
Nel numero 3 dell’anno II della rivista cartacea Omero, e più precisamente il trimestre Agosto-Novembre del 1994, si parlava della città della scrittura, un luogo immaginifico, prima del fantareale (e chissà se il fantareale ha trovato spunto proprio da questo numero), dove i racconti prendevano forma e si modellavano con la fantasia grafica e visionaria della mente.
In questo numero erano presenti Pietro Pedace con Lezioni di scrittura creativa, Giuseppe Manfridi con Le regole come luoghi di insidie, Richard Ford, Giuliano Campo che presentava la professione del fumettista, la grafica Alessandra Mura e un mio fotoracconto che ripropongo in quanto ritengo ancora attuale e forse argomento eterno.
Il fanciullo che rimane in noi, come decantava il Pascoli, o la spensieratezza del Peter Pan che ci accompagna per tutta la vita, inizia in realtà dallo smontaggio del mondo che ci circonda sin dalla tenera età come se maneggiassimo il Lego.
A noi non piace il concetto di mondo che viviamo, non lo abbiamo scelto noi… Imponendocene poi come conflitto attraverso personaggi inventati attraverso cartoni animati o film fantasiosi.


Haidi ad esempio era una contraddizione tra quello che si viveva realmente, tra gabbie di cemento e mostri ruggenti, e la tranquillità ancestrale della vita pura e in ambienti intatti e incantevoli. I bambini guardano con speranza qualcosa che amaramente non avverrà mai, e allora nei loro sogni serpeggiano continue distruzioni e ricostruzioni utopiche.
Il Sogno di Arianna




