7.15 – Non ho dormito granché e ho la testa che mi scoppia, accosto in seconda fila e guardo il cellulare, sono in anticipo. Ricontrollo whatsapp ma Elisa non ha risposto. Le ho mandato due giorni fa le condoglianze per la nonna, forse aveva ragione mia madre, dovevo farle un telegramma.
7.30 – Silvia ancora non è scesa, non so se chiamarla, non è ancora proprio in ritardo, no la chiamo se non scende subito rischiamo di fare tardi. Squilla ma sta stronza non risponde …
“O Sì, tutto a posto? A stai scendendo? Come devi solo truccarti, ma fallo in macchina …”
Ricontrollo la strada, dice due ore, due ore precise, ricontrollo watsapp, la spunta è blu, Elisa ha letto …
7.40 – scendo e mi accendo una sigaretta, di solito funziona, come quando si aspetta l’autobus. Sistemo la giacca di fresco di lana … forse aveva ragione mia madre dovevo mettermi la cravatta …
7.50 – “A Sì ma quando scendi? Guarda che devi anna’ a un funerale …” ricontrollo la strada dice ancora due ore, due ore precise e nessuna risposta di Elisa.
8.05 – Eccola, sale mentre traffica con l’iphone. Non aspetto che sistemi la cintura, parto, stiamo facendo tardi.
“Ce lo prendiamo un cappuccino mentre arriviamo a Percile?”
“Lascia fa Si’, è tardi”
“Agitato? Vedrai che Elisa si scioglie quando ti vede al funerale … che faccio metto il navigatore?”
“La so la strada”
“Non è che hai chiamato Elisa, vero?”
“No, no le ho mandato un watsapp, ma non con tutto quello che è successo non avrà avuto il tempo per rispondere …”
“In quel paese manco prende il cellulare. Elisa dice che è un buco, 200 anime, praticamente tutti vecchi decrepiti come la nonna”
“Ci sarà un posto dove portarla a prendere una cosa a Percile?”
“Ma ci vuoi provare proprio il giorno dei funerali della nonna? Tu stai lì fai presenza, fai le condoglianze anche ai genitori, che intanto ti vedono e mi raccomando è la madre del padre, contrito con lui e invece con la madre di Elisa puoi anche sorridere, sorridere non ridere che ai funerali non sta bene …”
“Secondo te dovevo mettere la cravatta?”
Silvia si è messa a trafficare con l’iphone, fermi al semaforo di Porta Latina, mentre passa una carrozza con una sposa, prendo la cravatta dalla tasca, il nodo è già fatto, la infilo e sistemo il colletto della camicia.
“Tu non sei normale” mormora Silvia.
8.30 – superiamo il Verano e imbocchiamo la tangenziale, c’è ancora nebbia sospesa sui cipressi e neanche l’ombra del traffico abituale, magari non facciamo tardi …
“Elisa lo sa che sto venendo anche io?”
“Sicuro che non vuoi mettere il navigatore? … “
“La so la strada”
Mi butto a destra per imboccare l’A24 e prendo il doppio tombino in velocità, l’iphone di Silvia vola sul cruscotto, rimbalza e finisce sotto il sedile, lei si accartoccia per prenderlo borbottando “sto deficiente … dicevo al cellulare …”
Lo sbatte ripetutamente sul palmo della mano “sta merda non funziona più … prova a chiamarmi”
“A Sì sto guidando come faccio …”
Con la mano mi rovista tra le gambe e afferra il mio cellulare
“Ecco perché non volevi il navigatore, te lo spizzavi di nascosto …”
“Sarà rimasto aperto da ieri sera …”
“Ma se m’hai chiamato due volte stamattina …”
Le strappo il cellulare dalle mani, tolgo la mappa e me lo rimetto al sicuro tra le palle
9.20 – Pago 4 euro e 10 di pedaggio, il cellulare di Silvia squilla:
“allora funzioni … bastardo! mgr … Amo’ come stai? Un’ora al massimo e sono lì. Aspettami per entrare in chiesa”
Fermo al bivio non ricordo se devo andare a sinistra o a destra, Silvia che è stata in silenzio per tutto il viaggio armeggiando con il suo cellulare, alza gli occhi, guarda me, l’incrocio e ancora me
“Ma lo sai dove devi andare?”
“La so la strada”
Giro a destra per Roviano
9.50 – Non ho trovato neanche un cartello con la scritta Percile, ma manca poco me lo sento, il cellulare diceva 30 minuti dopo l’uscita da Vicoravo – Mandela; la strada e stretta e piena di curve e la nebbia dei cipressi del Verano s’è trasferita tutta qui.
“Le senti le campane? Queste so campane a morto”
Silvia ha ragione, stiamo attraversando un piccolissimo centro, mi è sfuggito il cartello di benvenuto, ma queste sono campane a morte; siamo arrivati.
Seguo i ritocchi lenti e tristi.
