Sebbene vivesse a Roma da più di quarant’anni e conoscesse la città meglio delle stesse guide turistiche, il Sig. Kozlowski si rese conto che non aveva mai visitato il Tevere. Certo, c’era stato un tempo in cui con sua moglie aveva navigato il fiume su di un battello a vapore, tuttavia non si era mai immerso nelle sue acque per vedere che tipo di creature vi abitassero e pensò che poteva essere davvero un luogo molto interessante da vedere. In un bel pomeriggio estivo al riparo sotto un grande platano su lungotevere dei Tebaldi il Sig. Kozlowski decise che si sarebbe immerso nel Tevere.
Vestito di tutto punto come si fa per le grandi occasioni, il Sig. Kozlowski scese le scalette all’altezza di Ponte Sisto e si incamminò lungo la banchina in direzione dell’isola Tiberina. Arrivato a una panchina si sedette, mise in bocca una radice di liquirizia e rimase qualche minuto a guardare il panorama circostante. Sulla superficie del fiume si allontanava pesantemente un battello carico di turisti che lasciava dietro di sé una grossa scia bianca e schiumosa. Per un attimo gli tornò in mente sua moglie, la ricordava sorridere sul ponte dell’imbarcazione, appoggiata alla ringhiera coi capelli mossi dal vento. Con uno scossone del capo scacciò via con quel pensiero: sua moglie lo aveva lasciato per un altro uomo tempo fa ed era inutile starci a pensare adesso.
Gettata la liquirizia si avvicinò alla riva del fiume: “bene, andiamo a vedere com’è li sotto” disse. Si abbottonò la giacca, prese il cappello tra le mani e allungando la gamba destra verso l’acqua si tuffò di lungo sotto lo sguardo incredulo dei passanti dei ciclisti e dei piccioni che quella mattina di sole affollavano la banchina e i rami degli alberi.
Dopo una discesa di pochi metri aprì leggermente gli occhi e prese lentamente a respirare, gli ci vollero pochi secondi per abituarsi alla nuova atmosfera. Man mano che scendeva sentiva che a ogni metro il suo corpo si abituava all’acqua fino a che, appena toccati i piedi sul fondo, non avvertì più nessuna differenza tra il dentro e il fuori. Sistematosi i pantaloni (che durante la discesa gli si erano sollevati fino a sopra le ginocchia) il Sig. Kozlowski appoggiò il cappello in testa, incrociò le mani dietro la schiena e cominciò a passeggiare sul fondale.
A differenza di come veniva descritto dai giornali: un fiume ormai irrimediabilmente rovinato dall’inquinamento e dall’incuria dell’uomo, il Sig. Kozlowski si accorse con sommo piacere che la vita sia floreale che faunistica era invece alquanto rigogliosa e vivace. Tutt’intorno a lui nuotavano e si muovevano numerose creature, dalle carpe alle anguille fino ai rospi e alle tartarughe più altri strani pesci colorati che non aveva mai visto ma che gli davano l’impressione di appartenere a specie esotiche. Notò anche che al contrario di come si pensava, e cioè che i pesci fossero muti, li sotto era tutto un gran baccano fatto di voci e suoni che nulla avevano da invidiare al rumore delle strade e delle piazze che si trovano in superficie. In un angolo del fondale, intorno a delle enormi felci, vide addirittura un gruppetto di pesci Koi che chiacchieravano animatamente, si avvicinò per cercare di capire di cosa stessero parlando ma si rese conto che purtroppo non aveva mai avuto modo di imparare il giapponese, quindi riprese il passo raccomandandosi in futuro di apprendere quella lingua.
Camminando lentamente attraverso l’acqua salmastra, che in alcuni punti sembrava assumere una consistenza più densa e un colore tra il giallo e il verde sporco, il Sig. Kozlowski osservava meravigliato quel mondo che la maggior parte della gente di superficie ignorava.
“È davvero un peccato che nessuno scenda mai qui giù” pensò mentre salutava una lontra che si era immersa in cerca di cibo. Dopo un po’ che era sprofondato in questi pensieri gli parve di vedere in lontananza una strana figura oblunga che aleggiava a circa mezzo metro dalla superficie del fondale. Spinto dalla curiosità decise di avvicinarsi a quello strano oggetto. A circa quindici metri di distanza l’acqua opaca ne lasciava intravedere sempre meglio i contorni fino a che arrivato a una distanza ragionevole si accorse che l’oggetto in realtà non era un oggetto bensì un uomo.
L’uomo penzolava verso l’alto legato con delle pesanti catene a un grosso masso saldamente appoggiato al fondale. Le catene lo stringevano dall’inizio delle spalle fino a sotto le ginocchia lasciando in vista solamente la testa, le caviglie e i piedi.
Sebbene l’uomo avesse gli occhi aperti non batteva le palpebre e il Sig. Kozlowski pensò che magari, dato il luogo, avesse preso la stessa abitudine dei pesci del dormire con gli occhi aperti. Il Sig. Kozlowski senza spostare gli occhi da quella figura, si sedette su di un masso, mise in bocca una liquirizia e rimase a fissare l’uomo.
“Buongiorno” disse quello all’improvviso.
Il Sig. Kozlowski si alzò di scatto. “Buongiorno a lei.” disse levandosi il cappello.
“Scusi se non le stringo la mano, ma come vede, sono leggermente impossibilitato” disse chinando il capo. “È la prima volta che vedo un uomo qui sotto, in genere di qui passano solo pesci. Cosa ci fa da queste parti?”
