C’era una volta, in un regno lontano, lontano, una giovane di nome Cenebrontola, la cui bellezza era seconda solo al suo caratteraccio. La povera Cenebrontola, infatti, era rimasta orfana di madre in tenera età ed era stata relegata dalla matrigna e dalle sorellastre al rango di domestica; E tanto si era calata in quei panni che aveva sviluppato un’ossessione compulsiva per la pulizia. “Mancata rielaborazione del lutto”, dicevano gli esperti. “Una cagacazzi senza eguali”, sentenziavano amici e parenti. Trascorreva le sue giornate a spolverare, lucidare, lavare e rilavare. Lo sporco la tormentava e costringeva l’intera famiglia a vivere nel costante odore di candeggina e – peggio ancora – nelle tenebre. “Non ti azzardare ad aprire le persiane!”, ammoniva chiunque si avvicinasse alle finestre. “Ho appena pulito i vetri. Poi si sporcano!”. Indefessa paladina dell’igiene, si aggirava per casa armata di scopa, guanti e stracci, inseguendo i familiari per verificare che non insozzassero l’immacolata magione. “Genoveffa, hai messo le pattine? Anastasia ti sei lavata le mani con l’amuchina? Padre, avete fatto di nuovo pipì in piedi?!”, interrogava minacciosa. Persino la fata Turchina aveva perso ogni speranza che la sua magia potesse redimere quella fanciulla: “Ma Cenebrontola, bambina mia, io non me ne faccio nulla delle pattine”, ripeteva sconsolata ogni volta che la andava a trovare. “Io ho le ali!”. Gli unici desideri che chiedeva alla fatina erano scorte sterminate di Swiffer, Napisan, Lysoform, Amuchina, candeggina, trielina e trappole per topi. “Ma Cenebrontola, bambina mia, questi topolini sono magici! Sono i tuoi aiutanti!”. “Non mi interessa!”, rispondeva Cenebrontola piccata. “I topi fanno schifo! Sono sporchi e portano malattie! DEVONO MORIRE!”, concludeva sistemando trappole in ogni dove.
Poi, un giorno, alla fata Turchina giunse voce che il principe del reame avrebbe dato una festa per trovar moglie. Così, si precipitò alla villa e ne parlò con la matrigna e le sorellastre: “E’ l’occasione perfetta per liberarci di lei!”, ripetevano concitate le sorellastre. “Ma come faremo a convincerla ad andare?”, domandò preoccupata la matrigna. “Ci penserò io!”, rispose la fatina sventolando in aria la bacchetta magica. “Ferma! Che fai?!?!”, la ammonì Genoveffa con il terrore dipinto a grandi lettere sul volto. “Tutte le volte che agiti quella “cosa” la polverina magica si sparge ovunque!”, concluse ripulendo tutto. “Cenebrontola ci ammazza se vede questo pasticcio”, borbottò Anastasia aiutando con solerzia la sorella. “E va bene, va bene”, disse la fatina. “Seguite alla lettera il mio piano e ci sbarazzeremo di lei una volta per tutte!”. E così, poche ore prima del ballo, la matrigna e le sorellastre attirarono Cenebrontola con una scusa: “Cenebrontola, vieni, corri! Mi sembra di aver visto un topolino in salotto!”. Cenebrontola accorse brandendo esche velenose in una mano ed un gatto spelacchiato nell’altra. “Dov’è quel sudicio bastardo!”, ringhiò indemoniata con la bava alla bocca. “E’ lì, proprio lì! Si è nascosto dietro il divano”, mentì la matrigna fingendosi spaventata a morte. Mentre Cenebrontola si piegava a carponi, le sorellastre la immobilizzarono e in men che non si dica, la fata Turchina balzò fuori dall’oscurità. “BIDIDI, BODIDI, BU’!”. Una nuvola di polvere magica ricoprì Cenebrontola e quando si dissolse la fanciulla ne uscì vestita con abiti suntuosissimi, gioielli di rara fattezza e prestigio ed un’espressione frastornata in viso. “Ahsmonaifff”, biascicò Cenebrontola con un sorrisino imbambolato stampato sulle labbra. Le sorellastre la osservarono dubbiose. “Ma è ubriaca?”, chiese la matrigna cercando di capire cosa stesse farfugliando la figliastra. “No, no…è solo l’effetto collaterale dell’incantesimo”, rispose la fatina. “Visto che tra le doti di Cenebrontola di certo non figura la simpatia, ho pensato che forse era il caso di arginare i danni togliendole l’uso proprio della parola. Sembra scema così, lo capisco, ma guarda che gnocca! Al principe basterà darle una sbirciatina al decolleté per capitolare”. La matrigna sorrise soddisfatta. “Oh fatina cara”, disse Anastasia con le lacrime agli occhi. “Se il piano non funziona, possiamo tenercela così? Stupida e bella?”. “No Anastasia, mi dispiace, l’incantesimo durerà solo fino a mezzanotte”, disse con rammarico la fatina. Poi incalzò: “Quindi non c’è tempo da perdere. Andiamo!”.
