La violenza si fa spettacolo indossando una veste così pura da far abbassare gli sguardi.
L’oscurità concede agli occhi dello spettatore soltanto un tenue riverbero da cui il regista Valter Malosti evoca la vicenda. I versi del poemetto di Shakespeare, Lo stupro di Lucrezia, scorrono in terza persona, non solo dalla voce neutra del narratore fuori campo, ma anche dalle voci partecipi dei protagonisti: Alice Spisa (premio Ubu 2013 Nuova Attrice Under 30) e Jacopo Squizzato. I due avvicendano – attraverso gli ipnotici endecasillabi – ora il lugubre calvario della vittima, ora il rimuginare rassegnato del carnefice. «È una notte che somiglia alla morte», dice Lei. «Il mio orecchio è ormai macchiato dall’ascolto», dice Lui.
È stato sufficiente l’elogio delle doti della fedeltà di Lucrezia da parte del marito Collatino, a instillare in Sesto Tarquinio una voglia di lei non più rinunciabile.
La Perversione rincorre L’Innocenza e, con lo stupro, la reiterata danza macabra raggiunge il climax.
Come una fiamma dipinta da Caravaggio così la luce scenica squarcia brutalmente il fondale nero dal quale si stagliano i corpi nudi di Tarquinio e Lucrezia, fissandone la drammaticità e la plasticità dei movimenti.
Il palco rosso diventa portavoce della sopraffazione, amplificata dalla fila dei microfoni a terra ma mitigata dall’effetto straniante del vecchio frigorifero.
La coscienza dell’uomo riflessa allo specchio si copre il sesso a capo chino.
E l’ “anima scorticata” della donna s’inginocchia implorante a un marito sordo e invisibile.
Con l’abito a lutto e sottoposta a un giudizio sessista, quanto mai attuale, è marchiata e condannata dal Disonore.
Tra l’echeggiare acuto dei tasti di una macchina da scrivere, non le resta che lo sfogo di redigere un orale testamento prima del suicidio. Inveisce contro l’Occasione, il Tempo e la Notte – malevoli conniventi dell’atrocità subìta –, si conforta con il dolore di eroine accomunate dalla sua stessa sorte e si interroga sull’inutilità dell’imminente gesto: «Se il tesoro è già stato rubato che senso ha bruciare anche lo scrigno?».
Ma infine, nel ruolo di Giuditta che decolla Oloferne, Lucrezia sferra il colpo di lama all’immagine del suo aguzzino e poi al proprio cuore, rivelando al pubblico la didascalica scissione del Corpo dallo Spirito.