La posizione del pensatore

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Ci ho pensato mentre aspettavo il solito l’autobus strapieno della solita gente per andare a lavoro.

Ci ho pensato da subito, appena sveglio. Sabato scorso. Ci ho pensato mentre alle sei di mattina mettevo su il caffè. Mentre rollavo la prima sigaretta. Ci ho pensato mentre lavavo i denti. Lo ammetto ci ho pensato anche seduto sulla tazza. Ci ho pensato così tanto che il mio corpo ha assunto spontaneamente la posizione del pensatore: sguardo fisso nel vuoto, il mento appoggiato alla mano destra, il braccio che puntellava con forza il ginocchio, anch’esso destro.

Ci ho pensato mentre aspettavo il solito l’autobus strapieno della solita gente per andare a lavoro. Ci ho pensato in ufficio facendo finta di lavorare (che il sabato il gatto non c’è e i topi una volta a settimana sono liberi di pensare) mentre la collega si lamentava, con le stesse parole della volta scorsa, dell’ennesima scadenza ministeriale arrivata via mail. Ci ho pensato a pranzo col tramezzino cotto e formaggio in bocca e poi alla fermata dell’autobus, come sempre, alle tre, sotto il sole di giugno. Ci ho pensato a casa, buttato sul letto tutto sudato. Ci ho pensato e ho capito. Scrivo perché so che sarà uguale anche sabato prossimo. Scrivo perché la vita è fatta di routine, ripetitiva, banale, a tratti monotona. Scrivo perché la vita è fin troppo umana, fin troppo reale con i suoi tempi di attesa e le sue scadenze fisse. Scrivo perché da piccolo leggevo i fumetti e nei fumetti gli uomini possono volare via dall’ufficio ogni volta che vogliono semplicemente sbottonandosi la camicia. Scrivo per creare situazioni surreali che mi piacerebbe vivere. Scrivo perché ho allenato la fantasia da quando ero piccolo. Scrivo perché leggendo mi trovo in miliardi di luoghi contemporaneamente. Scrivo con la speranza che qualcuno possa leggere le infinite possibilità che, nonostante tutto, una vita fatta di giorni tutti uguali può offrire.

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