Il fantasma del laghetto

di

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I colori e le luci della notte danno vita ai nostri sogni e ci trasportano in altre realtà.
© Laura Sabatino

Non so perché ogni notte senta il bisogno di uscire di casa per venire in questo luogo, il rettangolo di parco che circonda il laghetto dell’Eur. Sembra finto, artificiale da tutti i punti di vista. Gli alberi emettono un verde troppo intenso per somigliare ad alberi normali; le siepi sono tosate con il rigore di chi dimostra teoremi; lo specchio d’acqua è così immobile che sembra una lastra di cristallo; l’edificio sullo sfondo, simmetrico nelle forme e nelle luci mi fa pensare ai palazzi reali delle fiabe in versione razionalista.

Eppure non posso fare a meno di farci un salto, ogni notte, affacciarmi dalla balaustra del pontile che attraversa il laghetto in prossimità del lato corto più vicino alla gelateria Giolitti e da lì assecondare con lo sguardo la prospettiva obbligata che converge sul palazzo all’orizzonte, illuminato come una giostra insieme al suo gemello riflesso sull’acqua.

Non mi ritengo una di quelle persone abitudinarie che si sentono a loro agio solo quando sono inquadrate in uno schema, anzi, la mia vita è ispirata all’assenza più totale di regole, se cerco di ripetere due volte la stessa cosa, può essere un percorso stradale o la ricetta di una torta, si presenta sempre un imprevisto che me l’impedisce, una tendenza che si riflette persino nell’aspetto estetico della mia casa, museo della cianfrusaglia capace di far convivere sullo stesso muro o sopra la stessa mensola gli oggetti più eterogenei che si possano concepire.

Ma allora perché, ogni notte, vengo qui al laghetto dell’Eur? Forse per compensare il mio stato di confusione con questo tuffo visuale nel mondo della regolarità?

© Laura Sabatino

Un fruscio alle mie spalle.
Mi volto col fiato sospeso e la convinzione che il posto dove mi trovo, a quest’ora di notte, non rappresenti il massimo della sicurezza per una donna sola. Una vibrazione anomala dell’aria sfugge all’oscurità e si materializza in un’ombra fugace che mi sfreccia davanti. Subito dopo la voce di un uomo mi sussurra in un orecchio.
«Davvero vuoi saperlo?»
«Cosa.»
«Perché ogni notte vieni qui».
«Ti prego, dimmelo»
«Non hai paura dei fantasmi?»
«Saresti un fantasma?»
«Un tempo io e te vivevamo fra le stesse mura».
«Cioè, tu…»
«Io ero tuo marito, tu eri mia moglie».
«Quando è successo?»
«Tanto tempo fa».
«Dove?»
«Ad Agra, nel nord dell’India».
Agra. Un nome che non ho mai sentito ma il cui suono trovo assurdamente familiare.
«Feci costruire un palazzo in tuo onore. Il mausoleo più famoso dell’India».
Mi rendo conto di conoscerla questa storia.
«Il Taj Mahal…»
«Ora lo sai» l’ombra mi gira intorno, poi scintilla verso il ricettacolo oscuro da cui si era concretizzata. «Ora sai perché vieni qui».
Torno a guardare al di là della balaustra del pontile, il rettangolo immobile del laghetto che confluisce nel palazzo illuminato sullo sfondo. Quello che una volta, tanto tempo fa, è stato il mio palazzo.

© Laura Sabatino

Testo di Mario Abbati

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