Flying toilets

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Nel suo sogno confuso piombò all’improvviso un bambino che piangeva. Nora si stava ancora meravigliando di quell’apparizione fuori luogo quando gli strilli sempre più pungenti di James la strapparono definitivamente al sonno.

Nel suo sogno confuso piombò all’improvviso un bambino che piangeva. Nora si stava ancora meravigliando di quell’apparizione fuori luogo quando gli strilli sempre più pungenti di James la strapparono definitivamente al sonno. Allungò un braccio per avvicinarlo a sé: “Ssshhhh, James, buono che svegli Emily”.
Ma James sembrava non preoccuparsi del sonno della sorella e continuò a strillare. Quando finalmente si fu messo a poppare, Emily era ultrasveglia.
“Mamma, anch’io voglio il latte”.
“Va bene, dopo te lo compro”. Non c’erano soldi, ma Nora non sapeva resistere agli occhi della figlia. Come sarebbe stato bello poter produrre con il proprio corpo tutto il nutrimento che le era necessario, come per James. Ma Emily aveva già cinque anni e il corpo di Nora non bastava più. Estrasse da sotto il letto la tinozza di alluminio e immerse il viso nell’acqua di ieri. Alcune gocce rimasero impigliate nell’intrico dei corti riccioli neri. “Stai attenta a James, torno subito”.
La porta di lamiera la scaraventò dalla penombra della stanza al brulichio luminoso della strada. Con gli occhi ancora assonnati, Nora si fermò un attimo sulla soglia a godersi la vista di quel caos colorato prima di gettarsi nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Donne piegate arrostivano banane, lavavano bambini, spazzavano la strada spostando la rossa terra africana da un lato all’altro, un’attività che a Nora era sempre parsa tanto faticosa quanto inutile. Uomini sudati spingevano carriole stracolme, si preparavano ad andare al lavoro, oppure semplicemente se ne stavano seduti a osservare i passanti con sguardo soddisfatto e annoiato insieme. Pesanti biciclette nere alzavano turbini di polvere che si adagiava sulle traballanti bancarelle di legno stracolme di verdura. Canzoni pop di pessima qualità riversavano molti decibel di allegria su un gruppo di bambini che sapevano già muovere i fianchi in modo del tutto autonomo dal resto del corpo. Nora socchiuse gli occhi al sole e inspirò l’odore delizioso di fagioli che saliva dalla pentola della vicina.
Di colpo, un sibilo attraversò l’aria e qualcosa le passò a un soffio dal viso. Aprì gli occhi giusto in tempo per vedere un sacchetto di plastica atterrarle ai piedi. Il profumo di fagioli fu immediatamente coperto da un puzzo fin troppo familiare. Nessuno ebbe bisogno di aprire il sacchetto per indovinarne il contenuto.
La vecchia alzò gli occhi dalla pentola per gettare uno sguardo disgustato alla ‘flying toilet’, come le chiamavano qui a Kibera: “I vicini ti augurano il buongiorno, mia cara” disse con una calda risata di rassegnazione.
“Un’altra giornata di merda nello slum più chic di Nairobi” rispose Nora ridendo.
Da qualche anno le flying toilets erano diventate una piaga in quel posto dove la gente non poteva permettersi nemmeno un angolo per cagare.
“Un tempo sbrigavamo queste faccende nel campo dietro gli alberi di mango, al limitare della città” spiegò la vecchia a Emily, che nel frattempo si era affacciata sulla soglia. “Oggi la città è cresciuta e non esistono più né il mangheto né il cesso”.
“Beh, almeno ora abitiamo in centro, siamo saliti di classe!” si intromise un venditore di noccioline. Di nuovo risate, quelle non mancavano mai.
Ma Emily non era interessata a disquisizioni da bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno: voleva fare colazione. In più, quello era un problema che non la riguardava. Lei andava sempre con la mamma al bagno pubblico vicino al negozio della sarta, dove la ragazza con il grembiule bianco le apriva la porta e le metteva in mano due rettangoli di carta igienica in cambio di tre monete. C’era quasi sempre un po’ di fila, ma anche un sacco di pettegolezzi interessanti da origliare. Adesso comunque non era questo il punto: “Mamma, ho fame”.
Robert Okongwo si era svegliato dall’altro lato della città. Era rimasto sdraiato a godersi l’odore del caffè che Emma gli avrebbe portato fra un attimo. Sarebbe stata una giornata dura, la maledetta campagna elettorale lo stava sfiancando. Ci avrebbe pensato dopo, adesso ecco Emma con il caffè, le uova e le frittelle di riso. Bucò con la forchetta uno dei tuorli e osservò il liquido rosso che colava sulla polpa bianca. Aveva sempre amato il suo piccolo rito mattutino, con quel primo gesto gli sembrava di impossessarsi della giornata.

