La notizia che Harper Lee sta per pubblicare un altro romanzo dopo To Kill a Mockingbird è arrivata all’improvviso sui giornali. E incuriosisce l’idea che non si tratta di un prosieguo ma di un romanzo scritto prima di quello con la stessa protagonista, la piccola Scout. Quando ho letto Il buio oltre la siepe (questa la traduzione italiana del titolo che conoscono tutti) ero così piccolo che non sapevo niente del mondo. O di quello che sarebbe arrivato nella mia vita. Non c’era un nero per migliaia di chilometri intorno a casa mia. E non c’era nessun ragazzo considerato strano che venisse tenuto prigioniero in una casa dalla famiglia, che si vergognava di lui e che probabilmente aveva contribuito alla sua follia. Non c’era mai stata una violenza sessuale nei dintorni ed era impossibile che la polizia potesse uccidere un innocente che aveva in custodia. O almeno così pensavo io. E pensavo che Scout mi somigliasse molto, anche se era una femmina. Come tutti quelli che amavano leggere da bambini, anche io odiavo se qualcuno mi faceva interrompere un libro per fare cose banali tipo giocare o salutare il cuginetto oppure andare a tavola perché era pronto. Come diceva Scout nella seconda pagina del romanzo: “Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?”.
Ogni tanto, quando mi chiedono quanti anni ho, dico scherzando che ho la stessa età di Obama. È vero, ma con Mr. President ho in comune pochissimo tranne proprio Il buio oltre la siepe, lo ha citato in più di un’occasione. Io e Barack siamo nati nello stesso anno e d’estate entrambi. Ed è possibile che tutti e due abbiamo letto quel romanzo trovandolo in casa abbandonato da qualcuno dei nostri parenti che l’avevano letto quando era appena uscito, nel 1960.
Qui potete vedere Barack che ne parla con la solennità del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti d’America:
Immagino quanto Mr. President, che prima di avere successo in politica faceva l’avvocato in difesa dei diritti civili, si sia immedesimato nel padre di Scout, l’avvocato Atticus Finch. A me di Atticus fin da subito, prima di vedere il film in cui era interpretato da Gregory Peck, era piaciuta soprattutto una scena. C’è un cane rabbioso che avanza nella via della cittadina, è talmente feroce che bisogna ucciderlo con un colpo solo altrimenti si getterà sullo sparatore. Ci vuole qualcuno molto abile con il fucile. E sotto gli occhi stupiti di Scout e del fratellino Jem vanno a chiamare proprio Atticus. Ma lui è un pacifista, uno che odia le armi, l’amico dei negri che non sa battersi, così lo considerano tutti. Però Atticus quel colpo lo spara e colpisce giusto. Così veniamo a sapere che il mite avvocato che difende gli afroamericani è uno dei più abili sparatori della zona, solo che non usa mai la forza quando c’è un’altra via.
Questo avvocato si mette a difendere un ragazzo nero accusato di aver violentato una donna bianca e nemmeno i suoi figli lo capiscono subito, il buonismo del 2000 doveva ancora arrivare nel 1960.
“Tutti gli avvocati difendono i ne… i negri, Atticus?”
“Certo, Scout.”
“Allora perché Cecil ha detto che tu difendi i negri come se ti accusasse di fare contrabbando di liquori?”
Atticus sospirò. “ho assunto la difesa di un negro, tutto qui… si chiama Tom Robinson e vive nel piccolo quartiere dalle parti dello scaricatoio. Appartiene alla chiesa di Calpurnia, e Cal conosce bene la sua famiglia. Dice che sono gente perbene. Vedi, Scout, forse non sei abbastanza grande per capire certe cose, ma in città si è parlato molto di questa faccenda, nel senso che non dovrei prendermi la briga di difendere quell’uomo. È un caso molto particolare, e il processo non si farà prima della sessione estiva. John Taylor è stato tanto gentile da accordarci un rinvio …”
“Se non dovresti difenderlo, perché lo difendi?”
“Per vari motivi” disse Atticus. “Il principale è che se non lo facessi non potrei più andare in giro a testa alta, non potrei rappresentare la contea nell’Assemblea legislativa e non potrei nemmeno dire a te o a Jem: fa’ questo e non fare quello.”
“Vuoi dire che se non difendi quell’uomo Jem ed io potremmo non darti più retta?”
“Più o meno”
“Perché?”
“Perché non potrei più pretenderlo da voi. Vedi, Scout, a un avvocato succede almeno una volta nella sua carriera, proprio per la natura del suo lavoro, che un caso abbia una ripercussione diretta sulla sua vita. Evidentemente è venuta la mia volta. Può darsi che a scuola tu senta parlare male di questa faccenda, ma se vuoi aiutarmi devi fare una cosa sola: tenere la testa alta e le mani a posto. Non badare a quello che ti dicono, non diventare il loro bersaglio. Cerca di batterti col cervello e non con i pugni, una volta tanto… È una buona testa la tua anche se dura a imparare!”
“Atticus vinceremo la causa?”
“No, tesoro.”
“Ma allora, perché…”
“Non è una buona ragione non cercare di vincere solo perché si è battuti in partenza, “ disse Atticus.
Una buona causa si difende e basta. La verità e la giustizia impongono di schierarsi anche se il nemico è più forte, questo è quello che racconta To Kill a Mockingbird. Un’idea ingenua? Meglio combattere solo quando si è sicuri di vincere? Io e il bambino Barack allora ci siamo schierati con Atticus, anche se la causa lui la perde e il giovane innocente Tom viene ucciso dalla polizia mentre tenta una fuga (dicono loro…), prima dell’appello. Io la penso ancora così, non scommetterei su quello che pensa adesso il mio coetaneo Barack…
E poi non si perde sempre: “Volevo che tu imparassi una cosa: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.”
E il mockingbird che c’entra? Intanto bisogna spiegare che si tratta di un uccello che in italiano viene chiamato tordo sbeffeggiatore o mimo. Da noi la traduzione più diffusa del titolo del libro è comunque Uccidere un usignolo, ma secondo me va benissimo proprio Uccidere un tordo beffeggiatore o un tordo mimo… Anzi, un tordo ci sembra meno poetico di un usignolo, quindi è più giusto per rappresentare ciò che ci ha narrato Harper Lee.
Io non l’ho capito allora, alla prima lettura, ma adesso che tante altre cose sono capitate nella mia vita, ora che ho sentito alcuni tordi cantare versi incomprensibili ma belli, so che il tordo in questione era Boo Ridley. Un ragazzo segregato in casa perché diverso dagli altri, troppo sensibile, capace però di lasciare dei piccoli regali nel tronco cavo di un albero per i ragazzini che avevano paura di lui e lo consideravano un mostro. Lui che alla fine salva i figli di Atticus, l’unica volta che esce da quella casa in cui è rinchiuso. Lui che non subirà il processo che l’avrebbe fatto considerare un eroe perché troppo fragile. Lui che verrebbe annientato dal clamore della folla. Lui che è indifeso come un tordo, o un usignolo che non si dovrebbe mai uccidere. Lui che alla fine non mette proprio più nessuna paura alla giovane Scout che intanto è diventata grande.