Le previsioni della fatina si rivelarono esatte. Al principe non importava cosa dicesse Cenebrontola. Si limitava a guardarla inebetito e a stringerla a sé il più possibile, volteggiando sulle note dei valzer. “Incantevole creatura venuta da chissà dove”, domandava il principe piroettando nella pista da ballo, “come vi chiamate?”. “Scengagnongntola”, blaterava sorridente Cenebrontola, completamente stordita dall’incantesimo della fata. “Ah, bella e misteriosa! Bella e misteriosa!”, ripeteva il principe noncurante dell’evidente stato di confusionale della fanciulla. E così Cenebrontola danzò tutta la sera sulle note scandite dell’orchestra reale stretta nella morsa del principe, mentre lui si dilungava in lunghi monologhi. “Siete voi la mia signora! Oramai non vi è alcun dubbio! Non vedo l’ora di annunciare il nostro matrimonio e portarvi nella mia dimora estiva in mezzo ai boschi! Io adoro la natura e le sue creature, e voi, mia signora?”. “Ahhhh”, sospirava amabilmente Cenebrontola. “Ottimo! Non ne dubitavo!”, rispondeva il principe che negli infiniti sospiri di Cenebrontola leggeva solo consensi. Allo scoccare della mezzanotte, però, come annunciato dalla fata Turchina, Cenebrontola cominciò ad avere qualche barlume di sobrietà. Ad ogni rintocco, la lucidità cavalcava la via del ritorno ed all’ultimo, tornata ormai completamente in sé, scappò dalle braccia del principe in una corsa perdifiato verso la vasca da bagno di casa, lasciando dietro di sé una delle sue scarpette.
Il mattino successivo la fata Turchina si recò alla villa e trovò Cenebrontola intenta a pulirsi i piedi con una grossa spazzola di crine. “Cenebrontola, bambina mia, cosa stai facendo? Così ti toglierai il primo strato di pelle?”. Cenebrontola guardò la fatina in cagnesco e sbottò: “Zitta! Non parlare! Non sai cos’è successo ieri!”, disse schifata trangugiando un bicchiere di brandy. “A dire il vero non lo so nemmeno io! So solo che ad un certo punto mi sono trovata avvinghiata ad un tizio tutto sudato. Che orrore! Mi viene da vomitare!”, chiosò simulando un conato. “Beh, forse è il brandy”, suggerì la fatina. “Che sciocchezze! E’ per quello zoticone di ieri sera…e poi tornando a casa devo aver perso una scarpa! Guarda che piede nero!!”, disse mostrandone uno tutto insaponato alla fatina mentre svuotava il bicchiere. “Non capisco come sia potuto accadere! Devo smetterla di sniffare trielina! Mi crea vuoti di memoria!”.
Mentre Cenebrontola continuava a strofinarsi con vigore entrambi i piedi, qualcuno suonò il campanello. “Beh, non vai ad aprire?”, chiese la fata Turchina. “Perché dovrei?”, rispose Cenebrontola. “Saranno i soliti venditori porta a porta!”. Ma il campanello continuava a suonare senza sosta e Cenebrontola si arrese: “ok, ok!”, disse sbuffando, “Arrivo!”. Si asciugò i piedi, li ricoprì con una spruzzata di disinfettante spray e si diresse al pian terreno. Quando Cenebrontola aprì l’uscio di casa trovò davanti a sé il ciambellano di corte ed il principe. “No grazie! Il folletto ce l’ho già”, disse Cenebrontola sbattendo loro la porta in faccia. “Per l’amore del cielo Cenebrontola!”, gridò la matrigna che era arrivata in salotto assieme alle sorellastre. “Cosa fai! Quello è il nostro principe!”. La matrigna corse a riaprire la porta di casa, proferendo scuse in tono dimesso: “Vostra Maestà, quale onore! Perdonatela, Cenebrontola deve avervi scambiato per qualcun altro! Di solito non è così…così…”, la matrigna faticava a trovare un aggettivo diverso da stronza! “Di solito è una fanciulla adorabile!”, disse la fatina giunta in soccorso. Cenebrontola scrutava il principe con sospetto ed in tono inquisitorio chiese: “Di un po’ biondino… Ci conosciamo?”. “Può darsi, mia signora”, le rispose il principe. “Ma per esserne certi vi prego di voler indossare questa scarpetta”, continuò porgendole un sandalo color dell’argento. “Il nostro principe”, spiegò il ciambellano, “ha incontrato una fanciulla di incomparabile beltà ieri sera e vorrebbe prenderla in moglie”. Le sorellastre, a quelle parole, si strinsero l’un l’altra per la gioia. “E’ lei! E’ lei!”, cinguettavano eccitate all’unisono indicando la sorella. “Ebbene, a scanso d’equivoci, dovrà calzare questo sandalo alla perfezione. Nessuna donna del reame in età da marito vi è ancora riuscita!”, concluse il ciambellano. “Già. Nessuna!”, sottolineò il principe in tono solenne. “No aspetti”, si intromise Cenebrontola, “mi sta dicendo che quella scarpa è stata calzata da TUTTE le donne del reame?”