Il mio barbiere

di

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La paura del barbiere si riflette sul tuo taglio di capelli.

Il mio barbiere è una brava persona.
Dove “il mio barbiere” sta per il barbiere, cioè per chi una volta fu cerusico minore ed ora si atteggia ad esperto tricologico e cosmetico, da cui vado, più o meno una volta al mese, ogni volta con la speranza, sempre frustrata, che sappia trovare un taglio per mettere in ordine quei quattro capelli rimasti in testa celando, almeno un po’ alla vista, le sempre più ampie porzioni di cranio che biancheggiano al sole crudele di aprile.
Per “brava persona” invece intendo la declinazione singolare e concreta, paesanotta se volete, di quell’ “italiani brava gente” che sovente ci consola nel confronto con altri popoli dando una mano alla barzellettiera produzione in cui “c’era un francese, un inglese, un tedesco” e un italiano a fare la parte del furbo. Quell’ “Italiani brava gente” che è lo stereotipo che ci siamo cominciati a costruire appena l’unità d’Italia rimuovendo le ferocie della campagna contro il brigantaggio prima e delle avventure coloniali e belliche giolittiane e fasciste poi. E che ci fa stupire ancora oggi per ogni attentato contro i nostri contingenti militari impegnati sempre in ipocrite missioni di pace. Com’è possibile che ci odino?

Quando sono arrivato non c’era nessuno. Saranno state le otto e seduto alla cassa, il mio barbiere leggeva il giornale da sopra gli occhiali allungati sulla punta del naso.
– Buongiorno caro – mi fa lui ampolloso riuscendo a dare all’espressione la consistenza di una scia aerea, curvilinea e profumata di Floid.
Rispondo al buongiorno e mi avvio verso la sedia barbitonsoria seguendo il moto del suo braccio destro che si è allargato in un pavonesco invito.
– Poltrone nuove? – Gli domando notando il cambiamento. Parliamo del meteo e della Pasqua, sembra Natale tanto è stato freddo. Qualche battuta sugli acciacchi di chi ha passato il mezzo del cammin di sua vita: lui la schiena, io la cervicale.
I denti del pettine per alzare i capelli sfiorano la cute, un solletico piacevole che accompagnato al ritmico zac zac del chiudersi e riaprirsi delle forbici dà un brivido soporifero.
– Be’, non ha ragione a voler radere al suolo tutto? Senti che storie.
Non capisco, gli ho chiesto il solito taglio. Cosa vuol radere? Forse è meglio che apra gli occhi e faccia attenzione.
Mi fissa da dietro attraverso lo specchio e con i cenni del capo e la punta delle forbici mi fa girare verso la tv accesa h 24 per compagnia. Ma non è meglio la radio? Chiedo io. Si, una volta dice lui. Adesso però accendo la tv, ormai è un’abitudine.
Lo specchio mi riflette di sghimbescio l’apparecchio televisivo. Roma, con un microfono in mano un inviato, inquadrato di tre quarti posteriore, intervista due ragazzine Rom di cui si vela il volto perché minorenni. In 30 secondi vien fuori che non vanno a scuola e che rubano. Che in una giornata fanno anche 1.000 euro. Che le loro vittime sono anziane e anziani, ma anche turisti. Che la loro specialità è il borseggio ma rubano anche nei negozi. Che i soldi li spendono in vestiti. Che non vogliono cambiare vita. Che tanto se le chiappano poi le devono rilasciare. Che al lavoro sono costretti gli sfigati.
– Hai capito? Ogni tanto capitano anche qui. Io gli dico raus! Fuori! Zingari, albanesi, marocchini, neri, clandestini non se ne può più. E poi, c’ho anche paura. La mi’ moglie è spesso sola a casa e questi pur di arraffare qualcosa farebbero di tutto.
– Ma dai, quel servizio televisivo puzza. E’ un artefatto. Scommetti che le due ragazzine, se sono Rom perché acchittate in quel modo sembravano due parioline, sono state imboccate e pagate per dire quelle cose?
– ‘n ce credo. Un conto è Forum, lì ce so le comparse proprio pe’ ffa finta de litiga’ come marito e moje su le peggio cose.
– E qui ce so’ queste, da’ retta. Poi vedi un servizio su due zingarelle e te la pij con tutto l’universo dei migranti? Migranti, non clandestini. Come mio figlio che adesso è a Londra.
– Ma lui è lì ppe’ llavora’.
Suona il telefono, meno male perché rischiamo di accalorarci nella discussione. Anche lui ha una figlia che per un periodo è stata fuori, stavo per ricordarglielo, ma chissà con quale effetto. E se poi si altera e mi scaletta il taglio e passa dalle forbici alla macchinetta? Non sopporto le sfumature.
– Scusa era l’Irina. E’ qualche giorno che ‘l mi socero sta proprio male. Quello che je fa lei, la mi moglie non glielo farebbe mai. Eppure è ‘l su’ babbo. Lo alza, lo lava, lo veste, l’imbocca, lo porta a spasso. Abbiamo provato varie badanti, l’Irina è proprio brava. E’ pure una bella donna. Certo che da loro so’ proprio disperati se devono lascia’ la famiglia pe’ veni’ a lava’ ‘l culo a li nostri vecchi.
– E già, e bisognerebbe conoscere le cause della loro condizione disperata.
– Ao’, lì c’hanno avuto anche il comunismo. Comunque li zingari. So’ d’accordo co’ quello: t’avverto, te do sei mesi de tempo e poi butto giù tutto, sgombero, rado al suolo e bonifico. Alè te serve la fattura? La fo e la lasciamo qui così se c’è qualcuno l’hai dimenticata.

Mi accompagna all’uscita e mi mostra la sua auto nuova. Ne è così contento. Un Suv compatto, dall’anima urbana, come dice la pubblicità. Niente a che vedere con la berlina che aveva prima. Ha preso la versione full option perché ne valeva la pena e poi gli hanno supervalutato l’usato.
– Ma, alla lunga, non ti stuferà questo marrone?
– Deep Espresso Brown. Lo dico bene? Io con l’inglese non c’ho molta dimestichezza. C’avevo 4 finchè so’ ‘nnato a scola. Adesso non si vede bene ché è sporco. Ma guarda qui – mi dice aprendo lo sportello e indicando il montante che brilla e luccica.
– Guarda che metallizzato bello. Qui non mi si è graffiato l’altro giorno con l’aspirapolvere? Stasera quando stacco vado in concessionaria per sentire se mi possono dare un ritocchino.
Insiste perché mi sieda al posto di guida e mi fa notare i vantaggi della posizione più elevata rispetto alle altre automobili. Annuisco e mi complimento. Per compiacerlo mi invento qualcosa sulla qualità delle plastiche. Mi pizzica un po’ il coppino.
Raso muro, quasi invisibile e felpata una ragazza nera è arrivata all’ingresso del salone. Indugia. Mi immagino la scenata che farà Figaro e comincio a grattarmi il coppino. Incrociano gli sguardi. Lei sparisce dentro, lui mi saluta, d’improvviso frettoloso. Entrando si guarda in giro. Chiude a chiave ed espone il cartello “Torno subito”.

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