ci potrebbero vedere”.
Iniziai a preoccuparmi, non perché temevo l’entrata di qualche marito geloso, non perché ero immerso nel reparto perizomi e le commesse mi scrutavano sospettose, ma perché quello era uno dei negozi preferiti di… Claudia.
“Dimmelo a me” risposi allarmato.
Stavolta la presi io per un braccio e la spinsi fuori in una piccola traversa fino a un angolo, dove poi mi voltai per sicurezza.
“Tutto ok”, siamo al sicuro.
“Ma sai di lui?” disse tremolante.
“No di lei” risposi.
“Lei? E adesso chi è lei?”
Misi fine al teatrino.
“A Gloria un attimo eh!!!”
Ci sedemmo in un piccolo baretto e iniziammo a parlare, mi raccontò della sua vita di prigionia con quell’uomo che all’inizio aveva amato, ma che ora la possedeva solo per il gusto d’averla, come la sua collezione di quadri, mentre lei voleva solo andare via dalla sua prigione dorata.
Viveva a Prati, via Settembrini, una casa che era un museo, ma avevamo riannodato i nostri pensieri e questo aumentò la sua voglia di fuga, con me.
“Marco, incontrarci così è troppo rischioso” e su un fazzoletto di carta scrisse un indirizzo.
“Vediamoci stasera qui, ti aspetto”.
Accarezzai il suo viso, mi faceva tenerezza ed era sempre più bella.
Fuori sul marciapiede una coppia si baciava, feci per avvicinarmi a lei.
“No adesso no, si è fatto tardi”.
“Ma dai che dici, aspetta che ordino un tramezzino così pranziamo qui”.
Mi alzai per ordinare, ma urtai il barista col vassoio pieno di cappuccini.
“Ma porca putt…”, urlò.
“Scusi, mi scusi, non l’avevo visto”, cercai di riparare.
Mi voltai per cercare l’aiuto di Gloria, ma non c’era più, forse si era imbarazzata di tutto sto trambusto.
Andai in strada, ma di lei non c’era più traccia.
Devo trovarla, l’indirizzo sul tavolino, scolorito e fradicio di cappuccino.
“Questa è Claudia che me la sta a tirà”, pensai con rabbia.
Via Settembrini 12, però me lo ricordavo.
Presi il 492 e in venti minuti arrivai in zona piazza Mazzini, vicino a un Carrefour, ecco il portone, chiuso.
Leggo il citofono a caccia d’indizi, c’è il portiere.
“Orario ricomincia alle 15,00”, risponde un accento cingalese.
Dopo un veloce cacio e pepe, puntuale sono lì, quando l’omino sblocca il portone dai ferri, rivelando nel cortile dello scuro palazzo, un giardino pieno di verde brillante.
“No Fantini non mi ricordo cognome”, mi sillaba.
Tento la carta del collezionista.
“Ah si, tanti quadri, conte Giacobini, signore molto buono e anche ricco”, mi sorride strofinando i polpastrelli, memori di laute mance.
“E la moglie?” azzardo.
“Signora Gloria, povera signora non c’è, boh, tanto bellina” e sparisce nel suo gabbiotto richiamato dal drin metallico del citofono interno.
Un calore mi avvampa le guancie, era stata qui, fortuna o destino, che poi per me sono la stessa cosa, io la stavo per trovare.
Riparto da Giacobini, storica famiglia dell’alta finanza romana, un ampio giro su Google e voilà le foto di un qualche ricevimento esclusivo.
Eccola è bellissima e questo deve essere lui.
Scorri ancora ecco un trafiletto del Messaggero di un paio d’anni fa, “Grave incidente sull’Aurelia, coinvolto il Conte Giacobini, che era alla guida, risultato positivo all’alcool test, tra i feriti gravi anche la moglie del conte stesso”.
Adesso ho capito perché vuole fuggire via, da quel pezzo di merda.
Erano le sei tornai di corsa dal portiere, dopo una cinquanta di mancia, mi parlò, a modo suo, di una villa di famiglia sull’Appia Antica.
Era quella lì.
Non potevo aspettare, quaranta euro di tassì,
”Ammazza Glò quanto me stai a costà”
stessa tariffa dell’aeroporto e in breve tempo arrivai davanti al grande cancello.
