A un semaforo rosso di via Tiburtina, corsia preferenziale altezza Verano, ore 16.30. Fa molto caldo. Seduta alla fermata dell’autobus alla mia destra c’è una signora piccola sui cinquanta. Oltre a lei, nessun altro. Incrociamo gli sguardi. Il suo è stanco.
– ‘St’autobus accidenti a loro nun se vedono mai! – borbotta, passandosi un fazzoletto sulla fronte.
– Già – confermo io.
– Certo lo sai – continua lei – se potessi io lo prenderei volentieri il taxi ma… in questo periodo non me lo posso proprio permette. E pensà… che nemmeno abito tanto lontano da qui, saranno dieci minuti.
Nei suoi occhi leggo chiaramente la richiesta di un passaggio gratuito, un favore, e sto per dirle che va bene, di salire che l’accompagno, quando mi blocco e penso che stiamo a metà mese, e che come lavoro sono giorni piuttosto fiacchi, e che tra poco dovrò pagare l’affitto, il mensile per il mantenimento di mia figlia e qualche bolletta scaduta da un po’. E che quindi anche io l’accompagnerei volentieri, certo, ma che anche io in questo periodo non me lo posso proprio permettere.
Senza dirle niente riporto gli occhi sulla strada. Sento i suoi ancora fissi su di me. Non oso rigirarmi, e inizio a maledire tra i denti il rosso del semaforo che non si decide a scattare. Poi finalmente scatta, e io riparto veloce.