La banalità del male

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“Un terrorista” scrive Noah Harari sulle pagine de L’Obs “è come una mosca che vuole distruggere un negozio di porcellane”: è piccolo, solo, innocuo. Sa di non essere abbastanza forte per compiere la sua missione e allora decide di adottare l’unica strategia possibile: insidiarsi nell’orecchio di un elefante e infastidirlo al punto da renderlo capace di distruggere al suo posto.

“Un terrorista” scrive Yuval Noah Harari sulle pagine de L’Obs (La stratégie de la mouche: pourquoi le terrorisme est-il efficace?) “è come una mosca che vuole distruggere un negozio di porcellane”: è piccolo, solo, innocuo. Sa di non essere abbastanza forte per compiere la sua missione e allora decide di adottare l’unica strategia possibile: insidiarsi nell’orecchio di un elefante e infastidirlo al punto da renderlo capace di distruggere al suo posto. Il terrorismo non ricerca la battaglia o lo scontro a viso aperto con il nemico: non è sedotto dalle dinamiche dell’arte della guerra. Il suo scopo non è l’azione diretta, ma l’attesa della reazione del nemico, nella certezza che sarà una reazione irrazionale, esagerata, sproporzionata rispetto all’entità del danno procurato. Perché il terrorismo, pur essendo piccolo e fragile come una mosca, ci spaventa più di ogni altra cosa e le nostre reazioni saranno perciò incontrollate. Eppure, come spiega Jean Baudrillard nel suo saggio “Pornografia del terrorismo” (FrancoAngeli), non dovremmo avere nulla o quasi da temere: in fondo le vittime degli attentati sono quantitativamente inferiori a quelle delle guerre o degli incidenti stradali. Anche le probabilità di morire a causa di un attacco terroristico sono piuttosto rare. Allora cos’è che ci spaventa tanto? Perché le nostre reazioni sono così irrazionali? Il terrorismo, spiega il sociologo francese, ci costringe a fare i conti con qualcosa che la società occidentale ha rimosso: il dolore e la morte. Nel tentativo illusorio di raggiungere la felicità, abbiamo deciso di occultare i cadaveri della sofferenza, rimuovendoli in fretta. La morte, il dolore, la malattia sono stati estirpati dalla quotidianità e relegati in spazi piccoli e angusti, lontano dagli occhi del benessere e della perfezione. Il terrorismo ci mostra le nostre debolezze e le nostre imperfezioni: su tutte, la certezza che la vita non è eterna, nulla è sicuro e ogni cosa terrena è destinata a morire, come ci aveva insegnato Sant’Agostino. Una lezione che abbiamo rapidamente rimosso nel vano tentativo di dimenticare tutto ciò che ci fa soffrire. Ma, come ci insegna il terrorismo, quello che non riusciamo ad elaborare prima o poi ritorna a galla e dobbiamo farci i conti.

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