Bidolli! Bidolli!

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Ecco. Lo sta facendo di nuovo. Come la prima volta. Mi fissa dal banco dei relatori con quel mezzo sguardo obliquo che potrebbe essere diretto a chiunque seduto nelle prime file ma io capisco che invece è per me.

Ecco. Lo sta facendo di nuovo. Come la prima volta. Mi fissa dal banco dei relatori con quel mezzo sguardo obliquo che potrebbe essere diretto a chiunque seduto nelle prime file ma io capisco che invece è per me.

Uno sguardo strano, che ti fa sentire come una lucertola acchiappata dal gatto che finché vuole ci giocherella ma è solo questione di tempo e poi lo sanno tutti come può andare a finire.
Nella migliore delle ipotesi si stuferà e rimarrai mutilato ad agonizzare sul pavimento.
Lei, il gatto, è Anna Maria Marozzi, ideatrice di un rivoluzionario sistema di terapia delle emorroidi, quello dell’elastichetto, famoso per la sua efficacia e temuto dai pazienti per i dolorosi fastidi, in tutto e per tutto sovrapponibili a quelli della scomoda patologia.
Io invece sono Ernesto Bidolli, medico generico col pallino dell’aggiornamento, appassionato di proctologia.
Accadde circa sei mesi fa. Era la prima volta che mi avvicinavo a quella tecnica ma non riuscivo a concentrarmi sulla relazione perchè venivo scombussolato da quello sguardo gettato con apparente noncuranza, al tempo stesso familiare ed inquietante. Uno sguardo che sembrava prometterti un premio ed una punizione, una carezza ed un ceffone.
I lavori del congresso finirono poco prima di cena, il tempo di cambiarsi e scendere al ristorante.
Ed anche durante la cena malgrado non la vedessi, sentivo il peso del suo sguardo sulle mie spalle, sulla mia nuca. Ero sicuro che dovunque fosse seduta mi stesse puntando. Spaventato mi sbrigai a vuotare il piatto e mi alzai senza aspettare il dessert.
Dovevo telefonare a mia moglie, questa era la scusa veritiera ma in realtà non vedevo l’ora di rifugiarmi in camera, al riparo da tutto, difeso anche dalla noia di una telefonata coniugale.
Una volta girata la chiave, percepii un fruscio nel corridoio, poi una mano si posò sulla mia aiutandola ad aprire la porta per poi richiuderla energicamente.
Ormai era in camera mia, astuta e silenziosa come un predatore della savana.
Si avventò su di me buttandomi a pancia all’aria sul letto, cominciando a spogliarmi vigorosamente senza però strappare nulla.
Non riuscivo a capire cosa trovasse in un coetaneo sessantenne rotondetto con gli occhiali spessi e pochi capelli in testa. Ce n’erano molti di colleghi più giovani e piacenti, anche a quel congresso. Avrei voluto dirglielo, ma lei stava già ondeggiando ritmicamente sul mio bacino, sfilandosi gli indumenti dalla testa senza scompigliare il suo caschetto di capelli naturali quasi bianchi che facevano pensare ad un elmetto tedesco della prima guerra mondiale.
Poi io non avevo mai tradito mia moglie, anzi non avevo mai neppure pensato di farlo. Negli anni ci eravamo adattati l’uno all’altra come un paio di vecchie ciabatte fa con i piedi. Alla fine sai ancora che esistono calzature più eleganti, magari più alte, ma non hai più nessuna voglia di indossare dei tacchi o un bel paio di mocassini lucidi.
Perciò come si permetteva quella screanzata di fare ciò che stava facendo senza neppure chiedermi se fossi d’accordo? Oltretutto erano almeno quindici anni che non avevo rapporti, mi desse almeno il tempo di realizzare. Inutile, la valchiria con l’elmo sbatteva indiavolata sul mio bacino, spingendomi brutalmente giù se cercavo di alzare il busto, tappandomi la bocca anche se non ce la facevo a dire nulla.
Guardavo i suoi seni muoversi su di me mentre pensavo a quanto fossero errate tutte le favolette che conoscevo sulla sessualità femminile, sull’importanza dei preliminari e compagnia bella. Il letto, spostato dai suoi potenti colpi, si stava avvicinando alla parete, ed io se cercavo di toccarle i fianchi o qualcos’altro ne ricevevo forti schiaffi sulle mani mentre lei invece si sentiva libera di frugarmi dappertutto. E capitemi quando dico dappertutto.
Non so quanto sia durato, ma tutto finì senza preavviso quando cominciò a sussultare, squassata da un tremore incontrollato, ripetendo: Bidolli, oh Bidolli! Le uniche parole durante l’amplesso.
Il mio cognome, come faceva a saperlo? Mi accorsi che aveva il mio badge in mano.
Si alzò subito, lasciandomi così, noncurante di dove fossi e come stessi, se volessi continuare o preferissi restare cos’ì com’ero, nudo coi calzini, imbambolato sul letto arrivato ormai alla parete.
Osservai il suo corpo mentre si rivestiva: era robusta, forse da giovane era stata una nuotatrice, perciò anche se appesantita mostrava ancora una certa tonicità , come avevo appena sperimentato su me stesso.
Uscì dalla porta senza neppure guardarmi. Non un bacio né una frase carina.
Il suo profumo era rimasto nella stanza. Un profumo forte, dolciastro, misto a quello dei nostri corpi sudati di un sudore recente, quasi gradevole. Mi vennero in mente le antropotossine, il miscuglio di odori di una stanza chiusa, qualcosa che avevo studiato tanti anni prima in chissà quale esame.
Non avevo nessuna voglia di aprire la finestra per farlo andare via. Preferivo restare così, tutto sottosopra, con quel fastidio addosso, a chiedermi come potesse non aver avuto voglia di scambiare due parole con me, conoscere la mia voce, qualcosa della mia vita. Aveva usato il mio corpo senza curarsi di lui, di me, senza avvicinarsi almeno un po’ alla mia anima. No, appena fatti i suoi porci comodi era filata via nel più completo silenzio, forse per non tornare più.
Così cominciò la mia ossessione, il mio desiderio di sentirmi ancora quel topo predato.
E da allora viaggio per l’Europa in lungo e in largo per seguire nei suoi congressi la Professoressa Marozzi e farmi trovare nelle prime file.
Dall’Estonia al Portogallo, dalle fistole al prolasso anale, senza avvertirla mai.
Del resto non ho neppure il suo telefono, la sua mail e figurarsi poi se lei mi risponderebbe. Ma in fondo a me va bene così.

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