“Sir” Emma si era riaffacciata a disturbare con voce sottomessa “la vogliono al telefono. È il signore di ieri della fondazione Bill&Melinda Gates”
Oddio, di nuovo quella seccatura! “Digli che lo richiamo più tardi”
“Ci ho già provato, ma dice che è urgente”
Possibile che la politica non ti lasci un attimo di pace? Di malavoglia, il signor Okongwo si fece passare il cordless.
“Mi scusi per l’ora, sindaco” sentì dire al rompiscatole con finta cortesia “È che avevo paura di non trovarla più tardi e purtroppo non ho il suo numero di cellulare”
“E con un po’ di fortuna non ce l’avrai mai” pensò il sindaco. “Mi dica”
“Si tratta ancora della costruzione di una nuova serie di bagni pubblici nello slum di Kibera. I finanziamenti ci sono, ma abbiamo bisogno dell’autorizzazione da parte del comune”
“La avrete, ma al momento non ho davvero tempo di occuparmene, siamo in piena campagna elettorale”
“Capisco…il fatto è che la cosa purtroppo è abbastanza urgente….. La pratica di defecare in sacchetti di plastica che vengono poi gettati dove capita è un grosso rischio per la diffusione di malattie. Sono mesi che aspettiamo l’autorizzazione e ancora non si è mosso niente. D’altro canto va contro i principi della fondazione Bill&Melinda Gates ricorrere a pratiche ehm, locali, per velocizzare le cose….insomma avremmo bisogno di un appoggio chiaro dall’alto, non so se mi spiego”
“Non capisco a che pratiche si riferisca”. Ma guarda se questo mzungu arrogante deve farmi raffreddare la colazione per accusarci di corruzione! “Comunque le ho già detto che con un po’ di pazienza avrà  l’autorizzazione che le serve. Si rilassi, non siamo mica in America qui!”
“Sì, ma le condizioni igieniche negli slum di Nairobi non possono aspettare e…”
Annoiato, il sindaco gettò uno sguardo fuori dalla finestra. Sulla veranda, la buganvillea cospargeva di macchioline viola il verde brillante del giardino. “Pare che lei non abbia letto il rapporto uscito il mese scorso: la informo che il 99% della popolazione della nostra capitale ha accesso ai servizi igienici”
“Queste sono le cifre ufficiali, la realtà sul campo è…”
“Senta, adesso non ho davvero tempo di stare a discutere con lei della validità dei nostri rapporti. Arrivederci”. Riagganciò con un colpo secco. Parlare di cessi a prima colazione, che schifo. Se ne sarebbe occupato dopo le elezioni, forse. Non era certo il momento di rischiare la carriera infilando le mani nella merda, tanto più che la gente di Kabira non votava comunque. Si infilò sotto la doccia e appena l’acqua iniziò a massaggiargli la testa rasata dimenticò la faccenda.