. “Precisamente!”, replicò il ciambellano impettito. “E l’avete disinfettata?”, chiese la fanciulla. “Prego?”, domandò il ciambellano basito. “L’avete disinfettata, pulita, igienizzata dopo ogni prova?”, puntualizzò Cenebrontola. “Beh, no. Direi di no”, rispose il ciambellano rivolgendo uno sguardo dubbioso al principe. “E avete almeno un gambaletto monouso da darmi?” continuò Cenebrontola. “Su, Cenebrontola, bambina mia” intervenne la fatina. “E’ solo una scarpa! Cosa vuoi che sia!”. “Cosa vuoi che sia?!”, sbraitò Cenebrontola. “E i funghi? E le verruche? E l’onicomicosi? Col cazzo che me la provo!”. “Via, via!”, disse la matrigna ridacchiando per smorzare i toni. “Certo che te la provi! Basterà pulirla per bene prima!”. “Ma si, chiaro!”, incalzarono le sorellastre. “Dicci dove tieni i prodotti che ti occorrono per disinfettarla e te li prendiamo noi!”, dissero in tono servile Anastasia e Genoveffa. Cenebrontola esitò un istante. Prese un fazzoletto dalla tasca del grembiule, analizzò il sandalo con cura, facendo attenzione a non toccarlo con le mani nude, poi, tenendo lo sguardo fisso sulla scarpetta ordinò: “Nel ripostiglio, scatole grigia e celeste. C’è scritto PODOSAN sopra, non potete sbagliare!”. Le sorelle sparirono dietro una porticina in fondo alla stanza dalla quale riapparvero pochi istanti dopo con in mano la scatola. “Eccola!”, dissero mostrandola a quel pubblico ristretto come fosse un trofeo. “E’ questa?”, chiesero speranzose. “Si!”, rispose Cenebrontola con un tono inspiegabilmente seccato. “E’ questa!”. “Ecco, lascia che ti aiuti, bambina cara”, disse la fatina prendendo dalle mani di Anastasia la scatola e mettendola ai piedi di Cenebrontola che nel frattempo si era seduta sul divano. Cenebrontola aprì la scatola ricolma di tubetti e bottiglie di ogni sorta e cominciò a lustrare e spruzzare il sandalo con ciascun prodotto. In men che non si dica, nel salotto aleggiava lo stesso odore di una sala operatoria. “Non mi sembrano molto ecologici. Avranno almeno il logo della lega antivivisezione?”, chiese preoccupato il principe al ciambellano. “Cosa ha detto quello?!”, chiese Cenebrontola con fare intimidatorio alla fatina. “Niente, bambina cara, dice che questo buon odorino di pulito gli dà proprio assuefazione!”. Cenebrontola diede un’occhiataccia al principe, poi prese un ultimo flacone in mano, ne svuotò il contenuto sulla scarpetta ed infine la indossò. Le stava a pennello. “E’ lei!”, gridò il principe straripante di felicità verso il ciambellano. Un vociare corale e festoso si levò nella stanza. Le sorelle e la matrigna si strinsero in un abbraccio gioioso, la fatina annuiva soddisfatta, mentre il ciambellano, euforico, porse al principe una scatolina contente l’anello che gli avrebbe permesso di ufficializzare la sua promessa. “Mia signora”, disse il principe inginocchiandosi con in mano l’anello. “E’ per me un onore chiedere oggi, qui, davanti a tutti, la vostra……. Ohhhhhh, ma guardaaaaa”, si interruppe improvvisamente il principe. “Ma che grazioso topolino!”. La testolina della creatura aveva fatto timidamente capolino dalla scatola dei prodotti per l’igiene di Cenebrontola. “Un topo?!DOVE?”, ringhiò Cenebrontola. La fanciulla si girò di scatto seguendo lo sguardo del principe e una volta individuata la preda cominciò a strillare: “Ti ammazzo, lurida bestiaccia!”. In una frazione di secondo si tolse il sandalo immacolato dal piede, prese la mira ed infilzò il topo con il tacco al primo colpo. “PRESO!”, gridò con il braccio schizzato di sangue ed un ghigno satanico stampato sulle labbra. Il principe a quella vista ebbe un mancamento. Il ciambellano, inorridito, lo sorresse. La fatina, le sorellastre e la matrigna si portarono simultaneamente le mani davanti agli occhi. “E’ una pazza, è una pazza!”, sussurrava il principe. “Portami via di qui, ti prego, portami via”, ripeteva con un filo di voce al ciambellano. Le sorellastre e la matrigna caddero nel panico. “Ma via, su! Sarà stata l’emozione”, diceva Genoveffa. “Sapete, è una ragazza tanto emotiva!”, faceva eco Anastasia. “Badate che talvolta è un pregio!”, cercava di rattoppare la matrigna. Ma a nulla valsero le spiegazioni di quel piccolo gineceo disperato ed il principe, aiutato dal ciambellano, se ne andò senza mai voltarsi indietro, lasciando Cenebrontola a strisciare per il salotto come una serpe a caccia di topolini e la Matrigna, le sorellastre e la fatina sgomente per la loro triste sorte a viver per sempre pulite e scontente.