“Nulla di che” disse il Sig. Kozlowski “vivo in superficie e ieri m’è venuta la curiosità di vedere com’è qui sotto”
“E le piace?” disse l’uomo dondolando.
“Abbastanza, è un luogo caratteristico. Qui è tutto molto lento e tranquillo, non come sopra”.
Una corrente d’acqua fece piegare l’uomo in avanti nella direzione del Sig. Kozlowski che dovette fare un passo indietro per evitare di essere colpito dalla testa di quello.
“Piuttosto” disse all’uomo dopo che era ritornato nella sua posizione verticale. “Se posso chiedere, lei come mai è qui ed è tutto legato?”
“Eh…” sospirò “È una storia triste.”
Il Sig. Kozlowski tornò a sedersi e questa volta sbottonò la giacca per stare più comodo. “Mi piacerebbe sentirla, sempre se non le dispiace” disse.
L’uomo rimase per un po’ in silenzio poi disse “Cinque anni fa ho vinto alla lotteria. Quando successe la prima cosa che feci fu quella di chiamare mia moglie. Ero felicissimo, quei soldi ci avrebbero fatto molto comodo a quei tempi. Mia moglie non era in casa ma al telefono mi disse che sarebbe rientrata subito per festeggiare. Così mi sedetti sul divano e cominciai a pensare a come avremmo speso tutto quel denaro: potevamo ristrutturare la casa di campagna ad Ariccia e mettere una bella piscina in giardino, comprare il frigo nuovo e magari farci finalmente quella vacanza di cui parlavamo da anni. Non mi ricordo bene cosa successe dopo, forse mi addormentai, fatto sta che quando mi svegliai mia moglie era in piedi davanti al divano con in mano il biglietto. Accanto a lei c’era un uomo che non avevo mai visto con una grossa spranga di ferro appoggiata sulla spalla. Prima che potessi fare qualsiasi cosa vidi la spranga avvicinarsi velocemente. Ci fu un forte rumore, poi il buio. Quando mi svegliai mi ritrovai qui sotto attaccato a questo masso legato come un salame, proprio come lei mi vede. E questo è tutto. Fine della storia.”
Per alcuni minuti i due si guardarono senza parlare, i raggi del sole filtravano pesantemente attraverso l’acqua e colpendo le catene le facevano scintillare.
“Senta una cosa” disse il Sig. Kozlowski alzandosi “La prossima volta potrei tornare con degli attrezzi per quelle catene, la slego così può tornare in superficie.”
“È molto gentile da parte sua” disse l’uomo sorridendo “Ma ormai a cosa servirebbe? Li sopra sarei solamente un cadavere con una storia, come tutti gli altri e la storia che mi ricordo non mi piace per niente. E poi potrei correre il rischio di rivedere mia moglie che finge di essere disperata alla vista del marito morto. No grazie, non ci tengo. Mi creda mio caro signore, può suonare come una banalità ma il passato può farci del male solo se decidiamo di corrergli incontro e io non ho nessuna intenzione di muovermi da questo masso per tornare a quei momenti. In questi cinque anni ho capito che non c’è più nulla che mi leghi a quel mondo, nemmeno il rancore. E poi qui sto bene, i pesci mi portano da mangiare e c’è una simpatica tartaruga di duecento anni che viene a leggermi le storie della sua vita, quindi come vede non mi va poi così male”.
“Beh, addio allora” disse il Sig. Kozlowski rimettendosi il cappello.
“Addio” rispose l’uomo che rimase con la bocca aperta.
Mentre camminava il Sig. Kozlowski si voltò indietro un paio di volte ma ormai l’uomo era tornato a essere solamente una figura in ombra che fluttuava avanti e indietro. Davanti a lui, a poche decine di metri, un cartello a forma di freccia indicava per la superficie e un poco più in là un enorme scala si stagliava sul lato destro del fondale. La percorse lentamente e dopo una mezz’ora ritornò sulla terraferma. Passò con vigore le mani sui pantaloni per far colare via quanta più acqua possibile e strizzò per bene gli angoli della giacca. Ripercorse al contrario la banchina fino alle scalette, diede un’altra occhiata al fiume, poi si incamminò lentamente, ancora bagnato, verso casa.
Quella stessa sera, nel letto di casa il Sig. Kozlowski non riuscì a dormire. Si sforzò più volte di rimanere con gli occhi chiusi, ma quelli non ne volevano proprio sapere quasi avessero una volontà propria. Girandosi sulla schiena incrociò le braccia dietro la testa, fissò il soffitto e vide i propri pensieri diventare immagini. Vide l’uomo incatenato sul fondo del fiume che mangiava pesci rossi mentre una tartaruga gli raccontava una storia, uno sguardo più in là una donna prendeva il sole in piscina galleggiando su di un materassino giallo mentre sul prato un uomo in mutande si riempiva d’olio con una mano mentre nell’altra reggeva una spranga di ferro, vide poi il materassino giallo diventare lentamente un grande battello che navigava su di un fiume color argento in una tiepida giornata d’estate di tanti anni fa. Vide sua moglie appoggiata alla balaustra abbracciare e sorridere un uomo che non era lui. Strinse con forza i pugni dietro la testa e si sentì la rabbia seccargli la gola e scendere giù fino allo stomaco.
“Forse se sei incatenato sul fondo del Tevere è più facile lasciare andare” disse a bassa voce mentre osservava il battello allontanarsi sul fiume.