La prima cosa da fare era sbarazzarsi del regalino atterrato davanti a casa sua. Nora lo raccolse trattenendo i conati di vomito e andò a gettarlo nel fossato dietro casa. Osservò il sacchetto affondare nell’acqua grigiolina fra sconce sedie di plastica rotte con le gambe all’aria. Si chiese indignata come la gente potesse ancora usare le flying toilets ora che i mzungu, i bianchi, avevano costruito i bagni pubblici. Certo, costava tre scellini usarli, ma quelli li avevano davvero tutti, e un po’ di dignità ci voleva! Che animali!
Da quando John aveva iniziato a bere anche a casa loro i soldi scarseggiavano, ma Nora si rifiutava di insegnare ai propri figli a scaraventare la propria cacca sulla testa di qualche malaugurato vicino. Emily e James sarebbero stati delle persone pulite.
Passò davanti al pub e lanciò un’occhiata dentro per vedere se c’era John. Qualcuno sorseggiava già birra calda, altri giocavano su una tavola da biliardo che veniva da chissà quale castello scozzese e ora si ritrovava con le gambe di legno massiccio piantate nella polvere rossa e il tappetino verde che si stingeva al sole. John non c’era e Nora tirò un sospiro di sollievo.
Rientrando a casa con il latte, seppe perché non l’aveva visto al pub. “Mamma, mamma, è passato papà” le corse incontro Emily. “Sì? E che ha detto?”
“Mi ha dato un bacio e ha detto che prende in prestito i soldi del cassetto, che non ti devi arrabbiare, che te li riporta domani o al massimo la settimana prossima”
Nora corse al cassetto e trovò solo un desolato involucro vuoto.
“Intanto prendi fiato e bevi il latte” disse alla figlia cercando di celare la rabbia che le saliva in petto.
Mentre facevano colazione sedute sul letto, Nora si chiese che cosa ci trovasse John di così irresistibile nella bottiglia. Che aveva in più di lei? Anche lei, Nora, era alta e scura, anche lei aveva fianchi larghi e un collo lungo e dritto. Magari l’altra sapeva chiudergli per qualche ora gli occhi alla povertà e alla violenza. Un tempo però Nora aveva saputo aprirglieli al sole, alla musica, e alle risate che risuonavano nei vicoli sovraffollati di Kibera.
“Adesso mi scappa la cacca” sentenziò Emily poggiando a terra la tazza e il piatto vuoti. Nora maledisse il frenetico metabolismo dei suoi figli che non le dava pace. Anche a lei scappava, ma John non le aveva lasciato neanche una moneta. Con James legato dietro la schiena ed Emily per mano, si presentò dall’addetta del bagno pubblico ad elemosinare un po’ di dignità.
“Due minuti, non ci mettiamo di più” promise “e rinunciamo alla carta igienica”
“Non posso, Nora, mi dispiace”
“Per favore, Jane”
“Il mese scorso ho rischiato di essere licenziata perché facevo passare gratis i conoscenti”. Tralasciò di specificare che sommando famiglia, amici e vicini, il gruppo dei ‘conoscenti’ non si distingueva molto da quello degli abitanti di quella parte di Kibera. “Davvero, non posso”.
Solo a pagamento quel servizio avrebbe potuto mantenersi anche dopo che la fondazione avesse chiuso i rubinetti. ‘Modello di sviluppo sostenibile’, lo chiamavano i mzungu. ‘Cagata a pagamento’ lo chiamava la gente. Eppure nessuno si lamentava: erano abituati al fatto che a Kibera, di gratis c’era solo il sole. “Alla bimba lo pago io l’ingresso” si intromise la sarta, in fila dietro di loro. Nora invece doveva arrangiarsi.
Si arrangiò molte ore dopo, a casa, mentre Emily faceva il riposino pomeridiano. In fretta e accucciata in un angolo, sperando che nessuno entrasse, che i figli non si svegliassero, che la puzza non si sentisse.

Quella della mattina non era stata l’unica telefonata scocciante che il sindaco Okongwo ricevette quel giorno. Nel caldo atroce del primo pomeriggio gli era toccato sentire una voce gracchiante annunciargli una visita obbligatoria agli slum. “Qualche foto con la fascia della popolazione al di sotto del dollaro al giorno ci vuole, signor sindaco” aveva spiegato uno degli addetti ai manifesti elettorali “Fa bella figura con le classi medie e porta appoggio internazionale”. Purtroppo non c’era niente da ribattere. Così sprofondò nel sedile posteriore della jeep Pajero e si lasciò condurre dall’autista attraverso la giungla del traffico di Nairobi fino a Kibera.
Sacchetto in mano, passo furtivo, per la seconda volta oggi Nora era diretta al fossato dietro casa. Girato l’angolo si imbatté in una scena inaspettata: un big man sudato in giacca e cravatta stringeva la mano al venditore di noccioline. Davanti a loro una carriola nuova di zecca, omaggio della mano sudata a quella callosa. Due fotografi allontanavano bambini seminudi dall’inquadratura.
Alla vista del sorriso brillante del big man, a Nora prese una nausea improvvisa. Abbassò lo sguardo sul sacchetto che le pendeva dal polso e all’improvviso le sembrò che contenesse oro. Lo chiuse bene, lo face roteare un paio di volte sopra la testa, prese la mira e centrò il bersaglio in pieno.
La foto scattata subito dopo non venne appesa per le strade di Nairobi.

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