“Si pronto cerco la signorina Gloria”, lapsus forse dovevo dire signora.
“Gloria Fantini”, ripetei, omettendo lo stato civile.
“Chi è scusi” rispose un accento orientale.
“Sono Marco Gialli e ho un appuntamento con lei” improvvisai e aspettai.
Clack, il cancello automatico si dischiuse.
“Venga all’ingresso laterale”, disse una voce diversa, di donna.
Avvolta in un ampio scialle beige, sotto una luce ovattata, mi aspettava una bionda signora dall’aspetto curato, anche se avanti con gli anni.
“Ben arrivato Marco”.
“Signora Fantini …” rimasi a bocca aperta era la mamma di Gloria.
“Sapevo che alla fine saresti arrivato, del resto per lei sei stato il primo amore, forse l’unico (??!??)”.
La mia lingua si era asciugata, come tutto il palato, ero in una di quelle rare situazioni in cui non riuscivo a sbiascicare neanche una sillaba.
Silenziosa mi accompagnò in un corridoio del piano terra, in un’ala della casa che stonava con l’architettura liberty dell’esterno.
Era tutto moderno, freddo, asettico.
“Ma Gloria? Me la può chiamare?”, riuscii ad approcciare alla menopeggio.
Ci fermammo davanti a una grande porta bianca.
“Vai, è già da un po’ che ti aspetta”.
Tirai su un bel respiro e aprii con decisione, accennando un sorriso leggero di soddisfazione, che però svanì immediatamente.
Era lì, Gloria era lì distesa su quel letto metallico, con un respiratore sulla bocca e due monitor illuminati al suo lato.
La porta si chiuse dietro di me e mi avvicinai per una carezza sulla mano.
“Coglione, carino, ma sempre coglione”, sobbalzai.
“Gloria ma tu…” mi voltai e vicino l’attaccapanni dietro di me, in piedi, c’era lei.
“Ti prego adesso non mi rompere con le solite domande,perché e percome, sto qua e basta, anzi bella questa macchia di caffè sulla camicia, ma non ti cambi mai?”
“Ma guarda che non ho avuto tempo, e poi è cappuccino se ti ricordi bene”.
“Ho capito però almeno potevi passare da casa e…”.
“Si te pare facile a te,a quest’ora Claudia sta impacchettando i miei vestiti per regalarli al canile municipale, mi dovrò ricomprare tutto”.
“Lo sai che da Zara ci sono belle promozioni?”
“Sicuramente ci passo domattina, che non ho manco le mutande di ricambio”.
“Sto così dall’incidente”, il suo tono cambiò.
“Ma non si può fare niente”, accennai imbarazzato per consolarla.
”Ho letto di canzoni che hanno fatto risvegliare i…”
“Morti, lo puoi pure dire. Certo che non cambi mai, sta bocca parte sempre prima del cervello”.
“No scusa.. è che…”.
“Ma lo vedi che sei sempre il solito co…, il solito Marco”, e mi sorrise indicandomi.
“Se non fosse per quelle macchine, finalmente sarei andata via, però non ti avrei mai rivisto”, aggiunse malinconica indicando i monitor.
“Adesso però sono stanca e solo tu vecchio amico mio, vecchio amore mio, mi puoi aiutare, mi puoi liberare”.
“Io? Aspetta forse ho capito devo cercare le canzoni di quando eravamo al Liceo? Oppure forse…”.
Mi voltai ma lei non c’era più, anzi c’era ma sul letto, non era più in piedi, vabbè insomma.
Io non so bene cosa sia successo nei due giorni scorsi, cosa ho visto, cosa ho sentito e cosa ho provato.
Io so solo una cosa, che richiamato da un filo, in qualche modo, sono riuscito a ridare la libertà a una persona che era stata importante nella mia vita.
Pensavo di provare dolore, e invece sono sereno e consapevole di quello che ho fatto, perché era una sua scelta, la sua volontà.
Adesso sono qui, guardo i piccioni placidi passeggiare, nel giardinetto di piazza dei Re di Roma e l’unica cosa che vorrei a questo punto è… convincere quella vecchia signora che mi insulta sempre, che non sono un porco, ma sono solo un uomo, che da pochi giorni è rimasto un po’ più solo.

Altri racconti
in archivio

Sfoglia
MagO'