Imboccò Ponte Garibaldi da piazza Sonnino, con lo sguardo basso, gli occhi persi a fissare l’asfalto, un lieve languore nel cuore e un sorrisetto soddisfatto: Cinzia aveva accettato, presto si sarebbero sposati. La cosa era spaventosa e meravigliosa al tempo stesso, non vedeva l’ora di iniziare quella nuova vita con lei. Perso nei suoi pensieri innamorati, non si accorse della persona ferma davanti a lui e ci andò a sbattere. Sollevò la testa pronto a chiedere scusa, ma vide che l’uomo che aveva urtato non era minimamente interessato a quel piccolo scontro; aveva lo sguardo fisso verso il Tevere, e insieme con lui decine di persone guardavano a bocca aperta in direzione dell’Isola Tiberina. Si voltò anche lui, per vedere cosa stesse accadendo di tanto sconcertante sull’isola, quando vide. O meglio, non vide. Non vide l’Isola Tiberina. Perché l’Isola Tiberina non c’era più. Sparita.
Sparita l’isola. Sparito l’ospedale Fatebenefratelli e pure quello israelitico. Sparita la basilica di San Bartolomeo. Sparita l’osteria della Sora Lella.
Solo i tronconi dei due ponti, ponte Fabricio e ponte Cestio, testimoniavano che c’era stata un’Isola lì. Al suo posto, il Tevere, che adesso poteva scorrere pieno nell’ampia conca, senza doversi più dividere in due rami.
Sentì una donna parlare al telefono: «Qui non c’è più l’Isola! Come dici? Il Colosseo? Non c’è più neanche il Colosseo? Non c’è più neanche il Colosseo!» gridò la donna rivolta a tutte le persone che si erano raccolte sul Ponte.
«Mio cugino mi ha detto che è sparito pure Castel Sant’Angelo! Al suo posto c’è una voragine senza fondo!», gridò un uomo.
«Mia madre mi ha detto che non c’è più Porta Pia», disse singhiozzando una ragazza.
Eugenio cominciò a sospettare qualcosa, aprì Facebook sul telefonino, e scorse la propria timeline: era piena di fotografie che ritraevano luoghi ormai vuoti della città, dove fino a un attimo prima c’erano i più bei monumenti di Roma.
Sparite Fontana di Trevi, la Barcaccia e la fontana di Piazza Navona.
Spariti San Pietro, il Pantheon e Trinità dei Monti.
Saltò in sella al motorino e corse verso Garbatella, destinazione casa di Cinzia. Cercò di non guardare altro che la strada, senza fare caso a tutto ciò che non c’era più.
Arrivò sotto casa di Cinzia ed ebbe conferma dei suoi sospetti.
Sopra il palazzo, sospesi, erano ammucchiati tutti i monumenti spariti. Fontana di Trevi adagiata di tre quarti sopra l’Isola Tiberina; l’obelisco di Piazza Navona disteso sopra Castel Sant’Angelo; la Barcaccia davanti al Colosseo.
Sembravano tanti souvenir poggiati alla rinfusa sul bancone di un negozio.
Tutta Garbatella era con il naso in su: non s’erano mai viste tutte quelle meraviglie da quelle parti.
Eugenio fermò il motorino davanti all’ingresso del palazzo giallognolo, e cercò Cinzia con lo sguardo in mezzo a tutte quelle persone. Ma fu lei a vedere lui e a corrergli incontro.
«Grazie, amore mio!», esclamò la ragazza saltandogli al collo e riempiendolo di baci.
«Cinzia, fermati», tentò di calmarla Eugenio. Ma lei continuò: «Grazie, grazie, grazie!» stampandogli baci sulla faccia.
Eugenio le afferrò i polsi e la allontanò dalla sua faccia quel tanto che bastava per riuscire a parlarle.
«Cinzia, dobbiamo fare qualcosa».
«In che senso?»
«Cinzia, quando ti ho detto che, pur di averti, ti avrei regalato tutta la città, non credevo che sarebbe successo questo.»
«E allora?»
«E allora dobbiamo rimettere tutto a posto!»
«E come?»
«Devi restituirmi il regalo»
«Ma io non voglio!», disse Cinzia quasi in lacrime.
«Cinzia, la gente è spaventata, è sconcertata, non possiamo prendere tutti gli edifici a loro più cari e lasciare delle voragini al loro posto»
«Ma qui a Garbatella non abbiamo niente di bello! È per questo che mi hai detto che mi avresti regalato tutta la città!»
«Cinzia, ma io intendevo che ti avrei portato a vedere ogni angolo nascosto di questa meravigliosa città, non che te l’avrei portata a casa!»
«Non mi interessa, ormai me l’hai regalata e me la tengo!»
«Ma Cinzia…»
«Niente ma! Adesso devo andare a casa a preparare il pranzo, altrimenti papà si arrabbia! Ci vediamo stasera?» e, senza aspettare una risposta, salì a casa.
