Ti ascolto con attenzione e tu con altrettanto impegno mi fai sempre la stessa domanda. Io ti rispondo ogni volta, ma la mia voce cambia. Gentile all’inizio, poi monotona, poi stridula, poi debole, sempre più debole. Infine giro il volto dall’altra parte affinché tu non veda la mia smorfia, il sospiro, lo sguardo triste.
Tu aspetti, io taccio sperando che il mio silenzio ti convinca a rinunciare. Tu diventi impaziente, ti arrabbi, mi accusi di non darti retta.
“Non chiedo mica la luna! Voglio solo sapere quanto tempo hai intenzione di fermarti qui in montagna…Sembra che tutto ti infastidisca.”
Io ascolto in silenzio e spero che quello sfogo ti basti a non ripetere la stessa domanda, invece, dopo un po’ tu ricominci: “E allora perché non me lo vuoi dire quanto tempo ti fermi? Che ti costa?”.
Sì, dopo la trentesima volta, qualcosa mi costa.
Le nostre due camere comunicanti ti piacciono. Sembri contenta di essere lì. Dovresti disfare la valigia e invece prendi una spazzola dalla borsa, ti piazzi davanti allo specchio, e cominci a pettinarti. Io ti ricordo che devi disfare la valigia, toccherebbe a te, ma intanto comincio ad aprirla.
“Lascia stare” mi dici infastidita “che faccio io dopo…”
Io continuo nervosa a prendere i tuoi vestiti ed appenderli nell’armadio, uno ad uno. So che per te il “dopo” non esiste, perché dimentichi ogni cosa. Tu vivi solo al presente. Hai messo in pratica a meraviglia la regola del “qui ed ora”.
Finisci di pettinarti e cominci a cercare qualcos’altro in borsa. Trovi una crema. Te ne spalmi una quantità abbondante sul viso, poi ti massaggi energica, quasi con violenza. Stai lottando contro le rughe. È una lotta che dura da sempre, da quando ti ricordo. Ma, devo ammetterlo, negli anni la battaglia l’hai quasi vinta tu. La tua pelle è ancora liscia e morbida.
Quando sto per uscire sei concentrata sulle labbra. Con mano ferma ti passi il rossetto.
“Dove vai?” Mi blocchi a metà tra te e la porta.
“Vado a disfare la mia di valigia” ti dico irritata.
“Ma come, non andiamo a fare la passeggiata ora?” Mi dici, rivendicando il tuo diritto di madre anziana ad essere sempre accontentata.
Ma io mi sento già stanca e ho bisogno di una pausa da te e dalle tue parole. Me ne vado senza risponderti. Vado in camera mia, mi chiudo dentro e mi sdraio sul letto respirando lentamente. Forse sarà più dura di quanto pensassi. Forse ho sopravvalutato le mie forze.
Mi riprometto di ritagliare dei momenti per me, anche se non so ancora come. Dovrò farlo per potermi salvare.
Sistemo le cose che ho portato. Ho portato un sacco di libri, chissà cosa credevo…
Ne scelgo subito uno da mettere sul comodino per la sera. Si intitola: “Avrò cura di te” di Sophie Fontanel. Il sottotitolo è: “quando si diventa genitori dei propri genitori”.
Questo momento di pace mi ha ridato fiducia e ti vengo a cercare. Sei fuori sul balcone che prendi il sole. Mi accogli con un grande sorriso. Sei contenta di vedermi. Non mi serbi rancore, non lo fai mai, per te ogni momento è nuovo e tutto ricomincia daccapo.
Stiamo per uscire per la passeggiata, ma tu ti blocchi e cominci a frugare nella borsa.
“Cosa cerchi mamma?” .
“Il borsellino, sto cercando il borsellino…non lo trovo più.”.
Conosco quei momenti. E’ un crescendo di tensione.
Nel borsellino, lo so, non c’è granché. Da quando non hai più memoria non ti lascio che pochi spiccioli, ma riesci a perdere anche quelli. No, non li perdi, cambi solo posto, ogni volta. Tu lo fai per sicurezza e invece continui a derubare te stessa.
“Me lo hanno rubato.” Affermi convinta.
“Nessuno te lo ha rubato, mamma. Gli avrai solo cambiato di posto. Lo fai sempre”.
“Per te è sempre colpa mia…”
Sei rossa in viso e continui a frugare in borsa, disperata. Ti prendo la borsa e rovescio il contenuto sul letto. Ci sono un sacco di cose, ma del borsellino non c’è traccia.
Ti metti a camminare per la stanza imprecando. Ogni tanto ti fermi e mi chiedi quasi piangendo: “Come faccio?”.
Cerco di rassicurarti in tutti i modi, ma non c’è niente che funzioni. Mi è già successo altre volte.
Vado in camera mia e prendo dal mio portafoglio due biglietti da cinque. Li nascondo in mano e torno da te. Appena mi vedi mi racconti la storia del portafoglio, come se io non ne sapessi niente.
Io ti rassicuro di nuovo e poi approfitto della tua distrazione per infilare i due biglietti nella tasca della tua borsa. Poi ti chiamo sorpresa: “Guarda mamma! I tuoi soldi sono qui. Li avevi infilati nel taschino, non nel borsellino…”.
Tu accorri gridando di gioia e cominci a ringraziare tutti i santi del paradiso.
Dopo la passeggiata ti riposi un po’, aspettando il pranzo. Io mi rifugio in camera. Svogliatamente prendo in mano il libro della Fontanel e sul quarto di copertina leggo:
“È come una bambina, mia madre è come una bambina” continuo a ripetere.
“No, non è la stessa cosa” mi spiega il mio amico.
“Con un bambino il progetto è renderlo indipendente mentre con tua madre fin dove puoi spingerti?
L’indipendenza che verrà sarà la tua. Sino alla fine sarai tu la bambina da svezzare. La madre è lei. Lascia che ti strapazzi, perché, amica mia, sta dando gli ultimi ritocchi alla tua educazione.”
Già…