Lo slargo è un enorme rettangolo e la chiesa ne occupa un intero lato, al centro una fontana corrosa dall’acqua e piena di muschio, intorno a raggiera macchine parcheggiate e finalmente un posto libero. Silvia si aggiusta i capelli e si bagna le labbra mentre scende.
Ai lati della scalinata della chiesa due camionette dei carabinieri, al centro lo spazio per il carro funebre, in piazza ci sono tutti i 200 abitanti del paese, è pieno di gente.
Silvia con il mento mi indica l’entrata della chiesa, Elisa sarà già dentro. Sistemo i bottoni della giacca di fresco di lana, come mi ha detto mamma: mai, sempre, a volte. Vorrei correre per le scale come Rocky al Museum of Art, attraversare velocemente la navata e scappare con Elisa in braccio come Il Laureato..
All’improvviso mi sento tirare per il gomito “ma tu si lo nepote de Cesa?”
Mi si è agganciata al braccio, sarà alta un metro e quaranta, storta come poche …
“ma io veramente non sono ..”
”Pierinaaaa” urla verso la piazza
“ce lo nepote de Cesaaaa”
Si avvicina un altro essere piccolo, piccolo, come l’arpia che ho artigliata al braccio, ha la faccia che è un nugolo di segni malefici del tempo.
“va se che s’è fatto grosso …
“no, guardi io …”
“arto … è arto sto monello …”
“e tene lo naso como quello d’Arfonso”
Continuano a urlare tra loro mentre io voglio solo entrare in chiesa e vedere Elisa.
Tento di sganciarmi, ma la vecchia non molla la presa. Saluta ognuno che incontra urlando “è lo nepote de Cesa, è lo nepote de Cesa”.
Alla fine manco ci provo a spiegare che a Percile non ci sono mai stato, mi trovo addirittura a dire “ … certo che le saluto nonna …”
Silvia sale le scale della chiesa, risponde al telefono e si precipita dentro.
10.30 – Ogni scalino è una tortura, sta nana storta pesa il doppio di quello che sembra! la navata è totalmente al buio, tranne che per l’enorme vetrata sull’altare, dove l’ombra di un crocefisso gigante, spezza la luce in centinaia di raggi che bruciano gli occhi. A me le chiese me fanno paura.
E’ pieno di gente, Cazzo non riuscirò mai ad arrivare davanti.
La vecchia si tira su uno dei pochi posti rimasti liberi, sull’ultima panca, portandosi dietro tutto il mio peso. Tento di fare capoccella per riuscire a vedere la testa di Elisa. All’improvviso l’organo supera ogni altro rumore e il coro intona:
“tu sei la mia vita, altro io non ho …”
il feretro portato a braccia dai sei omoni, fa la sua entrata trionfale
“tu sei la mia strada, la mia verità …”
Cerco di spostare la mano dell’arpia dal braccio e le sussurro in un orecchio “vado a rendere omaggio alla morta, torno subito”, mi alzo, ma ho ancora tutta il peso attaccato, non mi molla, mi segue con gli occhi sbarrati.
Affianco la bara, accarezzando il legno lucido con la mano che ho libera, arrivo davanti all’altare e attendo a capo chino che venga sistemata a dovere, cercando con la coda dell’occhio di vedere Elisa sui primi banchi. La vecchia è ancora aggrappata a me e urla con il coro:
“tu sei la mia forza altro io non ho”
Vedo Silvia che dietro una colonna del transetto cerca di attirare la mia attenzione.
Si porta la mano tesa all’altezza della gola, la muove a zig zag e col capo mi indica l’uscita.
Dritto davanti alla bara, nell’improvviso silenzio della chiesa, leggo la frase a lettere d’oro, scritta sulla fascia del copribara “i figli e la … Moglie”.
Inciampo nel tappeto e cado trascinando a terra due ceri accesi e la vecchia, che nel tentativo di mantenere l’equilibrio si appenda alla cravatta. Sbatto violentemente il mento sul feretro che rotola a terra.
La vecchia urla, il tappeto prende fuoco, la bara esplode.
10.45 – Mi faccio tutta la navata carponi e rotolo giù per le scale.
Corro alla macchina e stile fast and furios sgommo a marcia indietro.
Il tonfo è improvviso, come un rombo di tuono che ti cade ai piedi. Vetri che vanno in pezzi e grida.
Cazzo ho preso il carro funebre!
Rimetto la prima, mi sgancio dal carro, lo stridio delle lamiere si fonde alle urla della folla che scende dalle scale.
Mi lancio per la strada da cui siamo venuti, alle urla della folla che mi sta inseguendo, si aggiunge la sirena dei carabinieri … continuo a correre in discesa, curva dopo curva, la camionetta è sempre più vicina, quando cazzo finisce sta curva … perdo il controllo e mentre rovino dentro una scarpata con la coda dell’occhio vedo un cartello: “arrivederci a Saracinesco”.