Quando, per lavoro, sono stata in Libia, nel Gennaio 2012, mi sono trovata di fronte ad un Paese pronto a festeggiare l’inizio di una nuova era. Per la prima volta, dopo 40 anni, Tripoli aveva pure rivisto la neve, tutto sembrava dare segnali di speranza. La bandiera verde, rossa e nera dei Senussi, che aveva sostituito la verde gheddafiana, sventolava ovunque, soprattutto nei caroselli e nei cortei che, il 17 Febbraio, ricordavano la scintilla di Benghazi. Dipinta da giovani mani, la si ritrovava anche nei murales di Bāb al-Azīzīyya, un posto tremendamente simbolico, dove i militari della vecchia dittatura avevano spadroneggiato.
Il muro di Bāb al-Azīzīyya oggi non c’è più, come mi confermano alcuni amici, e forse anche per questo aver avuto la possibilità di vederlo e fotografarlo rimane una testimonianza fondamentale per i posteri.
Con le bandiere, la data del 17 Febbraio era stata dipinta quasi ovunque, su pareti di edifici e in ogni spazio libero che potesseadattarsi a testimoniare l’importanza di quella data. Molti disegni restano ancora visibili.
Quella di ieri è stata una nuova commemorazione, pacifica, dove solo bandiere, canti e festeggiamenti hanno occupato le strade. Congratulazioni al popolo libico sono arrivate anche dal presidente indiano Pranab Mukherjee e dal segretario di stato americano John Kerry.