Qualcuno che aveva assistito alla scena cominciò a guardarlo storto e a chiedere: «Oh, ma che sei stato te a fa’ ‘sto casino? Ma se ‘sta roba ce casca adosso?»
Eugenio inforcò veloce il motorino e scappò via.
Nei giorni seguenti la città, che aveva sempre dato prova di adattamento, cominciò a convivere con quella strana situazione. In poco tempo le voragini che avevano preso il posto dei monumenti erano state transennate e i turisti andavano in massa alla Garbatella, mentre al Comune cercavano di studiare un piano per rimettere a posto i monumenti.
La notizia che era stato un regalo di Eugenio a creare quel caos era giunta fino al Comune, dove lui era stato convocato da alti funzionari che gli avevano intimato di rimettere le cose a posto ma, per quanto lui ci provasse, non riusciva a convincere Cinzia.
Eugenio girava per Roma, la sua Roma, e non la riconosceva più: quei grandi vuoti disseminati per tutta la città le avevano levato l’anima, e gli pareva che l’avessero levata anche ai romani; li sentiva che commentavano ironici la situazione, simulando menefreghismo, ma si vedeva che ne soffrivano.
Cinzia era al settimo cielo per il matrimonio e per il regalo di fidanzamento: finalmente non si sarebbe più sentita una borgatara, ora che sopra la sua testa c’erano le meraviglie più grandi di Roma.
Non avrebbe più invidiato le clienti del negozio del centro in cui lavorava; anzi, stava pensando di organizzare il ricevimento di nozze direttamente dentro Castel Sant’Angelo sopra casa sua: questo sì che avrebbe fatto morire d’invidia qualsiasi altra ragazza!
Un attimo prima di uscire di casa gettò uno sguardo alla televisione accesa su un’edizione straordinaria del TG. Le immagini mostravano il Duomo di Milano sospeso su un palazzo di Via Cadorna, che le sembrava familiare. Dove aveva già visto quel palazzo? Forse in una foto a casa di Eugenio. Ah sì, certo, quella foto che ritraeva quel palazzo così strano: era una foto a cui Eugenio era particolarmente legato. Ma chi abitava in quel palazzo? Eugenio aveva fatto la foto anni prima, quando ancora non si conoscevano… D’improvviso ricordò: quello era il palazzo in cui abitava Lara, la ex di Eugenio.
Un sospetto si fece strada nello stomaco fino ad arrivare al cervello: chiamò Eugenio, ma lui non rispose al telefono, quindi corse a casa sua.
«Sei stato tu?» chiese urlando in preda alla rabbia.
«A fare cosa, amore?» domandò Eugenio cercando di calmarla.
«Lo sai, bastardo! Sei stato tu a regalare a Lara il Duomo di Milano?» urlò in preda all’isteria.
«Ma no, amore, ti giuro che non…»
«Dimmi la verità, stronzo! Dimmelo!»
«Ma no, lasciami spiegare…»
«Che vuoi spiegare? Che la ami ancora? Lo sapevo, l’hai sempre amata, l’hai sempre amata più di me! Non dovevo fidarmi di te, sei un bastardo!» gridò battendogli i pugni sul petto. «Quando l’hai vista?», domandò.
«La scorsa settimana» rispose Eugenio con un sospiro.
«Ma la scorsa settimana tu… eri a Verona per lavo… Mi hai mentito! Non eri a Verona! Sei andato da lei!»
Con la testa bassa, Eugenio sussurrò: «Sì»
«Ci sei stato a letto?»
«Cinzia, adesso non…»
«Rispondi, maledetto, ci sei stato a letto?»
«Sì»
«Lo sapevo, bastardo, ti odio! Sei un porco bastardo come tutti gli altri! Non voglio vederti mai più! E riprenditi tutti i tuoi stupidi regali, pezzo di merda!», gridò Cinzia tirandogli addosso l’anello di fidanzamento, subito prima di scappare via.
Eugenio raccolse l’anello e lo guardò: ricordò l’indecisione che aveva provato mentre lo sceglieva, l’eccitazione quando era andato a ritirarlo, dopo averlo fatto incidere, l’emozione mentre lo infilava al dito di Cinzia e le sussurrava: «Tu ed io, per sempre». E ora quel per sempre era diventato mai più.
Strinse l’anello nel pugno e cercò di trattenere le lacrime.
Poi, aprì Facebook sul telefono e vide che la timeline si stava riempiendo di foto dei monumenti di Roma che tornavano al loro posto.
Il Colosseo, Porta Pia, Fontana di Trevi, l’Isola Tiberina. Quando fu sicuro che tutti i monumenti erano tornati nel loro luogo d’origine, compose un numero sul telefono a attese la risposta. Dopo due squilli una voce di donna rispose:
«Pronto?»
«Lara, sei tu?», chiese Eugenio.
«Sì», rispose la donna.
«È tutto a posto adesso, grazie dell’aiuto».
Lara sembrò sul punto di dire qualcosa, poi fece un sospiro e attaccò.
Dopo qualche minuto, anche il Duomo di Milano tornò al suo posto.