Antologia delle poestie. Puntata 9: la Scampigliatura, il Vermismo e il Neoclasticicsmo

di

Data

Nella seconda metà dell’Orsocento, lungo tutte le coste dell’Italia Settentrionale si diffonde il movimento artistico e letterario degli Scampigliati, un consesso letterario di crostacei ispirato dalle Poestie Bohemien francesi, in particolar modo dal Boa Dreher (Boa Incostrictus).

Nella seconda metà dell’Orsocento, lungo tutte le coste dell’Italia Settentrionale si diffonde il movimento artistico e letterario degli Scampigliati, un consesso letterario di crostacei ispirato dalle Poestie Bohemien francesi, in particolar modo dal Boa Dreher (Boa Incostrictus). Il Boa Dreher è un serpente vanitoso ed irriverente, grande bevitore di birra col sogno di fare il ballerino di fila, che si era ribellato alle norme usuali che lo volevano imprigionato in spire costrette e prestabilite e che pertanto si trasferì in un paesino del sud Italia, Ravello, dove il canto partenopeo lo liberava finalmente in un’ipnotica danza nota ancora oggi: il Boalero di Ravel. Quando, dopo aver assecondato la propria natura, ingoiando per intero un animale più grande di lui, si ritrovò grasso e pesante, questo gli causò una dolorosa indigestione, durante la quale scrisse il suo capolavoro: I Gonfiori del Male.
Come il Boa Dreher anche gli Scampigliati erano animati da uno spirito di ribellione contro la cultura enogasteropode locale, contro il borghese buongusto fatto di crudi, tartare e carpacci, contro le usuali maree e le tiranne correnti, che decidono sempre loro da quale parte lasciarsi trasportare. Gli Scampigliati invece volevano andare contro corrente, come i salmoni, che idolatravano al pari di divinità e per i quali scrissero, in un libro religioso intitolato la Sacra Nibbia, una raccolta di 150 poesie e preghiere dette appunto i Salm.
Leggermente diversa rispetto al Nord del paese, ma sempre di carattere sociale, è la piega che assume la letteratura del meridione nell’ultimo trentennio dell’Orsocento. Il Vermismo è infatti un movimento letterario il cui carattere fondamentale è di porre particolare attenzione a tutte le realtà naturali, anche quelle più umili, penose e sgradevoli, che contrapponevano notevolmente l’evoluzione delle specie tra nord e sud, ed è proprio in questo periodo che nasce la cosiddetta “Questione Merlidionale”, tutt’ora per molti aspetti irrisolta, e così chiamata perché il nero piumaggio del volatile era preso come emblema delle cupe sorti del Sud dello Stivale.
I Vermisti analizzano e descrivono nelle loro opere le proprie realtà locali in tutta la loro crudezza e drammaticità. “Le Giovanti Terga” (Pollus Esopicus) è l’epiteto con cui amava farsi nomare il maggior rappresentante del Vermismo, una Gallina di origine greca, la più prolifica che la storia ricordi. Ormai vecchia, non farà mai buon brodo, ma la leggenda vuole che sia persino in grado di produrre uova d’oro, ricoprendo di incommensurabili ricchezze il contadino suo padrone. Durante le covate ama intrattenere le nuove e giovani galline del suo pollaio con le storie più tristi e dolorose accadute nel corso degli anni all’interno della fattoria, storie di cui lei stessa fu testimone, e che racconta alle nuove venute come una brava nonna, affinchè la memoria non venga dispersa nei pranzi domenicali, facendo capire fin da subito, alle pollastre novelle, quanto può essere miserabile la vita. Con la sua orribile calligrafia si risolse infine a trascrivere queste storie in romanzi di duro e crudo realismo. I più famosi sono: I Mangiafoglia dove narra lo sterminio di massa operato nei confronti di poveri ed innocui bruchi che nulla facevano di male se non cibarsi delle foglie delle verdure dell’orto, secondo quanto la Natura imponeva al loro metabolismo, e Castro Can Gesualdo, il suo capolavoro, che racconta il dramma del cane da caccia della fattoria, impunemente evirato dal suo padrone perché mancò di acciuffare una facile preda per inseguire l’estro della bracchetta della fattoria di fronte.
Ma è solo verso la fine dell’Orsocento che piovigginando sale, fiera, la lirica di Giosuè Cardellucci (Premius Nobalen), massimo esponente del Neoclasticismo, il quale, da bravo figlio del Risorgiumento italiano, celebrò, in tutta la sua produzione letteraria, il sogno e l’ideale dell’indipendenza e dell’unità delle specie alate. Nelle sue Odi Barbagianniche il Cardellucci ricorre all’antica metrica delle Poestie greche e latine, soprattutto di Gattullo ed Orsazio, per incitare le specie alate a ribellarsi, tutte insieme, unite da una sponda all’atra della penisola, contro i numerosi soprusi che in vario modo tutti gli uccelli del globo sono costretti a subire: dagli offensivi modi di dire che traggono origine da false credenze, alla detenzioni illegali in prigioni di metallo, all’obbligo di emigrare dall’habitat natio fino alle spietate forme di ammaestramento che privano persino gli esemplari più selvaggi della loro naturale fierezza. L’ideale del Cardellucci era che l’unione fa la forza, come poi capì, circa un secolo più tardi, il grande regista, Alced Hitchcock, nel suo film Gli Uccelli.
Come esempio emblematico della sua poetica riportiamo di seguito la poesia La Tomba è Volo Lento, che, pur non essendo il suo componimento più celebre, è di certo uno dei più belli:

Cupi a notte canti suonano
gli uccellini dentro il vento,
cupo il gufo li rimormora
col suo gorgo sonnolento,
su e giù nel cielo passano
e ripassano ali lente,
la menzogna i gufi piangono
di gufare per la gente.

Mentre in gabbie strette e buie
il cardellino è silenzioso,
solo al vento e in cima agli aceri
il suo trillo è poderoso;
con il canto si dispiegano
sopra i rami a far la cova,
canti in cielo si moltiplicano
dischiudendosi le uova.

Dove l’onde pria muggivano,
il gabbiano plana in terra,
nei mercati e tra le piazze
ai piccioni ha fatto guerra.
D’immondizia ormai si nutrono
e di topi e di serpenti,
come eroi striscian sull’umida
e immonda terra delle genti.

Addestrato e reso mite
anche il falco si confonde
sulla spalla del padrone,
più non vola tra le fronde.
Cantò allora un coro d’ali:
“Vola in ciel nella tua gloria!
Mano umana più non violi
l’aria pura in una scoria!”

Cantò, e lungo il canto udivasi
Per le schiere alate errare:
“Dillo tu, fringuello rapido,
dillo tu da mare a mare”.

 

___
Leggi le puntate precedenti

Altri racconti
in archivio

Sfoglia
MagO'